Un’intervista/confronto sulla “comprensione critica dell’ideologia a partire dall’analisi dei fenomeni della cultura di massa”
di Daniele Rizzo
Alessandro Alfieri, filosofo e giornalista, scrittore e saggista grafomane orgogliosamente ‘di Roma Est’ come appare scritto sul suo profilo social, è attualmente docente in diversi istituti e università italiane, oltre a essere una delle firme di punta da molti anni della webzine Persinsala.
Quello di Alfieri è un profilo articolato e complesso, ma, come vedremo, coerente, ripercorrendo la sua ultima fatica editoriale, Video Web Armi. Dall’immaginario della violenza alla violenza del potere pubblicato dalla Casa editrice Rogas. Si tratta di un saggio che è un percorso fra cultural studies, filosofia, antropologia e sociologia, col quale Alfieri si candida ufficialmente a diventare lo Slavoj Žižek italiano.
Il possibile accostamento al filosofo-psicoanalista sloveno è per Alfieri, però, da prendere molto con le molle: «Ma magari! Žižek è sempre stato un punto di riferimento imprescindibile per me, d’altronde ci sono colleghi decisamente più meritevoli di tale accostamento. Io per esempio sono lontano dalla psicoanalisi lacaniana e molto più affine alla teoria critica adorniana, anche se per quanto riguarda la barba e l’attitudine c’è sicuramente una vicinanza. Io vesto meglio però. E le mie condizioni fisiche e il mio rapporto con le dipendenze è diverso… ho smesso di fumare di recente, dopo vent’anni. E poi sono ovviamente di un’altra generazione: alla mia età lui scriveva L’oggetto sublime dell’ideologia che, però, non è un caso sia stato tradotto solo pochi anni fa in Italia. Questo per dire che Žižek è diventato Žižek in tutto e per tutto intorno ai 50 anni, alla fine degli anni Novanta, perciò ho ancora un po’ di tempo a disposizione! Alla mia età lui assisteva alla guerra civile e all’inizio della drammatica disgregazione del suo Paese, la Jugoslavia, io oggi assisto alla più grave emergenza sanitaria a livello globale che l’uomo possa ricordare. Le situazioni di crisi stimolano le menti brillanti di solito… speriamo, ma mica ne sono convinto…».
A mettere vicino Žižek e Alfieri è il loro modo di fare filosofia, le cui somiglianze di famiglia, come direbbe Wittgenstein, sono palesi. Questo perché la comprensione critica dell’ideologia a partire dall’analisi dei fenomeni della cultura di massa rappresenta il metodo adottato anche da Alfieri, da oltre dieci anni a questa parte: mettere in evidenza la dinamica spesso dialettica e paradossale dell’immaginario dominante. Non si tratta di spiegare la filosofia attraverso il cinema (Cinema, mass media e la scomparsa della realtà. Immagini e simulacri dell’11 settembre, Alboversorio 2013; Dal simulacro alla Storia. Estetica ed etica in Quentin Tarantino, Petite Plaisance 2018), o le grandi icone della cultura pop (Vasco, il Male. Il trionfo della logica dell’identico, Mimesis 2012; Lady Gaga. La seduzione del mostro. Arte, estetica e fashion nell’immaginario videomusicale pop, Arcana 2018), o la musica delle band indie e rock (Musica dei tempi bui. Nuove band italiane dinanzi alla catastrofe, Orthotes 2015; Rocksofia. Filosofia dell’hard rock nel passaggio di millennio, Il Melangolo 2019), o i videoclip musicali (Che cos’è la video-estetica, Carocci 2019) o perfino le serie tv (Il cinismo dei media. Desiderio, destino e religione dalla pubblicità alle serie tv, Villaggio Maori 2017; Galassia Netflix. L’estetica, i personaggi e i temi della nuova serialità, Villaggio Maori, 2019), ma di partire da tali produzioni culturali per riscattarle da una prospettiva estetica riconoscendone l’efficacia espressiva e sperimentale, per coglierne le implicazioni sociologiche nonché la capacità che hanno di generare concetti filosofici utili a far comprendere la realtà e il presente – oltre a risultare incredibilmente potenti da una prospettiva commerciale: «Le stimolazioni filosofiche più entusiasmanti degli ultimi decenni provengono proprio dalla cultura di massa: il mito che la cosiddetta industria culturale si distinguerebbe dalla presunta cultura alta per la sua miseria formale ed estetica, per la sua banalità e genericità, è assolutamente da rigettare e combattere. Oggi, l’impianto ideologico dell’immaginario dominante passa attraverso soluzioni estremamente innovative, smarcanti, destabilizzanti, difficilmente prevedibili».
Qui si esprime l’idea eretica che di filosofia ha Alfieri: un’attività che necessita per sua stessa natura di ‘altro da sé’, ossia il muro su cui scontrarsi, il limite sul quale stridere e generare scintille e corto-circuiti. Una pratica intellettuale che ‘genera concetti’ come avrebbero detto Deleuze e Guattari, ma che per generarli ha bisogno di un ambito applicativo esterno da sé al quale rivolgersi. E per questo la filosofia deve anche essere cosciente dei propri limiti senza la presunzione di confondersi o sostituirsi ad altre pratiche o saperi, anzi, l’esatto contrario: «Diffido da chi dice che ‘tutto è filosofia’ e roba del genere, come quelli che dicono è ‘un’opera d’arte’ ogni cosa riuscita bene, anche una carbonara o un trapianto di cuore. È come se l’attribuzione dello statuto di ‘filosoficità’ o di ‘artisticità’ dovesse elevare qualcosa attribuendogli maggiore dignità, bellezza, importanza, invece non si capisce la mania esagitata di chi intende elevare la filosofia su un livello superiore rispetto agli altri saperi. Penso che la filosofia non possa esistere autonomamente, ma allo stesso tempo, questo è vero, gli altri ambiti del sapere (politica, economia, filologia, le varie scienze) resterebbero monchi senza filosofia. Tuttavia la filosofia non è la loro condizione necessaria e men che mai sufficiente. Spesso è bene che non si ‘filosofeggi’ perché credo che, estremizzando questo atteggiamento, si compia un doppio torto alla filosofia: da un lato, viene erroneamente sottovalutata e disprezzata da molti, mentre, dall’altro, viene esaltata in maniera miope e con troppo zelo. Assisto con tenerezza a questa ‘difesa della categoria’ ma resto dell’idea che la filosofia non sia una cosa ‘bella’ o una fortuna, quanto piuttosto una condanna. Per questo non sopporto chi dice che la filosofia aiuta a vivere meglio, a sorridere al mondo, a superare le difficoltà, e magari si danno consigli, si prescrivono ricette o esercizi eccetera eccetera. Magari sono solo io che non capisco o sono troppo buio dentro per farmi illuminare».
Video Web Armiè certamente il libro di Alfieri che per struttura e tematiche si avvicina con più decisione allo stile speculativo zizekiano, pur rimanendo di intensa originalità, per come si presenta poliedrico e capace di mettere in connessione tre ambiti apparentemente lontani e non comunicanti, che invece l’autore accosta attraverso la categoria della violenza. Perciò non un libro dedicato a uno specifico settore della cultura di massa, ma un’indagine a 360 gradi che prende avvio dalla comunicazione pubblicitaria e dalla music-video, si inoltra nell’interpretazione del web come arena dell’odio, nell’ottica antropologica dell’ira accumulata, per sfociare nel superamento dell’immaginario e approdare al nucleo autentico del potere, che è rappresentato dalla detenzione di arsenali e dall’uso delle armi: «Si tratta di una ricerca attraverso la quale ho provato a sporgermi sull’abisso rappresentato da ciò su cui l’immaginario si staglia da sempre. In altre parole: continuo a ritenermi uno studioso dell’immaginario, ma l’immaginario necessita di un sostegno che è concreto e materiale. Non ci sarebbe nessuna ideologia simbolica o puramente culturale, se dietro alle dinamiche del dominio non ci fosse la presenza – più o meno palese e consapevole – di qualcuno o qualcosa che possa spararti e ucciderti».
In chiusura chiediamo se la filosofia possa aiutarci a uscire migliori dalla pandemia da come ci siamo entrati, ma è come se già conoscessimo la cinica replica di Alfieri: «Ma per carità di Dio, se cercate conforto lasciate perdere la filosofia. O quanto meno lasciate perdere me!».
Venerdì, 21 maggio 2021
In copertina: Video Web Armi. Dall’immaginario della violenza alla violenza del potere, Casa editrice Rogas.