L’opinione pubblica e la strumentalizzazione dei media
di Simona Maria Frigerio
Due donne, profondamente diverse, stanno occupando le prime pagine dei giornali, Chiara Ferragni e Ilaria Salis. Proviamo a dare una lettura, come sempre controcorrente, di tale scelta mediatica.
Partiamo da Chara Ferragni, accusata (si badi bene: innocente fino al terzo grado di giudizio) di truffa aggravata. In pratica, mentre i consumatori pensavano di comperare prodotti sponsorizzati da Chiara Ferragni perché parte del ricavato andava in beneficenza, la socialite incassava centinaia di migliaia di euro e le associazioni poco o nulla. I casi contestati sarebbero tre. Quello del pandoro Balocco Pink Christimas acquistato ‟a 9 euro contro i 4 euro (prezzo solito di vendita)” (1), per il quale l’acquirente avrebbe sborsato tanto, in quanto ‟portato a credere di donare all’ospedale Regina Margherita… per le cure dei bambini malati” la differenza. Ossia che con ogni singolo acquisto si sarebbe contribuito al finanziamento della struttura torinese, ‟cosa che non è accaduta perché l’azienda dolciaria di Fossano (Cuneo) aveva già donato 50 mila euro”.
Gli altri due casi riguardano le Uova di Pasqua della Dolci Preziosi e la bambola Chiara Ferragni by Trudi. Tra il 2019 e il 2022, in queste operazioni, Ferragni avrebbe ‟pubblicato sui social post, stories e ‛video fuorvianti’per i consumatori” (1), come il seguente per la bambola: ‟i profitti andranno a Stomp out bullying, un’organizzazione no profit per combattere contro il cyberbullismo, un argomento molto vicino al mio cuore”. Ma forse non così vicina al suo ‛portafoglio’ (scusate la battuta!) se risulterà vero quanto affermato da Ross Ellis, Presidente della no profit che, a Zona Bianca ha affermato: «Non so chi sia questa donna. Non abbiamo mai ricevuto una donazione». E infine, come spiegano sempre i colleghi del Fatto, ‟nel caso delle Uova di Pasqua Dolci Preziosi: sia sulla confezione delle uova che nella campagna di comunicazione, era pubblicizzato il sostegno al progetto benefico I Bambini delle Fate, un’associazione che si occupa di progetti di inclusione per bambini con autismo. L’influencer avrebbe ricevuto un cachet di 1,2 milioni (500mila euro nel 2021 e 700mila circa nel 2022) per aver ceduto la sua immagine. La donazione all’associazione, effettuata solo dall’azienda, sarebbe stata di 36mila euro in due anni”. Iscritto per truffa aggravata, ‟per i capitoli pandoro e uova, anche Fabio Maria Damato, manager e stretto collaboratore dell’influencer” (1).
E chissà se con la nuova legge ‛bavaglio’, che non permetterebbe di pubblicare alcunché fino al termine dell’udienza preliminare, i consumatori avrebbero continuato a fare ‛beneficenza’ in favore di Ferragni e delle aziende coinvolte (anch’esse, a loro volta, indagate a vario titolo). Ma se della libertà della stampa non importa agli italiani…
Non vogliamo entrare nel merito delle accuse perché sarà la magistratura a decidere ma ciò che vorremmo chiederci e chiedervi è come mai una socialite, ossia una persona che guadagna milioni di euro grazie ai suoi messaggi e alle sue foto su una piattaforma social, ovvero un personaggio pubblico che sa vendere la sua immagine e, attraverso la stessa, una serie di prodotti – dagli shampoo all’acqua – abbia raccolto maggiori consensi nel momento in cui ha prestato la stessa immagine, invece che per un pandoro, per un pandoro più costoso in quanto la differenza di prezzo sarebbe stata versata in beneficenza. Ora, la socialite avrebbe potuto fare pubblicità a un pandoro (venduto a prezzo standard), farsi pagare come volto immagine, e poi donare in privato parte del compenso. Certo, in questo caso sarebbe stata lei e non noi a versare il contributo e il ritorno di immagine di ‛reginetta della beneficenza’ sarebbe mancato. Ed è altrettanto vero che in un Paese che non apprezza più la riservatezza, che vive di reality e programmi tv dove le coppie lavano i propri panni sporchi in pubblico e genitori e figli si fanno a pezzi per la gioia della canea, capiamo bene che fare beneficenza in privato possa sembrare non solo fuori moda ma anche da stupidi dato che non ci si guadagna niente. La seconda opportunità che avrebbe avuto la socialite sarebbe stata quella di offrirsi direttamente alle associazioni o alle Ong per aiutarle a raccogliere fondi, trovando un prodotto da pubblicizzare maggiorato di prezzo così da donare la differenza all’Associazione o Ong, trattenendosi una percentuale prestabilita come compenso per la propria mediazione e per l’uso della propria immagine. Non sappiamo quanto tale intermediazione sarebbe stata lecita (non essendo giuristi) o, soprattutto, etica – visto che l’interesse per un progetto a fini sociali dovrebbe essere scevro dall’interesse economico – e però in un regime capitalistico dove il lavoro va retribuito e un giornalista è tale non perché fa inchieste serie o verifica i fatti ma in quanto retribuito, spendere il proprio tempo per una Ong invece che per una multinazionale potrebbe rientrare nel business e la socialite, magari pretendendo un compenso inferiore all’usuale, avrebbe anche incassato un ritorno di immagine come ‛reginetta della beneficenza’.
Sappiamo però che le accuse mosse contro Ferragni sono molto più pesanti (come già scritto) e, a questo punto, ci lasciano basiti due questioni emerse dalla trattazione del caso da parte dei media e dei follower. Per quanto riguarda i primi, ricomprendendo anche alcune dichiarazioni dei colleghi di Ferragni, fa pensare il fatto che accuse così gravi (ma che, ribadiamo, dovranno essere provate in tre gradi di giudizio) siano declassate a ‘errori’. Un errore, per una socialite, può essere caricare un post in ritardo, digitare in maniera scorretta un nome straniero, impaperarsi in un video live, o non essere abbastanza conforme al falso anticonformismo imperante, ma quanto descritto dal Fatto pare una svista troppo grossolana per una manager di se stessa altrimenti tanto accorta. Per ciò che riguarda i follower, che d’un tratto possono trasformarsi in hater (e del resto se ci si arricchisce coi primi, bisognerà anche accettare le critiche dei secondi, anche perché basta non leggerne i messaggi o blindare i propri canali per evitare di stressarsi), ciò che dovrebbe farci riflettere tutti – come società – è dove abbiamo sbagliato. Come può una bella ragazza che vende balsami e creme per i capelli, attraverso la propria immagine sempre più patinata e omologata a un bello e a un pensiero unico da rotocalco arcobaleno, essere diventata un tale mito che, scoperta la sua debolezza, ci sembra crollare l’effige del Mahatma Ghandi? Cosa avrebbe fatto Ferragni nella sua vita per diventare un modello? Ha scritto The making of… Italians?, scoperto la radioattività di uranio e polonio?, è stata la prima atleta a vincere una medaglia alle Olimpiadi nel nuoto o ha conquistato un oro a Mosca nel salto in alto?, ha cantato Der Hölle Rache in maniera talmente perfetta che la Scala ha preteso il bis a scena aperta?, oppure è morta difendendo le case dei palestinesi dai carri armati israeliani? Diciamocelo, cari follower adesso inviperiti, il problema non è scoprire che una socialite non è la ‛reginetta della beneficenza’, bensì scoprire che avete creato un mito da un grazioso visino che sponsorizza una delle tantissime acque che fanno fare ‛plin plin’ o cose simili (come se non si sapesse che le acque, anche quella del rubinetto, fanno fare tutte tanta ‛plin plin’!).
E veniamo a chi sale, ossia a Ilaria Salis, il cui caso avrebbe dovuto sollevare l’interesse della nostra ambasciata e dei nostri media 11 mesi fa e non oggi. La versione ufficiale è che è diventata un problema nazionale in quanto portata in aula in catene. Ovviamente non siamo d’accordo con alcun mezzo di costrizione tanto offensivo per la dignità della persona, ma che lo stesso susciti l’indignazione italiana ed europea a questi livelli, mentre quando lo praticano gli statunitensi (anche mediaticamente quante volte vediamo accusati di omicidio incatenati in aule di tribunale (2) o in film e telefilm made in Us?), non alziamo nemmeno il sopracciglio, fa sorgere qualche dubbio.
Speriamo sinceramente che Salis abbia un giusto processo e possa dimostrare la propria innocenza (nella quale personalmente crediamo) rispetto alle accuse. Ma ci domandiamo se questi attacchi, più ancora che contro un procedimento (incatenare i prigionieri) che vorremmo fosse abolito in ogni Stato (amico o nemico), non siano stati un mezzo per aizzare l’opinione pubblica contro Orban – dato che era l’unico leader della Ue a porre il veto ai 50 miliardi di finanziamento della carneficina ucraina in funzione regime change in Russia. Dopo l’evidenza manifesta del doppio standard occidentale emersa di fronte ai crimini degli israeliani (che stanno contravvenendo perfino alle misure provvisorie imposte dalla Corte di Giustizia Internazionale dell’Aia, continuando a uccidere civili nella Striscia di Gaza), emerge oggi l’evidenza che l’accusa di tanti Paesi del Sud del mondo (dall’America Latina all’Asia, dal Medio Oriente fino all’Africa) che l’Occidente sollevi la questione dei diritti umani solo per i propri fini geopolitici, potrebbe non essere tanto anodina.
E speriamo anche che Salis, dimostrata la propria innocenza, torni a manifestare contro nazisti e fascisti – anche qui in Italia. La attendiamo nelle piazze dove si rivendica il diritto di esistere del popolo palestinese (ma chissà che, a quel punto, i nostri media e politici smettano di difenderla).
(1) Il pezzo approfondito su Il Fatto Quotidiano: https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/01/31/chiara-ferragni-la-beneficenza-serviva-per-un-rafforzamento-della-sua-immagine-secondo-la-procura-generale-limprenditrice-avrebbe-ottenuto-accresciuto-consenso-e-incrementi-nei-cachet/7428279/
(2) The Making of Americans di Gertrude Stein; Marie Curie; Novella Caligaris; Sara Simeoni; Albina Shagimuratova; Rachel Corrie
(3) Un articolo interessante al riguardo: https://electomagazine.it/catene-ai-detenuti-degradanti-in-ungheria-rieducative-negli-usa-lipocrisia-dei-servi-di-washington/
venerdì, 9 febbraio 2024
In copertina: Foto di Alexander Lesnitsky da Pixabay