Tempo di bilancio per le politiche economiche e del lavoro adottate dal Governo Meloni con l’avallo sindacale
di Federico Giusti
Le bollette elettriche in Italia risultano tra le più care dei paesi Ue e sappiamo che questi aumenti non sono contemplati tra le voci valutate per misurare l’aumento delle buste paga in rapporto al costo della vita.
Dall’inizio della pandemia a oggi, le retribuzioni orarie di fatto in Italia risultano cresciute del 7,8% ma se guardiamo ai termini reali del potere d’acquisto sono invece calate di circa il 7,2%. La differenza fra l’andamento dei salari di fatto e le retribuzioni contrattuali vede queste ultime in costante calo: la perdita di potere di acquisto è talmente marcata da indurre a seri e veloci ripensamenti sulle norme che disciplinano i rinnovi dei CCNL. Ma questo ripensamento è ben lungi dal venire. Eppure alcuni settori, ad esempio, servizi e appalti e subappalti, sono quelli che hanno subito maggiormente l’erosione del potere d’acquisto. E proprio nei servizi, negli appalti e nei subappalti registriamo l’aumento degli infortuni e delle morti sul lavoro. Questi sono dati sui quali il sindacato dovrebbe aprire una riflessione perché, dove le condizioni retributive e contrattuali sono peggiori, crescono anche i rischi per la salute e la sicurezza.
Dinanzi alla ripresa dell’inflazione è venuto meno quel ruolo protettivo un tempo rappresentato dal contratto nazionale, la contrattazione di secondo livello per altro soggetta a detassazione è concepita dentro quel sistema di deroghe rispetto ai contratti nazionali e attraverso il solito scambio tra aumenti irrisori, specie sotto forma di bonus, e accrescimento della produttività.
Ineludibile il fatto che potenziando la contrattazione di secondo livello, e sovente quella individuale, la tenuta del potere di acquisto sia venuta meno e anche il potere contrattuale risulti nel tempo indebolito. L’arrendevole linea dei sindacati rappresentativi ha permesso, da una parte, il progressivo depotenziamento del contratto nazionale e, dall’altra, ha favorito la contrattazione di secondo livello per altro assai rara nelle piccole aziende che poi costituiscono, numeri alla mano, parte rilevante del sistema produttivo italiano.
In questi anni la politica economica del Governo Meloni si è contraddistinta per gli sgravi fiscali. Resta il fatto che gli aiuti alle imprese non hanno prodotto occupazione stabile e contratti non precari come si pensava, anzi alcuni provvedimenti, ad esempio la super deduzione del 120% annunciata nell’autunno 2023, è ancora oggi inattuata.
Invece di fare un bilancio serio sui provvedimenti attuati e sulla loro effettiva efficacia si continua a gonfiare il sistema degli sgravi fiscali, non tenendo conto che le assunzioni agevolate hanno un costo a carico dell’Inps ormai fuori controllo. Nel frattempo, siamo arrivati alla cifra di8,7 miliardi, buona parte dei quali finanziati con fondi europei.
Se oggi la Ue favorisce politiche di aiuto alle imprese, l’Europa dei padroni ha decisamente surclassato quella dei lavoratori.
Il sindacato, invece di contrastare la politica dei bonus alle imprese, ha scelto di sostenere questi provvedimenti anche se i posti creati restano pochi e caratterizzati da bassi salari e con un costo ormai elevato a carico dello Stato. Verrebbe da chiedersi quali siano le misure di contrasto all’erosione del potere di acquisto: il codice Ipca (1) per i rinnovi contrattuali, i bonus e le agevolazioni fiscali alle imprese contribuiscono alla politica dei bassi salari che va ad aggiungersi a contratti nazionali che non recuperano il reale aumento del costo della vita.
Non corrisponde poi a verità che gli incentivi aiutino il lavoro stabile, basti pensare alle migliaia di rapporti stagionali, soprattutto per le donne, a oggi registrati. Analogo discorso vale per l’esonero contributivo in caso di under 35. Vorremmo ricordare non solo i costi sostenuti con fondi nazionali e comunitari ma soprattutto i numeri, assai deludenti, dei nuovi assunti (poco più di 100mila, dei quali alcune migliaia a tempo determinato).
Le assunzioni nel turismo, poi, sono state all’insegna della precarietà: contratti stagionali e part-time. Questi dati ritornano anche nelle statistiche relative alla decontribuzione per le assunzioni al Sud: metà delle quali sono contratti a termine e part-time.
Tra il 2005 e il 2020 gli investimenti privati, stando a quanto scrive il portale La Voce.info, sarebbero preponderanti rispetto a quelli pubblici – pari a 266 miliardi di euro all’anno rispetto agli oltre 310 miliardi di euro medi annui complessivi. Secondo gli economisti de La Voce.info mancherebbero proprio gli investimenti pubblici, una critica che stride con gli aiuti e gli sgravi fiscali alle imprese che sono cresciuti a dismisura. Sarebbe poi utile chiedersi quali siano i risultati prodotti da detti aiuti statali. Stando ai dati relativi all’occupazione – come scritto – resterebbero assai deludenti. Ma questa polemica è costruita ad arte per obiettivi assai ambiziosi: ripensare gli aiuti statali finalizzandoli alla sfida digitale e green – come del resto ci chiede la stessa Ue.
All’interno del capitalismo italiano si consuma un conflitto latente tra chi pensa agli aiuti dello Stato per sostenere i processi innovativi e quanti, al contrario, sfruttano l’occasione per ridurre il costo del lavoro a carico delle imprese. E attorno a questo conflitto intestino al capitalismo italiano si gioca anche il futuro produttivo del nostro Paese.
Bibliografia
https://lavoce.info/archives/104554/il-triennio-peggiore-per-i-salari-italiani
https://lavoce.info/archives/88728/quanto-pesano-dieci-anni-di-mancati-investimenti
(1) Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato per i Paesi dell’Unione Europea
venerdì, 14 giugno 2024
In copertina: Foto di Mohamed Hassan da Pixabay