Bisogna avere un caos dentro di sé, per generare una stella danzante*
di Simona Maria Frigerio
Orizzonti Verticali, edizione 2023, propone venerdì 4 agosto, in prima regionale, la nuova regia di Clemente Tafuri e David Beronio, interpretata da Roberta Campi e Giulia Franzone.
Partiamo dal titolo. Apocatastasi, come spiega Treccani, è un termine greco (ἀποκατάστασις) “usato dagli stoici antichi per indicare il riformarsi e ripetersi, in tutti i suoi particolari, del mondo, dopo la sua distruzione nell’ecpiròsi”. Il termine fu poi adottato da Origene (ma ripudiato “come errore dalla Chiesa” cristiana), per definire la cosiddetta “restaurazione finale, cioè il perdono per tutti i peccatori” indistintamente.
Secondo la presentazione dello spettacolo omonimo, ci troveremmo di fronte a una “danza dell’Ade” (ispirata all’affresco di Luca Signorelli, La resurrezione della carne) che si celebra, come mito, in uno spazio/tempo sospeso in cui, attraverso una serie di metamorfosi, due figure femminili sono “al contempo madri e figlie, amanti ed estranee, origine e fine dello stesso luogo in cui si incontrano”. Ovvero, noi spettatori dovremmo essere testimoni di “un’azione impossibile” in quanto non dovrebbe poter esistere il ritmo laddove non vi è più il tempo e nessun gesto avrebbe più un senso univoco e una fine (almeno in una concezione spazio-temporale cartesiana, aggiungeremmo noi, o in uno spazio tuttora euclideo).
E ora veniamo all’esperienza sensitivo-intellettuale di vedere e ascoltare Apocatastasi (dopo aver visto Morte di Zarathustra e Pragma, sempre per l’ideazione e la regia di Tafuri e Beronio).
Molti passaggi gestuali e movimenti, la scelta delle luci (fisse), i tempi dilatati di alcune azioni contrapposti ad altri – brevi e violenti, la rumoristica (respiri, rantoli, colpi autoinferti, grida trattenute), i brani classici, li abbiamo già visti (e sentiti) negli altri lavori e qui sembrano ricuciti, come toppe monocrome dell’abito di Arlecchino, per rivestire l’imperatore. Ma sotto, il re è nudo. Ossia non vi è sostrato drammaturgico-narrativo a giustificarli né si comprende come performer diversi (persino per sesso), in opere diverse, possano, ad esempio, interpretare il parto quasi esattamente con i medesimi gesti. Mentre altrove si avverte chiaramente l’ascendenza da precedenti opere di Alessandra Cristiani.
Ovviamente ravvisiamo il rituale del corteggiamento, il tentativo di reimmergersi in un utero primordiale, così come – nel ginocchio che ammicca – la facile seduzione di un certo stereotipo femminile (da desiderio, però, tutto maschile), mentre la nascita (meglio espressa in Morte di Zarathustra) sa di aborto (non in quanto il feto muore – come ha accennato uno spettatore maschio nell’incontro successivo – ma in quanto vi è il rifiuto della maternità) e l’erotismo scivola sui corpi quasi fossero quelli in costume da bagno del mud wrestling. I passaggi si succedono prevedibilmente, per chi abbia assistito a passati lavori, mentre a un certo punto sembra quasi di assistere a un minuetto in punta di forchetta invece che a un rituale, il tutto su un sostrato sonoro che allontana dalla compartecipazione più intima – e radicata nella nostra matrice antropologica – per farsi patinata riproposizione di strade già, e meglio, battute. Il passaggio meno credibile è costituito da passetti stucchevoli su note di Händel che ben poco richiamano la succitata danza dell’Ade. I ritmi – precisi – che si succedono sconfessano, infine, ontologicamente l’assenza del tempo. Lo stile si è fatto stilema. Scomparsa la catarsi, il buio cala senza fremiti.
Discorso a sé, quello dell’erotismo femminile che, nelle mani e, soprattutto, negli occhi e nei sensi di un uomo (se si esclude Ecco l’impero dei sensi di Nagisa Ōshima), finisce sempre per diventare voyeurisme e maniera, e nulla tange della complessità del femminino. Il triangolo imposto al volto di una performer da parte dell’altra è metafora infelice. Forse Tafuri e Beronio avrebbero dovuto fare la scelta opposta – come quando fu la donna a generare il logos in un cortocircuito di significati e significanti esplosivo, in Morte di Zarathustra. Ossia, optare per due performer maschi, che avrebbero meglio corrisposto alla loro visione erotico/procreativa e distruttivo/restauratrice di un tempo circolare che l’apocatastasi riafferma dopo ogni ecpiròsi. E il tutto, ovviamente, nel silenzio siderale del vuoto.
Lo spettacolo è andato in scena nell’ambito di Orizzonti verticali 2023:
venerdì 4 agosto 2023, ore 21.30
Palazzo della Propositura
piazza Pecori, 2 – San Gimignano
Teatro Akropolis presenta:
Apocatastasi
regia Clemente Tafuri e David Beronio
con Roberta Campi e Giulia Franzone
musiche originali Pietro Borgonovo
produzione Teatro Akropolis
coproduzione GOG – Giovine Orchestra Genovese
*Friedrich Nietzsche
venerdì, 18 agosto 2023
In copertina: Foto di Francesca Di Giuseppe, photographer. Replica di Apocatastasi del 4 agosto 2023 a OV Festival