Colombia: aggiornamenti dell’ultima ora
di Luciano Uggè
Domenica, 9 maggio 2021. Dopo oltre dieci giorni di manifestazioni, nelle strade colombiane, e dopo essere arrivati a 26 morti accertate, siamo a poche ore dall’incontro tra il Governo di Duque e alcune tra le forze in campo contro la Ley de Solidaridad Sostenible, riforma fiscale voluta per far fronte al deficit provocato dalle misure di contenimento pandemico. Chiariamo i punti del contendere (anche perché, presto, gli europei dovranno cominciare a fare i conti e non è detto che le misure si discosteranno molto da quelle colombiane). I 6.300 miliardi di dollari statunitensi che il Governo vorrebbe recuperare attraverso la tassazione ricadrebbero per il 73% sulle persone fisiche e per il restante 27% sulle imprese. Sebbene sia previsto un aumento della tassazione anche per i grandi patrimoni (il 2% per chi possegga oltre i 4 milioni di dollari statunitensi), ciò che ha fatto deflagrare le proteste sono la tassazione sulle persone fisiche con salari oltre i 663 dollari mensili (in un Paese dove il salario minimo è di 234 dollari) e l’allargamento dell’IVA al 19% a fasce di prodotti indispensabili – come le forniture di acqua, gas e luce – e ad altri settori finora esenti. La protesta di piazza reclama che, invece di scaricare il peso della manovra economica sulle classi medie e povere del Paese, si ricorra all’eliminazione delle esenzioni per il settore finanziario e ad altre misure. Nel frattempo, il Governo Duque nega le violenze della polizia contro i manifestanti e, al contrario, accusa settori ‘infiltrati’ delle ex FARC e dell’ELN, mentre nelle piazze risuona (come scrive Eleconomista.net) lo slogan: “Si un pueblo sale a protestar en medio de una pandemia, es porque el gobierno es más peligroso que el virus” (“Se un popolo protesta nel mezzo di una pandemia, è perché il Governo è più pericoloso del virus“, t.d.g.).
Colombia: quando la misura sarà colma…
Nello Stato latinoamericano, solo nell’ultimo anno, sono stati uccisi oltre 300 leader di associazioni e realtà della società civile, unitamente a ex combattenti delle FARC-EP (organizzazione guerrigliera di ispirazione marxista-leninista e bolivariana attiva tra il 1964 e il 2016): un genocidio politico consumato nel silenzio dei media e dell’opinione pubblica occidentale.
Nonostante l’accordo firmato tra le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia-Esercito del Popolo e lo Stato cinque anni fa, le vittime tra i difensori dei diritti ambientali e umani hanno superato il migliaio. Uomini e donne parimenti trucidati per la sola ragione di stare dalla parte dei contadini, delle fasce più povere della popolazione e degli autoctoni – come è capitato a María Fernanda Juajibioy, leader della comunità indigena, uccisa con la nipotina di un anno e cinque mesi a marzo 2021.
La terra è il vero oggetto del contendere
Gli indigeni del Paese sono circa 800 mila (intorno al 2% dell’intera popolazione colombiana), suddivisi in diverse etnie che occupano 567 reservas (ossia territori assegnati loro dallo Stato), distribuite su 365 mila chilometri quadrati. Nei conflitti territoriali si devono ricomprendere anche le battaglie degli indigeni contro le industrie estrattive e il narcotraffico – oltre ai rapporti non sempre pacifici con i colonos e i missionari. Va però detto che, dopo aver agito per diverso tempo in nome e per conto del Governo, la posizione della Chiesa cattolica, verso la metà degli anni 70, cambiò e molti missionari, da allora, si sono schierati a favore dei movimenti di sinistra – tanto che fu proprio la Colombia, e per la precisione Medellín, a dare i natali alla Teologia della Liberazione nel lontano 1968 (anche se la città è diventata ben più famigerata, in seguito, per il Cartello omonimo).
Per quanto concerne gli stupefacenti, come denunciava osservatoriodiritti.it qualche tempo fa, a fine 2019 si calcolava che durante l’anno in corso era stato ucciso un indigeno ogni 72 ore in Colombia – e, nella notte tra il 30 e 31 ottobre, l’escalation portò al massacro di cinque persone appartenenti all’etnia Nasa (e al ferimento di altre sei), nel nord del Cauca, ossia la governatrice indigena Cristina Bautista e quattro guardie che cercavano di impedire il transito di sostanze illegali sul loro territorio.
Ma non solamente coloro che difendono gli indigeni da traffici, sfruttamento ed espropri sono al centro del mirino della rete narcotrafficanti/apparati governativi, come dimostra l’omicidio di Rosa Mendoza, ex membro delle FARC-EP, assassinata il giorno di Santo Stefano del 2020 insieme alla figlia ancora piccola (altro paradigma che sembra ripetersi con ferocia), durante una festa di famiglia a Vereda Quebrada Honda del Mpio. Il 90° massacro dell’anno, secondo Green Report: “perpetrato probabilmente da narcotrafficanti delle milizie di estrema destra che hanno forti complicità sia nell’esercito che nel governo colombiano, ostile all’Acuerdo de Paz firmato nel 2016 a Cuba”. Con Mendoza si è arrivati a quota 248 firmatari dell’accordo uccisi.
Una situazione talmente grave che il Segretario Generale delle Nazionali Unite, António Guterres, ha sentito la necessità di sottoporre – a fine 2020 – al Consiglio di Sicurezza Onu un rapporto in cui si denunciano le violenze perpetrate negli ultimi cinque anni e che vanno in senso diametralmente opposto ai fini e alle modalità dell’Accordo di Pace. Non più tardi del 27 aprile scorso, l’Onu – attraverso la sua rappresentanza nel Paese latinoamericano – ha nuovamente condannato: “la violenza esercitata contro comunità, difensori di diritti umani, leader sociali e comunitari, ed ex combattenti delle antiche guerriglie Farc-Ep” (come riportato da agenzianova.com). Mentre nella succitata Cauca “si evidenzia la situazione di deterioramento dei diritti umani con il dislocamento forzato di comunità e attacchi contro la popolazione civile e i leader delle comunità indigene” (stessa fonte).
L’Unione Europea: molto rumore per nulla
Se Euronews denunciava, già a inizio febbraio di quest’anno, come il 2021 si stia rivelando “l’anno più violento” dalla firma dell’Accordo di Pace e riportava la dichiarazione di Sebastián Escobar Uribe, membro del collettivo di avvocati José Alvear Restrepo: “Speravamo che il governo attuasse misure globali, politiche pubbliche che potessero colpire le diverse cause di violenza, non solo concentrandosi sulla sfera militare o sulla permanenza dei gruppi armati, ma anche facilitando le condizioni per le comunità contadine di quei territori più colpiti dal conflitto per ridurre il gap sociale che esiste con le città più importanti della Colombia”; occorre ricordare che proprio l’Europa aveva finanziato – con il Fondo Europeo per la Pace in Colombia, pari a 127 milioni di Euro – progetti intesi a sviluppare le zone rurali e il reinserimento degli ex combattenti nella società civile.
Va da sé, quindi, che la UE dovrebbe essere interessata a tali processi e a quanto sta accadendo in Colombia. L’esito di tale coinvolgimento, però, non è stato conseguente.
Il Parlamento Europeo, il 26 aprile scorso, ha presentato una proposta di risoluzione nel V° anniversario dell’Accordo di Pace. Nel testo del Parlamento Europeo, in un lungo preambolo si ricorda che “la Colombia è stata per 53 anni teatro di un violento conflitto condotto da vari gruppi paramilitari e di guerriglieri, che ha causato 9 milioni di vittime, tra cui oltre 240 mila morti, 100 mila persone scomparse e 7,7 milioni di sfollati; che in Colombia continuano ad avere luogo violenze diffuse, sparizioni forzate, rapimenti e uccisioni di attivisti e di difensori dei diritti umani” – ma non per opera delle FARC (puntualizzeremmo noi) visto che, come specificato nel medesimo documento: “nel settembre 2020, la Missione di verifica delle Nazioni Unite in Colombia ha certificato che tutti i depositi di armi e di esplosivi erano stati consegnati, e che le armi sono state neutralizzate dalle Nazioni Unite mentre gli esplosivi sono stati distrutti dal governo colombiano”.
Nonostante ciò, qualcuno continua a operare massacri impunemente se: “il 53 % delle uccisioni di difensori dei diritti umani avvenute in tutto il mondo ha avuto luogo in Colombia”. A questo punto potremmo concludere che, mentre le FARC si sono smilitarizzate rispettando gli accordi, la violenza contro i suoi ex membri e le comunità indigene sono proseguite. Qual è, quindi, la conclusione a cui giunge il Parlamento Europeo?
Tenendo conto delle relazioni politiche, economiche e commerciali tra UE e Colombia, e pur respingendo e condannando “con forza la violenza esercitata contro le comunità, i difensori dei diritti umani, i leader sociali e di comunità nonché gli ex combattenti delle FARC-EP”, ma altresì i “diversi casi di sfollamenti sforzati, reclutamento forzato, violenza sessuale nei confronti di bambini e donne, massacri, torture e altre atrocità”, la UE non ha la forza che di elencare una serie di esortazioni.
Invita il Governo colombiano a “compiere progressi nell’attuazione di tutti gli aspetti dell’accordo di pace”, “adottare misure per impedire nuovi massacri”, “garantire la protezione e la sicurezza di tutti i leader sociali e politici, degli attivisti sociali e dei difensori dell’ambiente e delle comunità rurali” e a “rafforzare le misure volte a salvaguardare efficacemente la vita e i diritti di tutte le persone nei territori colpiti dal conflitto e dalla violenza”.
E adesso traducete in un film mentale quanto letto. Chiudete gli occhi e immaginatevi la vecchia Europa come una signora un po’ altezzosa ma ben educata – seduta nel suo ufficio con scrivania in radica di noce – che dà una pacca sulla spalla al Governo colombiano, da buona vecchia amica. La manager non capisce cosa le stia raccontando questo fornitore (/cliente) un po’ in difficoltà, ma è sicura che riuscirà a cavarsela e a essere puntuale con le consegne (/i pagamenti). Gli affari sono affari e qualche indigeno in più o in meno non farà poi grande differenza.
Come sempre, gli statunitensi rispondono con l’esercito
Nel frattempo, la missione dei militari a stelle e strisce su territorio colombiano, ufficialmente per combattere il narcotraffico – bloccata da un Tribunale amministrativo al quale avevano fatto ricorso alcuni parlamentari lamentando che solamente il Parlamento (e non il Presidente) potesse approvare la presenza di truppe straniere sul proprio territorio – ha avuto il via libera definitivo nell’agosto del 2020.
Se pensaste di esultare considerate che la militarizzazione della Colombia, in passato, ha causato migliaia di vittime, sfollati e desaparecidos. Il Tribunale della Giurisdizione Speciale per la Pace – che sta indagando sui crimini commessi sia dalle truppe governative sia dalle FARC nel mezzo secolo di conflitto armato – ha recentemente fatto salire a 6.400 il numero delle esecuzioni extragiudiziali (eseguite tra il 2002 e il 2008), che l’esercito colombiano avrebbe denunciato, al contrario, come morti in combattimento (fonte sicurezzainternazionale.luiss.it).
L’ultimo dato riguarda proprio la cosiddetta guerra contro il narcotraffico. Secondo le Nazioni Unite, nel 2019, 154 mila ettari dei terreni agricoli colombiani erano coltivati a coca, con una produzione che raggiungeva il 70% di quella mondiale (seguita dal Perù, con il 20%, e dalla Bolivia al 10%, secondo sicurezzainternazionale.luiss.it). Dopo decenni di guerra persa – come raccontava anche un bel film del lontano 2000, diretto da Steven Soderbergh, Traffic – politiche di legalizzazione e incentivi alla riconversione delle produzioni agricole non sarebbero più efficaci?
Venerdì, 7 maggio 2021
In copertina: Bogotá, soldati nella capitale colombiana. Foto di Alejandro Turola da Pixabay.