L’arte della felicità: Archeology, jazz & wine
di Lorena Martufi
Si è detto che la Calabria e la Basilicata costituiscono ‘un balcone sul mondo’ e che le due regioni insieme rappresentano il campionario geo-storico dell’intero Paese. Percorrerle, nella luce di fine estate che accarezza il paesaggio d’impareggiabile bellezza a ogni curva – sia sulle lunghe distese di sabbia e le baie, le scogliere e i promontori della costa; sia sullo scorcio dei rilievi montuosi, nei suoi vertiginosi scenari, foreste, altipiani, sconfinati boschi di conifere, radure e faggete dal silenzio ovattato, laghi e corsi d’acqua – ebbene, percorrerle, ogni volta è un’armonia di contrari, un mosaico che rivela nelle caratteristiche uniche di questo territorio, anche le sue profonde contraddizioni.
Forse per il ruolo che la Calabria ha svolto nella storia di crocevia di popoli, confine tra oriente e occidente, transito e incontro di greci, romani, ebrei, arabi, svevi e normanni, bizantini, spagnoli e francesi, albanesi e piemontesi – che hanno lasciato ovunque tracce della loro presenza – oggi la nostra terra è un parco ininterrotto di reperti archeologici e beni culturali.
Le coltivazioni, l’artigianato, le lingue, il folklore, come pure il cibo e il vino sono testimonianza viva di contrasto e insieme identità che sfuggono alle spinte dell’omologazione dei nostri tempi per riservarci ancora stupore e meraviglia. Il Pollino si offre pieno di vita – trepidante e segreta – a ogni stagione, di morte e rinascita. Nei suoi sublimi paesaggi, quelli più integri e naturali, si susseguono luoghi di raro fascino e bellezza, vedute incomparabili, emozionanti orizzonti, dove ogni viaggio è scoperta. Si pensi agli straordinari colori e ai dolcissimi suoni della natura del Pollino, montagna incantata tra Calabria e Basilicata, che racchiude piante rare, erbe officinali, storie di pastori e transumanze, e vi si scrive ancora oggi il grande libro della natura. Un racconto in cui è facile scorgere un disegno divino e poetico, che non è solo un omaggio alla terra di chi scrive, ma frutto di un godimento spirituale reale, nato dal rapporto d’amore con una natura ancora palpitante, che attraversa il tempo e scandisce il trascorrere della nostra storia, testimone o vittima sacrificale, mai assente, mai silenziosa.
Scriveva Corrado Alvaro che “la Calabria ha bisogno di essere parlata”, nell’angoscia distillata dagli esuli, nella fame che diventa ruggine fino a partirne, come secoli addietro e come è ancora oggi, in questo lembo di terra chiusa, tutta monti, notti e giorni uguali e, per tetto, cieli bassi. È la vita, anche in questa parte di mondo sovrastata dal Pollino, dove il tramonto danza sui prati, nell’arcaico silenzio e tra le voci di donne che risalgono giù dalle valli.
Women, jazz & wine è la sintesi di un pensiero complesso, limpido e schietto, che vuole riportare in vita la parusia (1) di una dimensione più umana e più giusta della vita attraverso tre componenti fondamentali: le donne, la musica, il vino – elementi della nostra cultura più vera, ripensata da tre grandi attori culturali della nostra terra, ossia il Peperoncino Jazz Festival, il Parco archeologico di Sibari, e Terre di Cosenza. Testimonianza che i meridionali da sempre tacciati di pigrizia, cominciano a pensare collettivamente, anche quando sembrano immobili dentro a un raggio di sole. Ed è questa la novità che bisogna considerare con attenzione, nella ‘malaterra’ che cantava la ricchezza della povertà e che oggi, al contrario, scrive una storia diversa, che punta all’internazionale e guarda al futuro per riscattare il suo passato, iscritto nella civiltà contadina che ci ha lasciato in eredità un paesaggio intatto e bellissimo.
Qui la cultura è intesa nel suo originario significato latino, colère, cioè coltivare. Come gli alberi sulle colline che degradano a mare, quali l’ulivo, dai grossi tronchi secolari e le chiome imponenti, cangiante di riflessi d’argento; o gli agrumi intensamente verdi coi loro frutti dorati; e le viti, e i fichi, spesso coltivati per solo comodo di famiglia, che riempiono di ombra la terra arsa dove il sole piove con rabbia. La campagna è gialla, nelle vigne ci sono i primi pampini rossi, segno che l’uva è matura. Sulle strade dei vini delle Terre di Cosenza ripercorriamo il lungo passato degli uomini silenziosi che ancora vi abitano, attraverso luoghi unici e suggestivi, che ci regalano nella straordinarietà delle loro uve, vini di prima qualità che valorizzano, con quest’iniziativa, i vigneti autoctoni esistenti. Come quelli di Ferrocinto a Castrovillari, realtà principe della città più grande del Pollino, azienda ‘dalle terre rosse’ e ricche di ferro, con 50 ettari di vigneti coltivati a montonico, greco bianco, pecorello, magliocco, aglianico – tutti con il gusto dell’innovazione, unito a quello della tradizione. Qui il Rossana Casale Quartet ha eseguito eleganti brani della musica jazz internazionale, firmati dal trio guidato magistralmente da Sasà Calabrese, anche al basso, Giuseppe Santelli al piano e Fabrizio La Fauci alla batteria. O quelli della Tenuta Celimarro, riscoperta dal giovane enologo Valerio Cipolla, rientrato in Calabria, sempre a Castrovillari, dopo gli studi per diventare vignaiolo a tempo pieno e che, con un motto vincente, “Arte, Amor, Vino e Bellezza”, gestisce 20 ettari di vigneti e 5 uliveti secolari, producendo magliocco dolce, greco bianco, montonico, aglianico, e incontrando anche la moda originale della stilista Cinzia Tiso. Francesca Calabrò è la Lady protagonista di questa serata, cantante già nota nelle edizioni passate del Peperoncino Jazz Festival, coraggiosa e valida nelle interpretazioni di cover tratte dalla grande musica che ha fatto la storia del jazz.
Ma è al Castello di Serragiumenta, ad Altomonte, che il connubio tra vino e jazz si sente più forte, complice la bellezza incantevole del luogo, residenza da sogno immersa nella natura che, sulle note di Mafalda Minnozzi, si è colorata di ritmi brasiliani e riletture in chiave jazz di grandi pezzi italiani, oltre che della canzone napoletana, dopo uno spettacolare trekking nel vigneto. Non ultima, sulle note dell’eccellenza, l’affascinante Abbazia medievale di Santa Maria della Matina, a San Marco Argentano, il cui vino, prodotto nelle terre de La Matina, fu benedetto da Papa Urbano II prima di partire per la prima Crociata. L’azienda, giovane e già promettente, promotrice di arte e cultura, è guidata da Michele e da sua moglie Judith, che coltivano tre ettari di magliocco, ma producono anche olio, formaggi, ortaggi e fichi in regime biologico. Qui il trio di Beatrice Valente, classe ʻ93, contrabbassista, bassista e cantante, ci ricorda cos’è l’eleganza, raggiunta con naturalezza e con semplicità nella particolare intimità vocale che la contraddistingue. Già di carattere, nonostante la giovane età, Valente è capace di raggiungere anche le vette delle regine del jazz, come Nina Simone. Un’atmosfera suggestiva disegnata da una luce dorata, che immortala il momento del brindisi finale dello staff del Parco archeologico di Sibari, cuore del filone organizzativo, che nello storytelling tenuto dal direttore Filippo Demma, ha raccontato il valore della rassegna, portando in loco alcuni pezzi della collezione del museo.
Guardiamoci attorno: quale altro museo incontra così i giovani, uscendo dalle sale espositive, restituendo il patrimonio alla collettività, dopo anni di politica che, nelle province del Sud, ha segnato insuccessi e trasformismi, non tenendo in nessun conto la cultura – che invece vuole e sa capire e spiegare la luce, la notte, l’infinito, le contraddizioni nostre e del mondo? Demma ha dimostrato, grazie al suo impegno (non solo dentro al Museo e al Parco), che è possibile ricostruire una nuova koiné culturale (2), che trasformi dall’interno la cultura delle nostre province, che animi la coscienza civile e ripristini i valori dell’esistenza, non seguendo le mode del momento, ma dettando la moda, che nasce dallo studio profondo del Dna della nostra storia.
Rivive, così, l’antico simposio (3), mentre vengono presentate le più antiche testimonianze del consumo di vino in Italia, risalenti alla Calabria e alla Magna Græcia, pertinenti alla cultura che i Greci chiameranno Enotria (4). Ecco allora che la rievocazione del rito si fa potente nella sua contemporanea rilettura, mentre passano in rassegna tra il pubblico alcuni reperti archeologici, tra cui la meravigliosa Coppa del cigno, datata nella seconda metà del IV secolo a.C., tra il 350 e il 300.
Pregno di fascino l’uso del vino legato al sacro nell’antichità greca, che evoca quella cristiana, nella metafora utilizzata da Demma della vita oltre la morte, nell’acino d’uva che diventa ‘spirito’ e che unisce la dimensione sacra e profana: parola che mette a nudo come un calice, l’anima e la sua essenza. Tra archeologia e vita non c’è stacco, il passato della maggiore delle póleis (5) achee della Calabria, si fa contemporaneo quale espressione sincera di un’arte che, se ben guidata, con iniziative come queste, lontane degli ‘eventifici’ dei nostri tempi liquidi, sta portando a un turismo nuovo, colto, civile, luogo di recupero spirituale per tutta quella gente estenuata dalle nevrosi, intossicazioni, arrampicamenti, consumismo e industrializzazione, che oramai hanno reso malata più di mezza Europa.
Il paesaggio, il vino, l’architettura, l’archeologia, possono restituire un’immagine positiva della nostra Calabria, come ricordato dal direttore del Peperoncino Jazz Festival, Sergio Gimigliano, all’apertura di ogni concerto al tramonto. Calabria troppo spesso stereotipata e oppressa da falsa retorica e imbevuta di facili giudizi che, al contrario, può e deve puntare sull’eccellenza dei nostri prodotti e su ciò che offre, da sempre, la terra per la nostra e le future generazioni.
(1) La ‘presenza’ dell’idea nella realtà sensibile
(2) Koinè culturale, ossia una civiltà comune accettata da popolazioni diverse
(3) Simposio, propriamente dal latino symposium, e dal greco συμπόσιον, composto di σύν «con» e πόσις «bevanda», da uno dei temi di πίνω «bere»
(4) Un’antica regione dell’Italia meridionale
(5) Plurale di polis, ossia città
venerdì, 29 settembre 2023
In copertina: Fotografia fornita dall’autrice dell’articolo fonte social