Biden, Merkel, Macron e Draghi fuor di retorica
di Simona Maria Frigerio
Washington annuncia di essere d’accordo con una sospensione dei diritti per i brevetti relativi al vaccino contro il Covid-19, rimandando comunque la discussione al WTO – e trovando l’appoggio di Draghi e l’opposizione di Merkel. Questi i fatti in breve, ma cosa c’è realmente in gioco? Siamo sicuri che i ‘buoni’ siano quelli che vogliono la sospensione dei diritti intellettuali?
Partiamo dai numeri
Il 6 maggio, l’Africa contava 4.587.568 contagi da Covid-19 con 122.969 decessi – età media dei decessi, secondo le ultime stime dell’Istituto Superiore della Sanità, 81 anni, in Italia dove l’età media supera i 44 anni, però dobbiamo tener conto che in Africa l’età media è 19,4 anni (e i deceduti saranno meno vecchi di conseguenza).
Nel 2019, la malaria in 87 Paesi raggiungeva quota 229 milioni di contagi (di cui 215 milioni in Africa) con un numero stimato di decessi pari a 409 mila persone, delle quali 274.000 bambini al di sotto dei 5 anni.
Secondo worldometer.info al 9 maggio le persone positive all’HIV /Aids sono 42.696.717 mentre i morti da inizio anno (ossia in 4 mesi) sono 592.552 – confermando il trend pesantemente negativo del 2020. L’africa meridionale e orientale, pur ospitando solo il 6,2% della popolazione mondiale, conta il 54% del numero totale di casi (ossia 20,6 milioni di persone).
Se in Africa si vuole raggiungere, come nel resto del mondo, l’obiettivo di vaccinare il 60% della popolazione contro il Covid-19, occorrono 1,5 miliardi di dosi (tenendo conto di due inoculazioni a persona). Al 6 maggio, da diverse fonti stampa, risultano consegnate 36 milioni di dosi, delle quali ne sono state utilizzate 15 milioni. Se le consegne da parte delle organizzazioni internazionali, dai donor e dalle case farmaceutiche che già producono i vaccini vanno a rilento, sembra che la distribuzione sui territori e la somministrazione siano altrettanto difficoltose.
Ulteriori dubbi emergono circa l’efficacia dei vaccini europei e statunitensi (AstraZeneca e Pfizer) rispetto alla variante sudafricana – il che, se mai confermato, renderebbe l’attuale discussione del tutto superflua.
Uno Stato africano può spingersi dove il Regno Unito non ha osato?
Per buona parte i vaccini contro il Covid-19 sono stati finanziati, a livello di ricerca, dai vari Paesi. Il caso forse più eclatante è quello di Oxford che, nonostante fosse il frutto di studi dell’università britannica, e i ricercatori impegnati fossero disposti a condividere su una piattaforma liberamente accessibile i dati, è stato ceduto ad AstraZeneca, che ne ha depositato il brevetto e si è fatta carico della sua produzione su vasta scala. Tra le diverse obiezioni rispetto al comportarsi diversamente, i costi per i Paesi di dotarsi di know how, tecnici e attrezzature adatti alla produzione industriale; tempi e costi per mettere in funzione detti impianti.
Ora, ci si domanda: se il Regno Unito valutò di dare mandato al privato, come potrebbe uno Stato africano accollarsi simili costi e in quanto tempo potrebbe realizzare gli impianti necessari?
Mettere un brevetto online non significa trasferire il know how
A questo punto occorre precisare che un brevetto farmaceutico non è una semplice formula ma entrano in gioco anche altre variabili.
Innanzi tutto esiste un obbligo di segretezza rispetto al know how, che significa conoscenze e tecniche le quali, in senso lato, permettono di produrre un bene. In secondo luogo intervengono i fornitori. Pfizer, ad esempio, precisa che il suo vaccino utilizza 280 componenti da 86 fornitori. Tenendo conto che nessuna componente sia brevettata (ma non ci è noto), dovremo in ogni caso reperirla sul mercato. Purtroppo, ancora una volta sorge spontanea la domanda: sarà più facile per una multinazionale accreditata – e che venderebbe forse un miliardo di dosi – ottenere prezzi convenienti e tempi di consegna celeri o per una start up africana con un bacino di qualche milione di persone?
E veniamo ai brevetti in sé. La durata di quello farmaceutico è 20 anni e su questo punto bisognerebbe riflettere. Infatti, dopo un periodo di segretezza di 18 mesi (e nel caso di alcuni vaccini siamo agli sgoccioli), la domanda di brevetto diventa pubblica e il contenuto dell’innovazione diventa patrimonio della collettività, punto di partenza per lo sviluppo di ulteriori innovazioni. Le persone dovrebbero, quindi, sapere che la suddetta formula non resterà segreta per vent’anni!
Se si può pensare a una riduzione da 20 a, diciamo, 10 anni, questo dovrebbe valere per i farmaci salvavita che nelle ultime decadi hanno cronicizzato malattie mortali come l’Hiv/Aids. Spesso i più efficaci e di ultima generazione sono troppo costosi per le casse erariali degli Stati del Sud del mondo. Al contrario, il prezzo dei vaccini si sta sempre più riducendo – AstraZeneca costa meno di 2 euro a dose – mentre altri offrono la monodose e, in questo modo, ottengono un taglio dei costi non solamente sul numero di fiale a persona ma sul personale per somministrarle.
Sospendere, oggi, i brevetti sui vaccini non rischia di azzerare una richiesta che dovrebbe rivolgersi a ben altro? Un piccolo sacrificio per disinnescare una protesta che potrebbe farsi ben più ‘pericolosa’ se interessasse farmaci per malati cronici?
Chi sono veramente i donor occidentali
Ma vediamo chi è colui che vuole rendere gli Stati africani in grado (ma solo a livello di formula) di produrre i vaccini in autonomia. In primis, il Premier Draghi che, secondo Le Monde, ha detto no qualche tempo fa all’invio di 13 milioni di dosi all’Africa è favorevole alla sospensione dei brevetti. A ispirarlo Joe Biden, il quale tace sul fatto che, mentre la UE – su 400 milioni di dosi di vaccino prodotte – ha esportato ben 200 milioni di dosi (ossia il 50%), i suoi Stati Uniti (al momento) hanno esportato solo il 5% e solamente verso Canada e Messico, imponendo altresì restrizioni all’export dei vaccini prodotti nel Paese.
Se si fosse faziosi si potrebbe quasi pensare che Draghi e Biden stiamo corteggiando lo slogan di diversi partiti di destra: “aiutiamoli a casa loro” – che sottintende: se hanno la formula, che si producano ciò che necessitano, senza scaricare i costi dell’immunità di gregge sull’Occidente.
Dall’altro lato della barricata c’è Merkel, che pare appoggiare la posizione delle Case farmaceutiche – le quali affermano che solamente con la garanzia della brevettabilità si garantisce la concorrenza (se non si guadagna, perché investire?) e anche la qualità dei prodotti. Ora, se anche la posizione atlantico-centrica ci pare démodé, bisogna dire che è comunque in linea con due principi che sta portando avanti l’Europa – condivisibili o meno che siano. Il primo, la garanzia di un controllo sui vaccini, tale da rendere lungo e farraginoso il via libera, ad esempio, allo Sputnik V (a meno di non pensare che in questo caso si stia trattando di guerra geo-politica e non di garanzie per la salute dei cittadini). In secondo luogo, chi gestisce la famosa Green Card che dovrebbe anche stabilire (almeno sembrerebbe) quali vaccini siano considerati sicuri e accettati dall’Unione Europea, dovrebbe forse confrontarsi con miliardi di persone che, entrando in Usa o UE, certificano di essere stati vaccinati con ‘pozioni sviluppate in qualche sottoscala’? Ovviamente stiamo esagerando, ma occorre forse fermarsi un attimo e riflettere attentamente sulla vera partita in gioco.
L’incognita dell’equivalenza è Emmanuel Macron, che forse è stato spudoratamente antidiplomatico ma sincero. Durante la Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, a metà febbraio, ha sottolineato la necessità di vaccinare subito tutti gli operatori sanitari in Africa (con 13 milioni di dosi), perché: “Se annunciamo miliardi oggi per fornire dosi in 6 mesi, 8 mesi, un anno, i nostri amici in Africa, sotto giustificata pressione della loro gente, acquisteranno dosi dai cinesi e dai russi”. Tradotto: aiutare il continente per garantire gli interessi geo-politici ed economici dell’Occidente.
Fumo negli occhi per evitare di parlare di industria di Stato?
Facciamo un piccolo passo indietro. Nel PNRR presentato dall’Italia si destinano 600 milioni per i dottorati di ricerca innovativi che rispondono ai fabbisogni segnalati dal mondo delle imprese; mentre più di 5,7 miliardi di euro sono destinati ai progetti di ricerca fondamentale e applicata, collaborativi, e a partenariati di università e centri di ricerca, estesi alle imprese.
In pratica, l’Italia sta spingendo per una ricerca al servizio dei privati – posizione molto vicina a quanto portato avanti negli ultimi decenni negli Stati Uniti, dove le Università sembrano incubatori di idee e innovazioni finanziati da fondi anche pubblici per sviluppare prodotti che saranno brevettati da aziende quotate in Borsa.
Se la Francia si siede nel Consiglio di amministrazione di Stellantis (azienda che produce autovetture e non può, perciò, definirsi vitale o strategica) e l’Italia, in un modo o nell’altro, continua a evitare il fallimento di Alitalia utilizzando i soldi provenienti dalla tassazione dei cittadini italiani; perché non si comincia a pensare ad aziende farmaceutiche di Stato o di organizzazioni che raggruppino più Stati (come l’Unione Europea, l’Unione Africana o l’Unasur), che producano – anche in vista di future, possibili epidemie e del contrasto a quelle esistenti (Tbc resistente ai farmaci, dengue, malaria, Hiv/Aids, eccetera) – vaccini e farmaci a prezzi di costo e con libero accesso sia alle formule sia al know how? Sarebbe troppo rivoluzionario?
Al momento non si può che sottoscrivere quanto afferma la Presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen: “Abbiamo bisogno di vaccini ora. La deroga sulla proprietà intellettuale non risolverà il problema. Quello che serve è una condivisione dei vaccini, l’export di dosi e investimenti per accrescere la capacità produttiva”.
Se si vogliono e si debbono fare battaglie per l’accesso gratuito alle cure in ogni Paese del mondo, occorre essere pragmatici e smetterla con la retorica politica e l’approvazione incondizionata di un giornalismo che ha smesso di porsi e porre domande.
Venerdì, 14 maggio 2021
In copertina: Foto di David Mark da Pixabay.