da Cartoline dalla Cambogia
di Simona Maria Frigerio
“Guardalo, quello era mio amico. Siamo cresciuti insieme e adesso vedi là come è lindo, con il suo Kasaya color zafferano fresco di bucato che gli drappeggia il corpo e gli nasconde una spalla. E il suo maestro, guardalo, alto e snello come un atleta e giovane e bello, che gli insegna a leggere, a scrivere, che oggi lo accompagna alla Pagoda d’Argento. Io mai ci sono entrato là dentro… nessuno mi ci ha portato. E comunque, non importa: che poi il Buddha non è nemmeno di smeraldo ma è di vetro… o giù di lì!”.
Parlo con me stesso come un matto e mi rispondo pure: “Ma a lui gli rapano la testa, e certo non può più perdersi via i pomeriggi a giocare con le ciabatte (perché le palle con il bambù intrecciato mica le trovi in città…), come facevamo un tempo nel cortile del Wat Ounalom… E si dovrà rifare il letto tutti i giorni. E… e in camerata, mica è detto che il tuo vicino non russi o scoreggi!”. Rido in maniera inaspettata, come mi capita a volte nel dormiveglia per una battuta che, aperti gli occhi, ho già scordato. O non fa più ridere.
Riprendo a camminare verso il Wat Ounalom, il monastero più antico di Phnom Penh, come proclamano le guide tutte tronfie quando riescono a far abboccare qualche turista. Oggi niente mercato. Non ne ho voglia. Tutti i giorni dalle 6 del mattino alle 6 di sera a caricarmi casse sul vecchio Piaggio che mi ha lasciato mio padre per portarle a qualche ristorante della zona o a qualche vecchia che la moto non ce l’ha o non ha la forza di alzare una cassa di pesce o di verdura. E così arrivo io e riesco a legarne fino a tre sul portapacchi con una vecchia fune e a mettermene, a volte, una sotto i piedi. Devo dire che le vecchie sono meglio dei padroni dei ristoranti. Ti danno sempre qualcosa in più, a volte anche un pesce intero – ma io preferisco la frutta perché il pesce non so dove cuocerlo, oppure la mancia. Mi fanno ridere quando si raccomandano, mettendomi qualche centinaio di riel in mano, di non bermeli tutti in birra… A me la birra fa venire la nausea: mio padre c’è morto nel suo vomito alcolico. Io me li fumo, oppure li metto via e una volta ogni tanto porto la mia ragazza a mangiare dalla vecchia all’angolo. Ma mai il venerdì o il sabato perché è strapieno di liceali che paiono tutti militari in libera uscita con la voglia irrefrenabile di divertirsi. Come se non ci fosse un domani. Io, a lei, ce la porto il martedì o il mercoledì, quando possiamo sederci tranquilli in un tavolino tra due lampioni a mangiarci un amok o un piatto di vongole al peperoncino, soli soletti, e allora io le racconto di quando avrò il mio banco della frutta (niente pesce o carne pieni di sangue o trecce puzzone d’aglio) al Mercato Centrale, e rifornirò il meglio dei ristoranti e dei roof bar della città. La faccio sempre ridere quando pronuncio ‘roof bar’ e poi le dico che deve continuare a studiare perché mi servirà chi fa di conto e scrive i contratti e li legge e non permette che qualche cliente mi freghi e non paghi… E lei mi ascolta e annuisce e pare davvero crederci che quando sarà diplomata penserà ancora di sposarmi e di aiutarmi a mettere su un banco di frutta al mercato…
Ma oggi non ce la faccio. Se lui può prendersi la giornata, libero dai libri, io me ne vado a giocare.
Arrivo svogliatamente al Wat Ounalom sotto il sole canicolare delle tre, calciando una lattina di cola a falcate lunghe. Mi immagino come un ballerino che faccia volteggiare la sua dama tra foglie secche e sputi… Rido come sempre sguaiatamente alle mie battute. Sono l’unico a farlo – anche perché non ho mai il coraggio di pronunciarle ad alta voce. In realtà parlo poco, tranne con lei… e con testa rapata prima che si facesse monaco (anzi, che sua madre lo mandasse a farsi monaco).
Fuori dal Wat un turista guarda sconsolato il monastero. Chissà cosa credeva di vedere? Pensava davvero di trovarci il sopracciglio del Buddha? Abboccano sempre, soprattutto quando è quello del tuk-tuk coi pannelli solari a intortarli. Ma come si fa a credere a uno che guida un tuk-tuk coi pannelli solari sul tettuccio, mi domando io… Scuoto il capo ed entro nel cortile ingombro di calcinacci.
Oggi si suda anche a respirare. Vicino al gong trovo il solito gruppetto. Basta un cenno col capo e sappiamo già come formare le squadre. Una ragazza con la canotta ci guarda incuriosita. Lei, qui, non si aspettava niente. Ci offre due bottigliette d’acqua fresca ancora tappate. Ce le passiamo di mano e ringraziamo con un cenno del capo e iniziamo a giocare. Lei si siede su un gradino all’ombra e si mette a guardarci.
venerdì, 17 maggio 2024 (la settimana prossima, un nuovo racconto)
Per chi si fosse perso i precedenti:
In copertina: Foto di Simona Maria Frigerio
(Cartoline dalla Cambogia, di Simona Maria Frigerio ©2024, tutti i diritti riservati, vietata la pubblicazione integrale o parziale senza il consenso dellʹautrice)