Primo partito: astensione al voto
di Luciano Uggè
Alle urne, per votare i rappresentanti di un Parlamento che non emana leggi – per una Federazione di Stati senza basi costituzionali – è andato, come previsto, meno del 50% degli aventi diritto.
Dopo 5 anni di Governo oligarchico esercitato apertamente dalla Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Layen, che acquista vaccini via whatsapp, indossa elmetto e giubbotto antiproiettile per mandare i nostri figli in guerra, mentre l’economia quando non langue arretra, stipendi e pensioni non reggono agli aumenti inflattivi e quel che resta del welfare state si scioglie come neve al sole, mentre le banche e i grandi investitori ringraziano BCE e le politiche di Christine Lagarde; dopo due anni di guerra contro la Russia che decima i giovani ucraini (e russi), inquina i terreni e irride alle politiche di greenwashing europeo, condita da una pletora di sanzioni che indeboliscono le nostre fragili economie e rendono più saldo che mai il legame economico, militare e politico sino-russo; e dopo il sostegno imperterrito dato dai nostri leader al genocidio del popolo palestinese rinsaldato da un appiattimento mass mediatico che rasenta ormai il ridicolo; ebbene, dopo tutto ciò era logico che il cittadino europeo si chiedesse perché legittimare la farsa dell’esistenza di un’Europa che si vanta di essere formalmente democratica, in quanto conterebbe ancora sul voto popolare. Laddove la democrazia reale è dal 1989 che si sta abbattendo a colpi di liberismo e austerity, senza più alcun infingimento di dare un volto social-democratico al capitalismo occidentale – venuto meno il socialismo reale dell’URSS.
A corollario, la débâcle del petit roi e dell’ondivago Scholz. L’asse (vocabolo di triste memoria soprattutto dopo aver visto un erede di Bandera festeggiare lo sbarco in Normandia degli Alleati) franco/tedesco bellicoso al punto da ventilare leve obbligatorie e discesa in campo (come se non fosse già la Nato a identificare gli obiettivi delle armi più sofisticate in mano agli ucraini) è in caduta libera come le rispettive economie – con la Francia neo-coloniale costretta a rientrare nei propri confini e mettere fine a quella politica predatoria che le ha permesso di accaparrarsi risorse minerarie indispensabili a prezzi stracciati; e la locomotiva d’Europa che, finito il gas, si ritrova ad arrancare e non può certo aspettarsi gli aiuti europei che ebbe ai tempi della riunificazione con la Germania Est, soprattutto dopo il comportamento egoista e predatorio avuto nei confronti della Grecia (e non solo).
Ma questo piccolo terremoto, ampiamente previsto dagli oligarchi seduti sugli scranni delle commissioni europee, cambierà qualcosa? Difficile supporlo vista la quasi assoluta inutilità del Parlamento Europeo e la disponibilità già ampiamente dimostrata dai partiti di centro a collaborare con quelli di destra nel portare al collasso le classi lavoratrici e medie, sacrificando il continente sull’altare dell’egemonia delle lobby statunitensi – siano esse farmaceutiche o degli armamenti.
E giusto per rimettere qualche puntino sulle i, in queste giornate di trionfalismo atlantista corrispondente al crollo della fiducia degli europei nella UE, il D-Day festeggiato da una Francia perdente o collaborazionista e da un erede di quella Ucraina occidentale che non disdegnò di fare pulizia etnica contro i polacchi o collaborare al genocidio ebraico, precisiamo che contro l’URSS Hitler schierò, nel 1942, 184 divisioni (su 233), 19 Panzerdivisionen (su 24) e 5 divisioni Waffen-SS dotate di carri armati. Nonostante ciò, tra il 17 luglio 1942 e il 2 febbraio 1943, l’Armata Rossa da sola vinse le forze armate tedesche, italiane, rumene e unghere nella battaglia di Stalingrado; e il 27 gennaio 1944 i russi misero fine all’assedio di Leningrado. Mentre il D-Day, che arriverà solamente il 6 giugno 1944 (due anni dopo le richieste di Stalin a Roosevelt e Churchill di aprire un secondo fronte in Europa), non solamente si risolse nel bombardamento anche di quartieri e villaggi a causa delle cattive condizioni atmosferiche (a Caen 60 mila abitanti si ritrovarono sepolti tra le macerie), ma anche lo sbarco a Omaha fu una carneficina a causa delle mine e dei cannoni tedeschi – senza contare il fallimento dell’Operazione Market-Garden, voluta fortemente da Montgomery per arrivare a Berlino prima dei russi, e che ebbe come contraltare la decisione di Hitler di lanciare l’offensiva nelle Ardenne, sorprendendo del tutto gli Alleati già molto provati dal precedente fallimento: dei 600.000 soldati statunitensi coinvolti circa 20.000 furono uccisi, 20.000 catturati e 40.000 furono feriti. Due divisioni di fanteria furono annientate e, in una di esse, 7500 militari US si arresero alla Germania. Sarà l’Armata Rossa a entrare a Berlino, il 2 maggio 1945, dopo aver liberato una serie di campi di concentramento che avrebbero rivelato al mondo l’orrore dell’Olocausto, primo fra tutti Auschwitz, il 27 gennaio 1945. Ma perché gli anglo-statunitensi tardarono tanto? Di sicuro per le mire colonialiste di Churchill molto più interessato a coinvolgere Roosevelt nelle battaglie in Nord Africa che a scontrarsi frontalmente con Hitler; ma secondo Jonathan Walker, membro della Commissione Britannica di Storia Militare, già Ricercatore Associato presso l’università di Birmingham e autore di Operation Unthinkable: British plans to attack The Soviet Empire 1945, Churchill avrebbe vagheggiato per il 1° luglio 1945 di attaccare l’Unione Sovietica, alleandosi a US, Polonia e Germania per liberare la parte Est e riportare Stalin al tavolo delle trattative (1).
E adesso rieccoci: sull’orlo dell’abisso nazi-fascio-capitalistico occidentale o anglo-franco-tedesco-statunitense; ma questa volta dalla Repubblica Popolare cinese all’Africa e all’America Latina, il mondo sa che se si lasciasse sola la Russia, oggi, domani toccherebbe a loro.
(1)
venerdì, 14 giugno 2024
In copertina: Foto di Wikilmages da Pixabay