Metafora per vittima e coro muto
di Stefano Bigazzi
Quasi uno scarto – voluto, pensato – nella rassegna Je t’aime a cura di Virginia Monteverde alla Sala Dogana di Palazzo Ducale. Otto artisti – otto maschi, questo ha pensato e voluto la curatrice – a declinare la violenza contro le donne. E una sezione di giovani artiste e artisti, e musica eccetera. Poi Ancora viva, performance di Franca Fioravanti cui hanno contribuito Marco Romei quale autore teatrale, la compositrice Carla Magnan, il fotografo di teatro Piero Tauro, il regista Carlo A. Bachschmidt, l’artista Mirko Credito, il videomaker Ciro Abd El. “Parlare della violenza sulle donne non è mai cosa facile, tra le opere degli artisti uomini, il mio lavoro ha preso corpo, diventando una voce al femminile di come una violenza fisica subita può essere trasformata”, spiega.
Ancora viva è forse un monologo. La protagonista racconta l’incontro con l’uomo della sua vita, ovvero quella che egli vorrebbe togliere a lei, ben inteso. Forse, quasi un monologo. Tuttavia, ascoltando il recitativo della performance si coglie un brusio impercettibile che accompagna la narrazione dell’attrice. Un coro, invisibile.
Franca Fioravanti espone Ancora viva con i tempi di una poesia, ma è pura tragedia. In tre atti e un prologo: “I tuoi occhi dentro i miei occhi. Con il corpo imbevuto di acque azzurre struggenti i fiori sbocciavano”. La storia di lei, il prima. L’incontro con lui, il dopo. Lo scontro, il presente. “Perché tu dicevi di amarmi quando solo il possesso era quello che volevi”. Ma, dice lei, col senno di poi, eravamo noi, eravamo in due. “Sino a che io non sono stata posseduta da te tu sei stato mio. Anch’io volevo solo possederti. E così credevamo di amarci. Tu sei mia, mi dicevi, io ti rispondevo sono tua”. Una metafora. E il narrare piano e dolce dell’attrice muta registro, senza salire di tono, tuttavia spazzando via dalla scena il minuetto degli innamorati. Io sono tua tua sei mia, una metafora. Per lei; per lui è un contratto, una prova d’acquisto.
“Continuavamo a odiarci credendo di amarci”, continua. E rammenta una corsa selvaggia selvatica su una spiaggia – “correvo sugli scogli forse cercando di farmi ancora del male” – e lui la vede e va come va “e così iniziò la nostra storia. Tu dicesti ti amo”. Amore amore amore, l’attrice guarda il pubblico e sé e intorno il brusio impercettibile porta le voci che non parlano e annuiscono in silenzio. E il giorno in cui lui – tu – si presenta fuori del teatro e lei – tu – crede in un’improvvisata, parole, parolacce, e quel sigillo nel dirsi sciocco tu sei mia io sono tua. Certo, tu sei mia, ho lo scontrino, il certificato di garanzia. Una bolla, un rogito, uno schiaffo. “La mia testa sul vetro del finestrino come il suono di una brocca rotta. Il tuo viso trasfigurato in una maschera bestiale. Il mio corpo era lo schermo su cui proiettavi la tia incapacità di amare”. Il coro che non si vede ma c’è e non si sente ma parla: le mani sul mio corpo ovunque, un campo di battaglia, un macello una mattanza.
Poi tutto finisce, così come era cominciato. “Ero ancora viva e questo provocava in me una gioia intima che mi dava forza”. Quel corpo imbevuto di acque azzurre. I fiori struggenti sbocciavano. E i tagli e i lividi nello spirito. Tu lo sapevi, acclama il coro, te l’aveva detto: sei mia. Credevi fosse un gioco, un minuetto, sì sono tua, dicesti firmando il contratto.
La performance non fa calare sipari. I gesti che l’hanno accompagnata, misurati, allusivi ed espliciti, sono la posa immobile della protagonista. Ma le parole, che parole! Quante parole! Anche senza parole, nel silenzio, hanno detto. Eri ancora viva.
Ancora viva?
La performance è andata in scena per la rassegna Je t’aime:
Palazzo Ducale – Sala Dogana
piazza Giacomo Matteotti, 9 – Genova
sabato 6 aprile 2024, ore 18.30
Ancora viva
di e con Franca Fioravanti
con la collaborazione di Marco Romei e Carla Magnan
venerdì, 10 maggio 2024
In copertina: Franca Fioravanti (foto gentilmente fornita dall’attrice)