Il teatro italiano, finanziato dallo Stato, può schierarsi a favore della Palestina?
di Simona Maria Frigerio
Liesbeth Coltof, Carly Everaert, Marijn Lems, Laura van Dolron e Nan van Houte, con altri membri di TheatervoorGaza hanno lanciato un appello affinché teatranti, attori, registi, organizzatori e maestranze del mondo del teatro di-mostrino il loro sostegno al popolo di Gaza e dei Territori Occupati da Israele:
“A tutti i Cari colleghi,
I nostri amici e colleghi in Palestina hanno bisogno della nostra voce.
Crediamo di non poter più rimanere in silenzio mentre le voci palestinesi a Gaza e ora in Cisgiordania sono sistematicamente uccise, eliminate fisicamente, o messe a tacere e la cultura e il patrimonio palestinese sono distrutti. Chiediamo la vostra collaborazione e il vostro aiuto.
Potete condividere questo messaggio con il vostro pubblico prima degli spettacoli?
Come farlo dipende da voi. L’opzione migliore sarebbe leggerlo prima dell’inizio dello spettacolo, dal palco o in sala, ma potete anche stamparlo e appenderlo in sala o distribuirlo al pubblico.
Naturalmente siete liberi di cambiare qualsiasi parte del testo, purché il messaggio rimanga chiaro: siamo solidali con i nostri amici e colleghi in Palestina”.
Questa, la proposta di Dichiarazione:
“Caro pubblico,
Vorremmo prenderci un momento per condividere con voi un messaggio su un prezioso teatro sotto attacco, su un luogo di cultura e pace importante per tutti noi.
La mattina di mercoledì 13 dicembre – insieme a un centinaio di altri residenti di Jenin – i leader del Freedom Theatre sono stati arrestati e imprigionati e il teatro più famoso della Palestina è stato vandalizzato. Jenin si trova in Cisgiordania, vicino a Ramallah. Numerosi attori hanno già perso la vita a Gaza, così come ormai circa 100 giornalisti e 60 artisti. 10 case editrici e 23 centri culturali, musei e biblioteche, innumerevoli edifici storici, chiese secolari e moschee, sono stati ridotti in macerie dalle bombe.
Un’intera cultura è stata spazzata via.
Abbiamo una voce, abbiamo un palcoscenico, non verremo arrestati se usiamo la nostra voce…
Il teatro ha una ricca tradizione di denuncia dell’ingiustizia e della disumanità.
Non renderemo giustizia a tutto ciò se resteremo in silenzio stasera su Gaza, su Jenin, sulla Palestina, e se non usiamo questa luce che ci illumina e questo palco per dare voce alla nostra rabbia, al nostro sgomento per il disastro umanitario che sta avvenendo di fronte ai nostri occhi.
Solo allora potremo andare in scena, per voi, oggi…
Quindi parliamo apertamente affinché anche voi lo facciate. Fate quello che potete, dove potete, ma non lasciate che l’impotenza diventi indifferenza, che la frustrazione diventi non-azione.
Il nostro silenzio si trasforma in complicità.
I dati di quello che ormai si può chiamare a pieno diritto un GENOCIDIO, aumentano vertiginosamente ogni giorno, la maggior parte delle vittime sono civili inermi e questo attacco indiscriminato deve e sarà punito. Pochi giorni fa la Repubblica del Sudafrica, che ben conosce l’Apartheid e la discriminazione su base etnica, si è appellata al Tribunale dell’Aia denunciando le azioni di Israele contro il popolo palestinese a Gaza. L’accusa è quella di crimini contro l’Umanità, per ciò che sta facendo Israele, colpendo a tappeto ospedali, scuole, chiese, abitazioni, in una zona così densamente popolata come la Striscia di Gaza. Israele sta portando avanti un genocidio ai sensi della Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio delle Nazioni Unite. Giudicherà il Tribunale dell’Aia, giudicherà la Storia.
Noi, nel nostro piccolo vogliamo fare la nostra parte.
Vi chiediamo di ascoltarci, vi chiediamo ancora una volta di non restare in silenzio, di ʻrestare umani’”.
*°*°*
La nostra redazione rilancia convintamente l’appello. Ma si domanda quanti teatri, luoghi sempre più svuotati di contenuti urticanti, sempre più votati alla piaggeria del teatro borghese e al qualunquismo di quello di botteghino (garantito, però, dai fondi elargiti da Stato e Comuni) penseranno che la dignità umana conti più della propria prebenda.
Sempre meno il palcoscenico è specchio deformante della realtà – basti contare quanti testi negli ultimi tre anni hanno affrontato temi quali la pandemia o la ghettizzazione di una parte della società operata con il green pass. Eppure le tragedie, agli antichi greci servivano perché la polis si riunisse per ricordare, capire, purificarsi e riconciliarsi – in un pianger ridendo. Quanti testi hanno affrontato, negli ultimi lustri, il tema di una sola tra le decine di guerre che infiammano il pianeta, anche in questo momento, o una delle tante a cui abbiamo partecipato, fedeli alleati degli States ʻportatori di pace’ (o difensori dei propri interessi economici?). E quanti hanno raccontato di Abu Ghraib, Julian Assange o Daniel Hale? Ci manca Aristofane ma ci manca soprattutto Brecht.
Il teatro italiano è troppo dipendente dal capriccio politico per investimenti, spazi, contributi economici per osare criticare coloro che, in fin dei conti, lo mantengono – nella sua pusillanimità borghese.
Saremmo felici di ricrederci.
venerdì, 12 gennaio 2024
In copertina: Foto di Mauricio Keller da Pixabay