Intervista a Giuseppe Onufrio, Direttore esecutivo di Greenpeace Italia
di Simona Maria Frigerio
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è stato ormai inviato all’Europa – dopo una discussione in Parlamento più formale che sostanziale, visti anche i tempi troppo stretti per qualsiasi reale approfondimento a livello politico ma anche di società civile.
Dato che lo stesso dovrebbe essere il volano per un deciso cambio di rotta a livello di ambiente e per un drastico taglio delle emissioni di CO2, abbiamo pensato di chiedere a un’Associazione come Greenpeace, il cui impegno in tal senso non è mai venuto meno, di analizzare se e fino a che punto premesse e promesse siano state mantenute perché, leggendolo, e come dice lo stesso Onufrio nelle conclusioni: «Non vediamo nel PNRR per come è concepito la ‘massa critica’ di iniziative per avere una vera svolta verde».
Avete accolto con favore due punti del PNRR presentato all’Europa dall’Italia rispetto al tema della transizione ecologica, ossia smart grid ed elettrolizzatori. Può spiegare di cosa si tratta e come inciderebbero nella vita quotidiana degli italiani?
Giuseppe Onufrio: «Smart grid (reti elettriche intelligenti) – batterie industriali, sono tra gli elementi chiave per la transizione energetica. La base di ogni transizione ecologica per poter aumentare significativamente la quota di fonti rinnovabili intermittenti (come solare ed eolico); mentre gli elettrolizzatori serviranno a produrre idrogeno verde usando elettricità rinnovabile. Si tratta di una base infrastrutturale e industriale senza la quale non è possibile una transizione verso un sistema alimentato solo da fonti rinnovabili – che è l’obiettivo finale».
Passando all’agricoltura, nel vostro comunicato alla stampa fate riferimento ad agrivoltaico e agrisolare. Le spiacerebbe entrare in dettaglio e, soprattutto, quali risorse effettive necessiterebbero queste voci e quali saranno i fondi reali?
G. O.: «Le iniziative sull’agrisolare erano già incluse nella precedente bozza – installare impianti solari fotovoltaici usando le coperture delle aziende agricole – mentre l’agrivoltaico è una novità da noi caldeggiata: si tratta di far convivere sul campo la produzione agricola con quella dell’energia solare con benefici sia economici, per le aziende ospitanti, sia per l’ambiente (ad esempio, conservando l’umidità del suolo). La somma maggiore è data al ‘parco agri-solare’ – che, in realtà, prevede la rimozione dell’amianto ove presente e il rifacimento delle strutture con soli 430 MW di solare, spendendo 2,2 miliardi. In questa misura la parte solare è dunque marginale. Per l’agri-voltaico la cifra dedicata è di 1,1 miliardi – la metà! – per 2 GW di potenza. Altri 2 GW da rinnovabili sono previsti per la promozione delle comunità energetiche – limitata però ai Comuni fino a 5 mila abitanti. Anche in questo caso si poteva fare meglio».
Nel PNRR definitivo sembra sparito il finanziamento al Carbon Capture and Storage di Eni. Quello che è chiamato – in un vostro precedente comunicato – idrogeno blu di Eni. Può spiegare questa tecnica di ‘confinamento geologico dell’anidride carbonica’?
G. O.: «Il CCS è una tecnologia promossa dall’industria petrolifera da diversi anni con poco successo e diversi fallimenti come di recente un impianto – ampiamente citato anche come modello – in Texas. Nel PNRR non c’è formalmente il progetto ENI di Ravenna, ma nel capitolo idrogeno potrebbe trovare spazio. Il ministro Cingolani ha dichiarato che si farebbe una gara, ma non ci sono altre aziende oltre Eni che già producano idrogeno da gas fossile e abbiano anche pozzi depleti dove eventualmente stoccare la CO2. Il progetto ENI comprendeva, oltre alla linea idrogeno, anche tre linee di stoccaggio della CO2 dedicate a centrali a gas: finanziarle con soldi pubblici sarebbe come una Carbon tax al contrario, rovesciando il principio che ‘chi inquina paga’. Una tassa, peraltro, dell’ordine dei 100 Euro a tonnellata di CO2: quale sarebbe l’effetto sulle emissioni di una tassa carbonio di questa portata?».
Rispetto all’Energia Solare Termodinamica, vi è qualcosa nel PNRR visto che eravamo tra i Paesi che hanno ideato questa tecnica e, al contrario, nel 2020 si è addirittura sciolta l’Anest, ossia l’Associazione che riuniva le società italiane del settore?
G. O.: «Non mi pare ci sia nulla sul solare termodinamico».
Molte associazioni, compresa la vostra, lamentano poca attenzione per la biodiversità. Può spiegare la sua importanza per il nostro futuro?
G. O.: «Il Piano si chiama di Ripresa e Resilienza, questa seconda parola è riferita proprio alla tutela della biodiversità, alla base della capacità dei sistemi naturali di adattarsi e davvero importante nel contesto della crisi climatica. L’Italia ha aderito alla Convenzione Biodiversità con l’obiettivo di tutelare il 30% delle aree marine e il 30% di quelle terrestri. Qualche fondo è stato introdotto nella versione finale del PNRR ma insufficiente a contribuire significativamente agli obiettivi di tutela».
Rispetto alle acque reflue e allo smaltimento dei rifiuti industriali nei mari e fiumi vi è nulla nel PNRR? Vi è attenzione al tema del dissesto idrogeologico?
G. O.: «Ci sono diverse misure previste, per un totale complessivo di oltre 15 miliardi tra dissesto idrogeologico e gestione delle acque dal punto di vista della tutela della risorsa e, in misura marginale, per la gestione delle acque reflue civili, specie al Sud dove la situazione è di ritardo endemico (e di procedura d’infrazione delle direttive europee). Non sembra ci sia nulla per gli scarichi industriali, che però dovrebbero essere a carico delle aziende».
Rispetto agli allevamenti intensivi, quale sarà la politica del Governo, le cui linee emergono dal PNRR?
G. O.: «L’agricoltura evidentemente non è considerata come elemento chiave della transizione ecologica e sugli allevamenti intensivi non c’è nessuna azione, mentre andrebbero riformulati anche i sussidi che la Politica Agricola Comune continuerà a versare al sistema agroindustriale. Nemmeno la parola ‘agricoltura biologica’ è mai citata».
Riguardo alla mobilità, il PNRR sembra puntare molto sull’alta velocità al sud. Ma non servirebbe, al contrario, rafforzare il trasporto locale visto che è il pendolarismo breve (50/100 km) a caratterizzare il mondo del lavoro e della scuola in Italia?
G. O.: «I fondi sono in effetto spostati in gran parte sull’alta velocità mentre, se si vogliono abbattere le emissioni di CO2, sarebbe importante intervenire in ambito urbano e metropolitano, dove però giocano un ruolo centrale gli enti locali. Il ministro Giovannini ha poi precisato che altri fondi – ordinari e per la coesione sociale – saranno disponibili per il trasporto pubblico locale. Vedremo».
Sempre rispetto al trasporto pubblico, nel PNRR vi sono fondi per i treni a levitazione magnetica? Non solamente per il loro acquisto, magari in Germania, bensì per la costruzione di impianti di produzione in Italia e per la messa in opera di linee ferroviarie conseguenti?
G. O.: «Il tema non è mai citato».
Il Kyoto Club nel 2020 consigliava l’Europa di puntare sulla transizione ecologica dell’industria automotive. In questo campo come si è mosso il nostro Governo?
G. O.: «I fondi per le colonnine di ricarica sono stati aumentati rispetto alla bozza del Governo Conte, ma non c’è nel Piano una chiara spinta alla mobilità elettrica privata né fondi per il settore automobilistico (che, comunque, è compito di aziende private in competizione). L’impressione è che la timidezza del governo su questo versante serva a prendere tempo dato che l’azienda che produce in Italia è in netto ritardo sull’auto elettrica. Sarebbe peraltro molto importante una legge che fissi la data oltre la quale non sarà più possibile vendere auto a benzina, gasolio o gas, come in altri Paesi è già stato fatto».
Puntare sul super bonus per l’edilizia privata (che, tra l’altro, il Premier Mario Draghi voleva eliminare) e, quindi, su impianti individuali, invece che su incentivi per la produzione di energia solare termodinamica (o anche eolica, idroelettrica, eccetera) per rifornire piccoli e grandi centri urbani, nel loro complesso, è la scelta migliore?
G. O.: «Abbiamo qualche dubbio sul ‘super’ bonus, ma puntare sull’efficienza degli edifici è corretto. Non va bene invece la richiesta, per accedere ai bonus, di sole due classi energetiche e non va bene finanziare le caldaie a gas, per quanto efficienti».
Chiudiamo con un paio di domande più generali. La prima è sui fondi. Quelli stanziati dal PNRR per la transizione ecologica faranno davvero la differenza o, visto anche che dovremo rimborsare il debito già accumulato e quello che accenderemo con il PNRR, si rischia che diventino briciole di fronte ai reali fabbisogni?
G. O.: «Non vediamo nel PNRR per come è concepito la ‘massa critica’ di iniziative per avere una vera svolta verde e, peraltro, non è chiaro quale sarà l’effetto sul taglio delle emissioni di CO2 posto che al 2030 l’Italia dovrà più che dimezzarle rispetto al 1990. Certo, non è possibile immaginare che questo avvenga solo con fondi pubblici: è necessario spostare anche gli investimenti privati. Ma, di fatto, la svolta ad esempio sulle rinnovabili, è lasciata più alle riforme che agli interventi diretti del Piano. E temiamo non basterà».
La seconda è sul concetto di globalizzazione economica. Oggi come oggi è fin troppo facile spostare una produzione, magari inquinante o che diventerebbe troppo costosa se si usassero depuratori eccetera, da un Paese o da un continente all’altro. Nessuno si salva se non ci salviamo tutti. Cosa ne pensa Greenpeace e ha proposte in merito?
G. O.: «La rilocalizzazione di aziende per ragioni legate alle emissioni di CO2 – da sempre paventata da alcuni settori industriali, ad esempio per il meccanismo di emission trading – non c’è stata. Certo, se si fa sul serio, una regolazione è importante per evitare che rientrino dalla finestra con le importazioni emissioni tagliate a casa. Su questo c’è un dibattito non facile. La ripresa del dialogo Usa-Cina proprio sul clima lascia sperare, invece, in una cooperazione positiva sulle tecnologie chiave per la decarbonizzazione: è già successo con il solare, i cui costi di produzione sono crollati in pochi anni. È necessario proseguire su questa strada, che è forse l’aspetto più positivo della globalizzazione».
Venerdì, 14 maggio 2021
In copertina: Foto di PIRO4D da Pixabay.