Ennesimo bombardamento anglo-statunitense a un Paese sovrano
di Luciano Uggè
A poche ore dal lancio di missili Tomahawk da navi da guerra e aerei da combattimento statunitensi e britannici (che hanno colpito le città yemenite di Sana’a, Al Hudeidah Saada, Dhamar, Taiz e Hajjah), Valerie Anne Hoyle, membro della Camera dei Rappresentanti per lo Stato dell’Oregon, ha affermato: “Tali attacchi aerei non sono stati autorizzati dal Congresso. La Costituzione è chiara: il Congresso è il solo a poter autorizzare il coinvolgimento dell’esercito in conflitti all’estero. Ogni presidente deve prima chiedere al Congresso l’autorizzazione all’azione militare, indipendentemente dal partito”.
L’attacco, quindi, voluto dal Presidente Biden contravvenendo alle leggi del suo stesso Stato, e che sembra mirare a supportare la volontà israeliana di allargare il conflitto in Palestina all’intero Medio Oriente, è un segnale pericolosissimo in quanto palesemente inteso a sostenere un Paese che sta portando avanti un’operazione di pulizia etnica e, nel cantempo, che tenta di riaccendere le tensioni tra Arabia Saudita e Iran facendo saltare non solamente quei negoziati di pace perseguiti laboriosamente dalla Cina ma anche l’alleanza economica dei Brics.
Del resto, gli Stati Uniti stanno faticando non poco a raccogliere alleati per quella missione nel Mar Rosso intesa a frenare gli attacchi degli Houti yemeniti (alleati dell’Iran) ai convogli diretti a Israele. Attacchi che potrebbero essere interpretate come ‘sanzioni’ unilaterali – applicate da un Paese che non può permettersi di esercitare pressioni economiche e finanziarie come gli States o l’Europa – ma che mira a impedire non il commercio internazionale bensì che Israele continui a ricevere gli aiuti dall’Occidente per la strage dei palestinesi.
La nuova Operation Prosperity Guardian, lanciata dagli States (come sempre con titolo da biscotto della fortuna: ‘guardiano della prosperità’), non ha finora raccolto l’adesione di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti mentre, tra tutti i Paesi arabi, l’unico ad aver abboccato all’amo è stato il Bahrain. E questo preoccupa Biden viste le succitate mire di destabilizzazione.
Ma accanto, anche in Occidente, gli restano in pochi e persino quelli che formalmente non si sottraggono alla chiamata, lo fanno in punta di piedi.
L’elenco – mentre scriviamo – include, oltre ai fidati britannici, Australia, Canada, Danimarca, la Germania economicamente in caduta libera del Premier Scholz, il Paese in svendita (ossia la Grecia), i bellicisti Paesi Bassi, la Norvegia, la città/stato di Singapore e lo Sri Lanka (forse non sazio di guerre dopo quella con le Tigri Tamil), oltre a un vero pezzo da Novanta… come le isole Seychelles. Non sarà un caso, quindi, che oltre alla portaerei statunitense Eisenhower con relativa scorta, la USS Gravely, le USS Laboon e Mason, solamente i britannici abbiano inviato l’HMS Diamond, mentre ci risultano solo annunci danesi e greci di invio di una fregata per ciascun Paese.
Per il resto parrebbe che gli olandesi, i canadesi (oltre a eventuali veicoli di supporto non meglio specificati), i danesi e i norvegesi invieranno qualche ufficiale – così come gli australiani personale militare. Le Seychelles riceveranno e forniranno informazioni (su quali basi e da quali fonti non è dato sapere), similmente a Singapore.
Forse proprio la fredda accoglienza per l’ultima missione di ‘pace’ statunitense ha spinto Biden a premere sul pedale dell’acceleratore. Vedremo se i Paesi arabi cadranno nel tranello rompendo nuovamente il fronte arabo oppure se questa volta Israele dovrà rispondere al mondo per i crimini di guerra commessi in Palestina e, con Netanyahu, sul banco degli imputati non potrà che esserci il suo primo sponsor. Al momento la risposta degli yemeniti è stata esemplare, con milioni di persone in piazza a Sana’a per manifestare contro l’attacco anglo-statunitense.
venerdì, 19 gennaio 2024
In copertina: Image by Miguel Á. Padriñán from Pixabay