Nasce In Situ Italia: il teatro come ‘creazione artistica nello spazio pubblico’
di Simona Maria Frigerio
Nell’ambito della piattaforma europea In Situ, creata nel 2003 e che oggi conta 16 partner appartenenti a 13 Paesi diversi, nasce in queste settimane In-Situ Italia, consorzio culturale per l’arte nello spazio pubblico formato da quattro realtà italiane: ZONA K di Milano, Indisciplinarte di Terni, Sardegna Teatro di Cagliari e Pergine Festival in provincia di Trento.
Per il quadriennio 2020-2024, l’artista associatoscelto per portare avanti l’ambizioso progetto italiano è Leonardo Delogu – performer e formatore che, insieme a Valerio Sirna ed Hélène Gautier, ha dato vita nel 2014 al collettivo DOM, dal quale è nata una nuova forma di teatro pensata per e realizzata nello spazio pubblico, ossia il teatro paesaggio. Scelta, questa, che va aldilà del cosiddetto site-specific perché non si ferma a pensare uno spettacolo ambientandolo in un luogo non teatrale, bensì sposta la centralità dell’oggetto e del soggetto della ricerca artistica: dall’essere umano (con le sue contraddizioni, passioni e ataviche paure) alla specie umana come parte di un tutto – dove il mondo vegetale e animale, la luce e gli eventi atmosferici assumono pari dignità nella creazione ma anche nella compartecipazione dell’evento performativo. Rigorosamente in presenza.
In Situ Italia fa parte di un progetto europeo molto più vasto nato nel 2013. Può descriverlo per i nostri lettori?
Leonardo Delogu: «In Situ è una rete internazionale di soggetti produttivi che, fondamentalmente, si occupa di arti performative e installative nello spazio pubblico, ovvero di artisti che lavorano fondamentalmente con le comunità e che tentano di spostare l’atto creativo dal luogo chiuso, novecentesco, del teatro, all’aperto dove si attua l’incontro più diretto con le comunità. Questo filone di ricerca si è sviluppato sia in Europa sia in Italia e sempre più è diventato un mezzo fondamentale per l’allargamento della platea, così da intercettare un sempre maggiore numero di persone che possono incontrare il teatro e le arti performative, da un lato; e, dall’altro, uno strumento utile per sollevare una questione politica – secondo me importante – ossia la funzione dello spazio pubblico inteso come uno spazio in cui si misura il livello di democrazia di un Paese. Questa articolazione d’intenti, negli anni, si è molto trasformata. L’insieme delle realtà che formano In Situ a livello internazionale è molto vasto dato che copre tutti i Paesi dell’Unione Europea ed è diventato altresì transoceanico avendo dei legami con gli Stati Uniti. Si lavora sulla possibilità di inventare forme produttive diverse e ci si interroga, contemporaneamente, su come artisti, direttori di teatri e i cittadini – tutti insieme – possano costruire forme nuove di produzione che non sono solamente di tipo verticale, ossia quelle tipiche di un teatro che commissiona una performance, bensì un mix di sinergie diverse che si esprimano e realizzino formule più orizzontali di lavoro».
Sorge spontanea una domanda sul recupero dello spazio pubblico in una visione democratica. Dopo l’ultimo anno di pandemia che ha azzerato – o ha cercato di azzerare – qualsiasi forma di socialità, questo progetto può incidere su un cambiamento di rotta? E intendo, più che rispetto ai cittadini, nella visione politica di non essenzialità della cultura?
L. D.: «Il Covid-19 ha scoperchiato una situazione preesistente – nel senso che la restrizione dell’agibilità creativa dello spazio pubblico era in essere ben prima della pandemia. Noi abbiamo assistito, negli anni, a una sottrazione progressiva dello spazio pubblico a fronte di una occupazione dello stesso a fini commerciali o funzionali – quando lo spazio pubblico dovrebbe essere, per eccellenza, non funzionalizzato dato che dovrebbe nascere per l’incontro delle persone. La pandemia ha semplicemente rivelato una dimensione del compromesso, che era già in atto in precedenza. Se poi analizzo questa situazione dal punto di vista politico, la definirei tipica della deriva capitalistica, quindi completamente inscritta in una dinamica politica di restrizione dello spazio pubblico. In Situ, per me, è la possibilità di interrogarsi sulla presenza o assenza dello spazio pubblico e, dall’altro lato, per capire come si può riadattare lo stesso dato che non possiamo negare la dimensione di emergenza sanitaria, tuttora presente in Italia. Se è evidente che c’è un problema sanitario che restringe lo spazio pubblico per la protezione dei corpi più fragili, allo stesso tempo dobbiamo stare attenti affinché dentro queste forme di protezione non si innestino desideri di maggior controllo della popolazione. Chi ragiona sullo spazio pubblico, secondo me, non può arretrare e, soprattutto, chi fa teatro non può prescindere dal fatto che il teatro è in presenza, è la relazione e non può essere trasferito online. L’online non è uno spazio pubblico bensì uno spazio tendenzialmente privato gestito da piattaforme che regolamentano e decidono loro come si usufruisce dello spazio pubblico. Su questo punto si sta creando, a parer mio, un grande fraintendimento perché lo spazio sul web è regolamentato da leggi economiche molto forti e non può essere confuso con quello pubblico. Penso che In Situ, come network, abbia l’occasione di reinventare le forme in cui ci si incontra, ribadendo che lo spazio in cui testiamo il livello di democrazia è quello pubblico e non altri contesti. Bisognerà reinventare le forme dello stare insieme. Farlo su scala europea è molto interessante perché si notano i diversi approcci culturali e storici di fronte a tale questione imprescindibile. La dimensione europea è molto fertile perché ci permette di affrontare la tematica da angolazioni diverse. Però, il progetto è agli inizi. Non abbiamo risposte, al momento, ma ci stiamo ponendo domande molto importanti».
Quali specificità hanno le quattro realtà che hanno ideato In Situ Italia – ZONA K di Milano, Indisciplinarte di Terni, Sardegna Teatro di Cagliari e Pergine Festival a Trento? Cosa le ha portate a consorziarsi?
L. D.: «Io non ho seguito il processo che ha condotto le quattro realtà a consorziarsi
dato che, come artista, sono stato selezionato in un momento successivo. Conoscendo però le quattro realtà avendo lavorato con tutte loro nel corso degli anni, posso dire che hanno scale molto diverse – passando da un Teatro di rilevante interesse culturale e, quindi, riconosciuto dal Ministero della Cultura a un Festival di media grandezza, come quello di Terni, a uno un po’ più piccolo come quello di Pergine, fino a ZONA K – che è una realtà completamente privata, milanese, che si occupa di sostegno alla produzione. Ciò che risulta interessante è proprio la loro differenza intrinseca che moltiplica gli approcci produttivi e, però, tutte quante hanno fatto, nei loro territori di riferimento, un lavoro di innalzamento dell’asticella della proposta. E tutto ciò attraverso formati artistici non convenzionali. Sono realtà che hanno trovato, al di fuori della scatola nera del teatro, modi per rinnovare la proposta culturale».
Nella seconda parte dell’intervista, pubblicata su www.persinsalateatro.it, entreremo nel merito del progetto quadriennale ideato da Delogu e basato sul mondo vegetale e vi racconteremo che cosa si intende con il termine ‘teatro paesaggio’.
Venerdì, 14 maggio 2021
In copertina: Leonardo Delogu Ph F.A. (gentilmente fornita dall’ufficio stampa).