Caporalato e appalti al ribasso
di Federico Giusti
Fatalità e leggerezza non sono motivazioni da addurre ogni qual volta si verificano gravi incidenti sul lavoro. Non esiste fatalità quando le norme in materia di salute e sicurezza non vengono rispettate, quando i ritmi incalzanti impongono tempi di lavoro senza pause, sotto stress e in condizioni di mero sfruttamento.
L’ennesima morte di un bracciante nei campi, dove troviamo spesso forza lavoro senza contratto, costretta ad operare per pochi euro nelle ore più calde della torrida estate, non è mai stata un’eccezione. Il settore agricolo è caratterizzato da elevati numeri di dipendenti senza contratto e senza assicurazione – la soluzione per qualche Governo era quella del voucher per aggirare il regolare inquadramento contrattuale.
A distanza di anni la situazione non è cambiata e la morte del bracciante a Latina ne è la dimostrazione eloquente. Satnam Singh era un lavoratore immigrato e, da quanto leggiamo sulla stampa, è accusato dalla ditta di avere commesso una leggerezza avvicinandosi troppo a un macchinario da cui è stato risucchiato con l’amputazione del braccio. Ma dopo il grave infortunio Satnam Singh non è stato portato in ospedale bensì a casa: un fatto che dovrebbe indurre a riflessione sulla percentuale di infortuni non denunciati all’Inail al fine di evitare sanzioni pecuniarie e ispezioni
L’inchiesta, appena iniziata, molto probabilmente dimostrerà anche la presenza del caporalato, un sistema diffuso contro il quale non è mai stata condotta una battaglia senza quartiere.
La ricattabilità dei lavoratori migranti è collegata anche al permesso di soggiorno per il quale si accettano condizioni retributive senza dignità e all’insegna del mero sfruttamento quando non si ricorre ai caporali che scelgono – all’interno delle loro comunità – la forza lavoro giornaliera, da impiegare nei campi per pochi euro all’ora (come scrivevamo, senza assicurazione e senza contratto). E questa forza lavoro è sovente ricattata, privata di documenti e telefonini, tenuta in condizioni disumane senza cibo e con acqua razionata, costretta a dormire in case diroccate o all’aperto.
Una condizione di semi-schiavitù quella che da anni viene registrata in agricoltura, assai diffusa, a dimostrare come possano convivere dentro il modo di produzione capitalistica situazioni di sfruttamento che ci riportano indietro nei secoli. Una condizione di disumano e selvaggio sfruttamento per nulla paradossale ma emblematica di un sistema economico, quello capitalistico appunto, che annienta le nostre vite e la stessa dignità umana e lavorativa.
Appalti al ribasso e paghe da fame
Nel tempo, anche gli Enti pubblici si sono adeguati alla logica, perdente, degli appalti al ribasso, applicando contratti sfavorevoli con un calcolo del costo del lavoro che non prevede salario di secondo livello.
Prendiamo spunto da una vicenda sindacale: siamo in Toscana, negli appalti del verde, ove si applica il CCNL delle cooperative sociali – che non prevede l’erogazione del buono pasto rinviandone l’eventuale corresponsione a un accordo tra sindacato e appaltatore. Accade, e non è certo un caso isolato, che la stazione appaltante – Ente pubblico – abbia stanziato un budget risicato che, a mala pena, prevede l’adeguamento del costo orario al rinnovo contrattuale nel frattempo intervenuto, con aumenti di gran lunga inferiore all’inflazione degli ultimi anni.
Non ci sono fondi destinati alla contrattazione di secondo livello, la stazione appaltante non ha aggiunto un euro a tale scopo e l’appaltatore può anche rifiutare l’erogazione del buono adducendo come motivazione la scarsa disponibilità economica e il fatto che il contratto nazionale applicato non prevede l’obbligo per l’azienda, o cooperativa che sia, di erogare un ticket per i lavoratori, o lavoratrici, che operano fino a metà pomeriggio dalle prime ore del mattino.
Questo modus operandi è ormai imperante e a rimetterci sono solo i lavoratori degli appalti che vedono negato un diritto elementare come quello del buono pasto.
Ma capita sovente che sempre gli Enti pubblici, al momento di una gara, calcolino il costo del lavoro previsto dal contratto più sfavorevole e non tengano conto che lo stesso, nel frattempo, è stato rinnovato con incrementi da fame che, per quanto esigui, dovrebbero essere calcolati: avviene sempre in Toscana, in altri appalti all’ombra degli Enti pubblici. E se nel precedente contratto si applicava un diverso CCNL con paghe orarie maggiori, la rimessa economica per la forza lavoro è assicurata. Il rispetto delle clausole sociali diventa quindi parziale, la mera conservazione del posto non tiene conto anche delle retribuzioni in essere.
Una recente sentenza è intervenuta asserendo che le modifiche dei contratti collettivi, avvenuti dopo l’aggiudicazione della Gara, devono essere sempre presi in considerazione da parte del Rup – ma si tratta di una mera consolazione in presenza di logiche imperanti destinate a calcolare il costo del lavoro sempre e comunque al ribasso.
Bisogna ricordare che, nel caso delle proroghe contrattuali, dovrebbe avvenire l’adeguamento delle paghe orarie con adeguati stanziamenti da parte della committenza ma le proroghe non tengono mai conto della situazione, ossia del “rispetto dei minimi salariali inderogabili”, sancendo di fatto una gestione dell’appalto al massimo ribasso con ripercussioni negative non solo sulla forza lavoro ma anche sull’appaltatore. Nelle proroghe si consuma il misfatto: contratti di appalto siglati anni prima continuano ad andare avanti ben oltre il limite previsto senza alcun adeguamento dell’offerta, ignorando i cambiamenti intervenuti non solo a livello contrattuale ma, in generale, ricalcolando i costi dell’impresa accresciuti dopo l’aggiudicazione. Ora se la Sentenza prevede l’obbligo per la stazione appaltante di tenere conto delle variazioni contrattuali, ma analogo discorso andrebbe fatto per altri costi aggiuntivi dei quali l’appaltatore deve pur sempre farsi carico. E troviamo insensato, a dir poco, che non sia quasi mai prevista una contrattazione di secondo livello legata al buono pasto, agli orari disagiati, ai passaggi di livello determinati dall’acquisizione di nuove professionalità.
Non parliamo di mere circostanze all’insegna dell’imprevedibilità ma di situazioni diffuse che almeno un Ente pubblico dovrebbe prendere in seria considerazione senza limitarsi al formale rispetto dei contratti applicati, che sappiamo essere rinnovati con cifre irrisorie.
venerdì, 5 luglio 2024
In copertina: Alboraya, Spagna. La raccolta delle cipolle affidata ai migranti. Foto di Simona Maria Frigerio