In Iran si apre il processo contro i mandanti del colpo di Stato del 1953
di (e traduzione di) Simona Maria Frigerio
C’erano una volta gli uomini, di quelli tutti d’un pezzo forgiatisi prima della Seconda guerra mondiale. In Italia avevamo un imprenditore lobbista come Enrico Mattei, che credeva di poter far sedere l’Italia al tavolo delle Sette sorelle; in Persia (l’odierno Iran) c’era il Primo Ministro Mohammad Mosaddegh, democraticamente eletto dal popolo. Sotto il suo breve mandato fece importanti riforme sociali, aumentò le tasse alle rendite e nazionalizzò l’industria petrolifera iraniana a discapito della British Petroleum (allora Anglo-Persian Oil Company).
Ancora un tassello del puzzle. I due colossi dell’industria petrolifera britannica, BP e Shell (compartecipata olandese), oggi entrambe in acque turbolente, non si sono mai tirate indietro nel salvaguardare i propri affari foraggiando colpi di Stato e dittatori – basti accennare al fatto che, nel 2017, “Amnesty International ha chiesto a Nigeria, Regno Unito e Olanda di aprire indagini sul ruolo avuto dal gigante petrolifero anglo-olandese Shell in una serie di orribili crimini commessi dal governo militare nigeriano nella regione petrolifera dell’Ogoniland negli anni Novanta”(1) del Novecento – tra i quali l’omicidio di Ken Saro-Wiwa, scrittore e attivista che guidava le proteste ogoni.
Tornando in Iran, il 19 agosto 1953, il Governo legittimo di Mohammad Mosaddegh è rovesciato da un colpo di Stato sostenuto dalla CIA e dal suo corrispettivo britannico, l’MI6. Nel 2013 sono gli States ad ammettere ufficialmente il loro coinvolgimento, rivendicandolo come elemento della propria politica estera, che include(va) il pagamento dei manifestanti (da Kyiv al Venezuela, passando per le cosiddette rivoluzioni arancioni, pratica raffinatasi nei decenni) e la corruzione delle autorità (ciò che oggi è ancor più facile grazie alla complicità di Ong sempre più immischiate e dipendenti dai contributi statunitensi).
La novità su questo frammento di storia, importante da ricordare in quanto spiega in parte la successiva rivoluzione iraniana, è il processo che si è ufficialmente aperto di fronte a un Tribunale di Teheran, ad agosto 2024 (2), basato su una class action che coinvolge 402mila iraniani “contro sei organismi nazionali e legali statunitensi per il loro presunto ruolo nel colpo di Stato” del 1953.
Come riporta Sputnik Globe, il portavoce del Ministro degli Esteri Nasser Kanaani ha affermato in conferenza stampa che i: “Documenti pubblicati mostrano come il golpe è stato compiuto dagli Stati Uniti e dal Regno Unito contro il processo democratico iraniano ed è un esempio della evidente interferenza di tali Governi, specialmente degli States, negli affari interni iraniani, e del fatto che il popolo, in Iran, sia stato privato dei propri diritti”. E ha aggiunto che gli US e gli UK “devono accettare il loro debito storico nei confronti della nazione iraniana” e che tale debito, ovviamente, non è stato ripagato.
Sempre da Sputnik Globe apprendiamo che Shami Aghdam, uno tra gli avvocati che rappresentano i querelanti, avrebbe fatto riferimento ai documenti declassificati che “implicano la CIA e l’MI6 nella pianificazione ed esecuzione del golpe con l’utilizzo sia di agenti interni sia esterni, e addebitano a Washington e Londra la violazione dei principi e delle norme internazionali e sull’interferenza negli affari interni iraniani così da «mantenere la loro influenza e potere sul Governo» e da «assicurare i propri interessi e saccheggiare le ricchezze della nazione»”.
Nulla di nuovo sotto il sole, quindi, ma uno smarcarsi deciso dalla narrazione occidentale che ha osannato, anche dopo la Rivoluzione iraniana del 1979, lo Shah quale simbolo di democrazia (laddove era arrivato al potere solo grazie a un colpo di Stato manovrato da US e UK per garantire gli interessi stranieri a scapito del suo Paese) e di libertà – Mosaddegh era già una punta di diamante nel mondo musulmano e la nazionalizzazione del petrolio fu di input a quella dello Stretto di Suez da parte di Nasser, in Egitto. Ma non solo, dato che, visto il feroce embargo orchestrate dai britannici, Mosaddegh fu il primo a immaginare una economia iraniana libera dalla dipendenza dall’export petrolifero (3). E non dimentichiamo il nascente partito comunista iraniano che aveva appoggiato Mosaddegh dopo la sua breve destituzione e che avrebbe potuto premere per un avvicinamento all’URSS (oggi, i BRICS, sembrano riproporre un’alleanza economica e militare che sarebbe potuta nascere oltre settant’anni fa).
I ricorrenti, a ogni modo, non puntano solo a compensazioni finanziarie ma al riconoscimento – da parte di Stati Uniti e Regno Unito – dei crimini commessi sebbene, come fa notare Sputnik Globe, l’Iran abbia pochi strumenti per imporre agli States i propri obblighi – vedasi la sentenza di una Corte iraniana che avrebbe condannato gli States a un risarcimento di 50 miliardi di dollari per l’assassinio del Comandante Qasem Soleimani, avvenuto a gennaio 2020. Visto quanto accaduto da noi, sul Cermis, non stentiamo a credere che di fronte ai Tribunali stranieri, al diritto internazionale e ai crimini commessi dalle Forze armate statunitensi, Washington faccia spallucce. Ma oggi l’Iran avrebbe anche altri modi per ottenere compensazioni, come la confisca di un carico di una petroliera statunitense, decretato da un giudice iraniano sulla base della sentenza, favorevole ai ricorrenti, i quali soffrono di una malattia della pelle grave e rara causata dalle sanzioni statunitensi (unilaterali e illegali a livello di diritto internazionale) contro il Paese.
Vi terremo aggiornati sugli esiti processuali.
venerdì, 20 settembre 2024
In copertina: Mohammad Mosaddegh (1882 – 1967). http://www.fararu.com/images/docs/000008/n00008877-r-b-000.jpg. Public Domain