La retorica delle Giornate internazionali dell’Onu
di Simona Maria Frigerio
Abbiamo deciso di pubblicare questo articolo qualche giorno dopo il 25 e il 29 novembre perché non vogliamo scadere nella polemica. A bocce ferme, come si suol dire, cerchiamo di ragionare.
Secondo la Convenzione IV relativa alla protezione delle persone civili in tempo di guerra (datata 1949), un Paese occupante (come è Israele in Palestina), “non potrà procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della sua propria popolazione civile nel territorio da essa occupato” (articolo 49); “ha il dovere di assicurare, nella piena misura dei suoi mezzi, il vettovagliamento della popolazione con viveri e medicinali” (articolo 55); “ha il dovere di assicurare, nella piena misura dei suoi mezzi, e di mantenere, con il concorso delle autorità nazionali e locali, gli stabilimenti e i servizi sanitari e ospedalieri, come pure la salute e l’igiene pubbliche nel territorio occupato” (articolo 56).
Ora è ovvio che Israele da mezzo secolo e oltre non rispetta l’articolo 49 in quanto i suoi colonialisti militarizzati hanno invaso la Cisgiordania con i loro insediamenti illegali; né l’articolo 55 laddove sappiamo bene che a Gaza il 45% della popolazione è disoccupata (soprattutto donne e giovani) e il 40% della popolazione ha bisogno di assistenza umanitaria (1); né l’articolo 56 (ben prima della distruzione degli ospedali di queste settimane) visto che “la tutela della salute è demandata agli aiuti umanitari” (2).
Le donne dello Stato di Palestina, quindi, combattono da decenni per la sopravvivenza e, metaforicamente parlando, il maschio che dovrebbe garantire loro almeno la stessa (ossia lo Stato di Israele e il suo Premier, Benjamin Netanyahu, come ‘buon padre di famiglia’), al contrario, ne massacra i figli, le fa morire di parto, le uccide bombardandole, facendo crollare loro addosso la casa, ne distrugge le coltivazioni affamandole, e sottraendo loro illegalmente l’acqua (3) ma anche il gas e il petrolio (4, 5).
Questo non è femminicidio? Perché Netanyahu non sta uccidendo la propria moglie ma migliaia di donne che, come palestinesi e arabe, finivano già ricomprese ben sette anni fa fra le “wild beasts”?
La retorica delle Giornate Internazionali dell’Onu e i casi di cronaca nera
Le Giornate che le Nazioni Unite hanno dedicato a questa o quella mission ormai surclassano quelle dedicate ai santi del calendario canonico. Ci sono la giornata dei legumi (10 febbraio) ma non dei cereali; quella della felicità (20 marzo) ma non dell’amore; del jazz (30 aprile) e attendiamo la zumba; del tonno (2 maggio) ma non del delfino; dello yoga (21 giugno) anche per i non indiani; delle capacità dei giovani (15 luglio) e non della saggezza dei vecchi (pardon: anziani); delle giovani ragazze (11 ottobre): ma questo è sessismo al contrario e pretendiamo anche quella dei giovani ragazzi; e perfino della televisione (21 novembre) ma non del cinema; o delle banche (4 dicembre) ma mai delle finanziarie! (6)
Il 29 novembre sarebbe perfino La Giornata Internazionale di Solidarietà con il popolo palestinese…
Stabilita l’assoluta inutilità di dedicare una giornata l’anno alla retorica di regime (l’8 marzo dovrebbe avere insegnato qualcosa a noi donne), di fronte all’ennesimo femminicidio (caduto quasi in concomitanza con il 25 novembre, Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne), a noi sarebbe parso interessante che le nostre eminenti politiche, le due leader dei partiti – uno al governo e uno all’opposizione – che guidano le sorti delle italiane e degli italiani, visto quanto sta accadendo alle donne di Gaza (ma anche della Cisgiordania) avessero pensato a loro, aldilà delle sponde del Mediterraneo, stringendosi in solidarietà con mogli, madri e figlie che sono uccise ‘a mazzi’ da uomini in divisa.
E invece no: il pensiero di maggioranza e opposizione si è volto all’ora di lezione di ‘affettività e rispetto’. Cogliendo l’occasione dell’ultimo caso di cronaca nera esplicitatosi in un femminicidio, che offusca nei notiziari sia il Donbass sia la Palestina (e il primo soprattutto perché la narrazione sta cambiando, ma questo è un discorso da fare a parte), si fa nascere un progetto bipartisan che sa di vetero-stantio.
Per avere, magari, l’agognato 8 in pagella per la nuova ‘materia’, immaginiamo che ragazzi e ragazze faranno come Elodie: chiederanno, dal banco, un minuto di silenzio per l’ultima donna ammazzata e poi, in corridoio, mentre i maschi canteranno: “Sei soltanto mia, mai più di nessuno / Odio chi altro ti ha avuta o fatto sentire al sicuro…/ E sco*iamo tutta la notte / Spero che il vicino non senta / Ti ho detto cose, ero fuori di me / Tu mi mandi fuori di testa / A duecento sopra ad un Carrera / Dimmi che sei sincera / Per te vado in galera”; loro intoneranno il ritornello: “Baby, anche stasera ti ho detto cose, ero fuori di me / Ma tu non dimenticare mai che / Quando sco*iamo, ti amo per davvero / Per davvero” (7). Dove ciò che infastidisce è l’asterisco – quasi che il problema sia pronunciare la parola ‘scopare’ e non ‘sei soltanto mia’ (lontani i tempi in cui le donne rivendicavano: «Io sono mia»). E infastidisce pure quel ‘vado in galera’ dato che, come insegna Amore criminale (buona trasmissione, pessimo titolo), gli uomini che uccidono le donne restano in galera pochi anni, quando non li si assolve perché colti da ‘raptus’. E infine infastidisce anche che una donna ami solo quando ‘scopa’: il resto del tempo che fa?
L’educazione sentimentale da Flaubert alla scuola pubblica
Una società che pratichi l’affettività grazie a leggi, modelli e comportamenti non violenti, una scuola dove si insegni l’educazione sessuale come parte di scienze e biologia (magari puntando anche a come evitare gravidanze non volute e malattie sessualmente trasmissibili), una famiglia e degli amici che dimostrino rispetto per sé e per noi: questo sarebbe il migliore dei mondi possibili.
Ma in una società violenta e volgare, come la nostra, dove il doppio standard è lampante a ogni livello e in ogni settore – dalla canzonetta alle stanze dei bottoni – e dove non siamo in grado nemmeno di assicurare il tempo pieno nelle scuole statali di ogni ordine e grado (così da favorire anche l’insegnamento di materie musicali, artistiche e la pratica degli sport), la proposta di Elly Schlein di “una legge che introduca l’educazione al rispetto e all’affettività in tutte le scuole d’Italia” non solo appare anacronistica ma fa sorgere dubbi: a chi toglieremo l’ora (a lettere o a storia)?
Dal Governo, la risposta – che i media definiscono ‘olistica’ – la dà direttamente il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, che presenta un piano dal titolo Educare alle Relazioni, che prevederebbe “un’ora a settimana nelle scuole superiori con incontri per tre mesi all’anno per introdurre l’educazione sentimentale e promuovere la consapevolezza sulle conseguenze degli abusi”.
A prescindere che un Ministro al ‘Merito’ ci suona strano: in Italia si crederebbe al ‘merito’ se esistesse una scuola efficiente, che serva sia da incubatrice di saperi e senso critico, sia da ascensore sociale – invece di ritrovarsi con edifici fatiscenti dove gli studenti bivaccano per apprendere a memoria qualche rudimentale nozione da ripetere a pappagallo ai ‘prof’, e poi tornarsene nelle loro periferie a languire sognando di diventare famosi con un reality o di comprarsi lo slip con l’elastico firmato. Ci preoccupa di più l’uso del termine ‘educazione sentimentale’.
Chi la impartirebbe? Sembra che dovrebbero intervenire anche gli “influencer, cantanti e attori”. Ossia i vari Elodie e Sfera Ebbasta, o personaggi politically correct come Fedez e Rosa Chemical, che sviliscono l’omosessualità con una scenetta da avanspettacolo sotto palco? Fa specie che il Ministro al ‘Merito’ non abbia pensato al Bel Ami di Maupassant o a Éducation sentimentale di Flaubert o a La Fugitive di Proust (tutti libri che, se letti, alle superiori possono raccontare dei rapporti tra uomini e donne e tra questi e il potere, delle passioni giovanili e del rischio che si scontrino contro la dura realtà del crescere e conformarsi, di donne che fuggono per non essere soffocate da amanti dispotici). La scuola ha già strumenti come la storia, la letteratura, la poesia, ma anche la scienza, l’arte e la musica per stimolare i ragazzi a riflettere su di sé e il rapporto con l’altro da sé. Per non citare il teatro – che se ha un valore propeduetico alla vita, in un carcere, non può che averne altrettanto (quando esercitato da professionisti e non dalla ‘prof. di lettere’) a scuola. E poi pensiamo al cinema: a quanto insegnò a noi studenti delle medie un film come L’albero degli zoccoli e come Padre Padrone, proiettati in auditorium in ora di lezione, per farci comprendere cosa fosse la società contadina e patriarcale.
Ma in questa scuola che non ha nemmeno i mezzi per fornire rudimenti informatici o un paio d’ore di palestra la settimana, leggiamo che il succitato piano prevederebbe “il supporto occasionale di psicologi, avvocati, assistenti sociali, e organizzazioni contro la violenza di genere”. Immaginiamo tutti volontari e tutti concordi su cosa insegnare e come. E non aggiungiamo nulla sulle tre garanti, assegnate e le cui nomine sono state prontamente ritirate dal Ministro che, aldilà che non ci pare abbiano studi di psicologia né esperienza diretta nella scuola pubblica, avrebbero fatto meglio a chiedere, appunto, una scuola che, coi propri mezzi e saperi, integrasse discorsi come rispetto verso sé e gli altri e affettività nel normale programma dei vari insegnamenti.
Veniamo infine alla parola ‘rispetto’ che, nel caso di un’ora di lezione, ci lascia perplessi. Il rispetto fino a qualche anno fa, lo studente lo dimostrava alzandosi in piedi quando entrava l’adulto (maestro, professore o direttore). Rispetto del superiore e delle gerarchie. Poi è invalso il rispetto al volere della maggioranza (la cosiddetta democrazia), al pensiero omologante (in epoca Covid-19 la moda imperante), dei bisogni indotti, della ricchezza e del potere (fin dall’esplosione del consumismo). Sarà ormai mezzo secolo che introiettiamo sempre più ‘oggetti’ da rispettare – in quanto ambìti, desiderabili, che dimostrano la nostra appartenenza a un gruppo e a uno status sociale. Eppure il rispetto di sé, per il pensiero e l’opinione altrui, ci stanno diventando sempre più alieni.
Si è molto parlato e urlato di patriarcato. Ma è questa la ragione della violenza del maschio sulla propria compagna (o, più spesso, ex)? Pensiamo all’eredità del romanticismo, al contrario. Quante giovani si sentono gratificate da ragazzi che impediscono loro di andare all’estero, per uno stage o l’Erasmus, perché così facendo il ‘loro’ (anche questo un possessivo, sic!) ragazzo dimostra di non volere che restino lontani nemmeno poche settimane? E quante bramano di salire sull’altare (civile o religioso) solo per il vestito bianco e la festa con giochini da villaggio vacanze e musica fino all’alba? Quante accettano di non indossare una minigonna, ingrassare o dimagrire, truccarsi o meno, scegliere un posto di lavoro o un altro a seconda di quanto aggrada al loro lui (ignorando i propri desideri e obiettivi perché sono certe che se lui decide così è perché ci tiene davvero a ‘loro’)? E infine quante fraintendono e considerano disinteresse il rispetto di un lui che lascia a loro la libertà di scelta?
In 12 ore in tre mesi, come farà una giovane donna ad apprendere il valore del rispetto verso se stessa, prima di tutto e tutti, quando il modello culturale imperante canticchia: “Quando sco*iamo, ti amo per davvero” o si esibisce in tanga mentre afferma di non volere essere considerata un ‘oggetto sessuale’? Come farà un ragazzo o una ragazza a capire l’importanza di rispettare la libertà di opinione altrui quando la società etichetta e discrimina chiunque la pensi in maniera non conforme? E come si potrà mai credere a una società aperta e accogliente quando è il potere stesso a dimostrarsi sprezzante e violento – come dimostrano, metaforicamente, lo Stato di Israele, con la sua arroganza da maschio prevaricatore e potente, e l’Occidente che guarda e ridacchia, come fanno di solito i complici del bullo di turno?
(1) https://greenreport.it/risorse/rapporto-unctad-la-disperata-poverta-del-popolo-palestinese-abbandonato/
(2) https://forward.recentiprogressi.it/it/rivista/numero-27-invisibili/articoli/in-palestina-la-salute-non-e-un-diritto-di-tutti/
(3) https://www.geopolitica.info/il-ruolo-dellacqua-nel-conflitto-israelo-palestinese/
(4) https://www.infopal.it/israele-e-il-furto-di-gas-e-petrolio-dai-giacimenti-in-cisgiordania/
(5) https://greenreport.it/news/energia/gaza-guerra-nuova-rapina-gas-mano-armata/
(6) https://www.inthenet.eu/2022/11/25/giornata-internazionale-per-leliminazione-della-violenza-contro-le-donne/
(7) Alcune strofe tratte da Anche stasera di Sfera Ebbasta
venerdì, 15 dicembre 2023
In copertina: Foto di AkshayaPatra Foundation da Pixabay