Il capitalismo non funziona per le classi subalterne
di Federico Giusti
Vi è bisogno di concetti nuovi, categorie aggiornate per interpretare la realtà e riconquistare la capacità di agire problematizzando l’economia italiana alle prese con una crisi progressiva e forse irreversibile.
Da anni ci muoviamo solo nell’alveo delle compatibilità di sistema pur sapendo che dallo sfruttamento non potranno derivare benefici, urge un risveglio concettuale dopo anni nei quali le teorie e le analisi sono solo servite a giustificare le politiche neoliberiste e di austerità.
L’austerità va aggredita con una analisi aggiornata e di classe, lo Stato spende a favore di pochi e a beneficio non della spesa sociale per favorire, invece, la dipendenza dal mercato. Nella logica del capitale la spesa pubblica va rivista a favore del privato, delle tecnologie dual use, e a vantaggio del sistema finanziario. Austerità significa tassazione regressiva: aumentano le tasse sui consumi mentre diminuiscono quelle sui profitti, sui dividendi. Nel 1974 c’erano 32 aliquote fiscali, oggi ne restano solo 3.
Il pareggio di bilancio è la retorica con la quale si espropriano i cittadini: non siamo davanti a uno Stato in antitesi al mercato ma a uno Stato che opera solo in funzione del mercato e delle élite capitalistiche, drenando risorse destinate ai redditi e al welfare per indirizzarle verso i capitali.
Non basta invocare qualche manovra economica atta a una qualche ridistribuzione delle risorse, serve al contrario il coraggio di invertire la logica subalterna al capitale che sorregge le manovre di Bilancio. La mediazione delle relazioni sociali sotto l’egida del mercato ci ha portato ad assecondare le privatizzazioni, senza pensare all’economia politica per indirizzare le ricchezze verso un modello economico e sociale di rottura con gli interessi del capitale.
Da qui l’idea di sovvertire i pilastri del sistema economico vigente, rimettere in discussione il concetto che l’austerità sia una necessità per la nostra stessa sopravvivenza e non una scelta politica per favorire gli interessi del capitale. La democrazia e il capitalismo sono incompatibili e la democrazia strombazzata ai quattro venti non può essere definita tale: è sufficiente guardare alla manovra economica del Fondo Monetario Internazionale e di Milei in Argentina.
La coercizione del mercato ha precarizzato il mondo del lavoro, l’aumento dei tassi di interesse si accanisce contro il lavoro indebolendo ulteriormente i salariati.
Il fallimento della sinistra sta proprio nell’assunzione del punto di vista del capitale facendo propria, con qualche modifica, la sua narrazione – secondo la quale oggi i lavoratori non devono essere più le figure centrali della produzione.
Sono proprio le narrazioni diffuse da anni ad avere plasmato un’opinione diffusa secondo la quale non ci sarebbero alternative al modello economico vigente.
La banalizzazione delle questioni è parte rilevante del problema: basterebbe guardare ai fondi destinati alle Regioni per la gestione della sanità, sono così insufficienti da non consentire l’erogazione dei servizi sociali e sanitari indispensabili alla tutela della nostra salute e sicurezza sociale.
L’economia è politica e la politica da anni va verso il potenziamento degli interessi capitalistici. Aggiornare allora gli strumenti concettuali significa anche adottare un metodo di lavoro non tecnocratico: non servono analisi calate dall’alto. La lucidità intellettuale deve essere al servizio dei movimenti, dei lavoratori, degli interessi delle classi subalterne un po’ come accadrebbe con l’Ordine Nuovo di Gramsci. L’esatto contrario di quanto avvenuto negli ultimi anni: l’intellettuale deve partecipare al cambiamento e non prescrivere, non elargire lezioni magistrali – senza porsi con forza la necessità del cambiamento. E da qui nasce la subalternità degli intellettuali al capitale e la loro stessa organicità agli interessi delle classi dominanti.
venerdì, 23 febbraio 2024
In copertina: Fotografia fornita dall’Autore del pezzo