Il Museo Archeologico di Sybaris in prima linea contro la violenza sulle donne
di Lorena Martufi
Sono tornata dopo mesi a Sybaris e ho trovato un museo sempre più al femminile, contro la violenza di genere, che promuove alti momenti di formazione e incontri sul tema per formare le generazioni di domani.
“Non rompeteci” è lo slogan che – dal restauro delle cassette di conservazione dei reperti archeologici, che avevano dato vita a pezzi vintage e supercool entrati ufficialmente a far parte dell’allestimento del Museo archeologico (vi ricordate?) – si è trasformato in un grido di aiuto per le donne vittime di abusi e di violenze.
Nella bella domenica soleggiata del 12 maggio, antecedente la giornata dedicata alla Festa della mamma, si è tenuto l’incontro diretto dalla dottoressa Letizia Caso, della Lumsa di Roma (dove dirige un master sulla psicologia dell’abuso), in collaborazione con il Centro antiviolenza Fabiana, dedicato alla figura della donna. Chiaro l’obiettivo del museo e del suo direttore, Filippo Demma, anima delle iniziative che stanno tenendo viva l’attenzione, altissima in termini di partecipazione e biglietti di visitatori strappati anche durante l’inverno, su un tema ancora caldo nell’attualità del nostro Paese: contrastare la violenza di genere attraverso gli strumenti della conoscenza, della consapevolezza, della forza intrinseca della cultura e del patrimonio culturale.
Un viaggio che è l’ultima tappa di un percorso virtuoso, introduce il dottor Demma, che ha visto riuniti archeologi, studiosi, politici, studenti e docenti attraverso la partecipazione ai laboratori attivi del museo e la formazione nelle scuole. Un incontro formativo sugli stereotipi e i pregiudizi, quello tenuto dalla dottoressa Caso, che scardina la grammatica del linguaggio dell’abuso, in cui centrale è il potere che costruisce l’iceberg immaginario, ma fortemente simbolico, della violenza di genere. Il ricatto emotivo, il controllo, la rivendicazione del possesso si introducono nelle relazioni fino ad affondarle nella violenza domestica e di genere, condotta all’estremo nei casi del femminicidio. Tutte queste forme di violenza hanno un comune effetto: la difficoltà di comunicare i diritti e le emozioni, nata dalla disintegrazione dell’identità femminile che fa della donna una vittima insieme ai suoi figli.
I dati Istat sul femminicidio rivelano un fenomeno costante nel tempo, che conferma un problema educativo e, quindi, culturale, da parte del genere maschile, ma non solo. Se sono passati decenni dal 1971, e dalla rivendicazione del diritto al divorzio, e dal 1978, in cui ci sancì il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, ancora oggi facciamo fatica a difenderci dagli stereotipi di genere che formano pregiudizi pericolosi e devastanti, in cui la donna è rappresentata come un soggetto debole e, per questo, complice del suo stesso carnefice.
Tutta colpa del patriarcato? Sicuramente esiste un sistema intrinseco che nutre la violenza fino a scavarne quasi l’invisibilità e, ahimè, l’indifferenza, persino nelle istituzioni, nella politica, negli organi preposti alla legalità. Abbiamo provato a decodificare questi sistemi di verità, che affondano nel potere linguistico la forza, al contrario, naturale delle donne, come nella capacità di sopportazione a tanta violenza e sofferenza, dove spesso gli uomini si autorappresentano falsamente come vittime.
Il messaggio che vogliamo dare, unendomi a questa redazione, al Museo, alle scuole, all’università è questo: la cultura, intesa come conoscenza, non come effimero luogo destinato alle passerelle vuote di perbenismi di facciata, può aprire un varco nella consapevolezza di ognuna di noi e i libri, le opere d’arte, la bellezza delle parole possono trasformare le donne – artigiane, scrittrici, giornaliste, filosofe, insegnanti – sì da entrare a far parte attivamente di questa grande casa culturale che abbiamo costruito e in cui nessuna, da oggi in avanti, potrà più sentirsi sola. Perché qui esiste uno spazio in cui sentirci libere di diventare finalmente noi stesse.
venerdì, 24 maggio 2024
In copertina: La Locandina dell’iniziativa