Troppa carne al fuoco
di Simona Maria Frigerio (consulenza musicale di Luciano Uggè)
Due location, tre megaschermi, un coro, un’orchestra, attori e comparse, un piccolo corpo di ballo (più due specie di ninja), un gruppo pop, un direttore d’orchestra anche cantante, Puccini redivivo accompagnato da pianista, soprano e tenore (il migliore e l’unico a strappare un applauso a scena aperta su una buona esecuzione di Nessun dorma).
Troppo.
Ma facciamo un passo indietro. Il lavoro di Collinarea e Scenica Frammenti negli anni si è vieppiù concentrato su una musicalità diffusa che avrebbe dovuto e potuto coinvolgere l’intero borgo di Lari. In tempi non sospetti (ossia ben prima della promessa dei finanziamenti del Pnrr per una quanto mai fantomatica digitalizzazione del teatro), Loris Seghizzi già sperimentava e teorizzava fruizioni miste e cercava di contemperare live e ripresa video con l’immanenza di uno spazio/tempo unitario ove realizzare entrambi, mixandoli e sovrapponendoli. Esigenza creativa personale e scevra da compromessi del tutto stimabile. E però questo non significa che il risultato sia di per sé convincente.
L’unico personaggio in scena che è poeticamente e formalmente extradiegetico, in quanto compositore dell’opera, è Puccini – il suo essere in video, quindi, risulta pienamente giustificato. Al contrario, le orchestre (pop e classica), gli interpreti, i cantanti, il coro, eccetera, di questa Turandot rivisitata potrebbero essere intercambiabili nelle due location, in quanto tutti partecipi del medesimo tentativo di trasposizione intermediale. Non ha senso, di conseguenza, vederli dal vivo e in video solo per renderli contemporaneamente partecipi di una medesima scena che si svolge, però, su due ‘palchi’ posizionati in altrettanti spazi (la piazza centrale e una delle terrazze del borgo, affacciata sulla vallata). Potrebbero stare tutti nel medesimo spazio – il che, a livello estetico e poetico, equivarrebbe a una maggiore aderenza e consequenzialità tra contenuto e forma. Ma analizziamo anche altri due aspetti. Se il problema fosse l’eccessivo numero di elementi rispetto allo spazio, comparse e corpo di ballo – decisamente inutili – potrebbero essere eliminati; mentre se la questione è utilizzare per forza i media tecnologici (riprese/streaming, eccetera), ricadremmo nel tranello (insito nel Pnrr come lo era nel diktat del video in teatro degli anni 90) di sacrificare l’idea al mezzo invece di cercare i mezzi giusti per sublimare la creatività artistica.
Dopodiché Turandot, come Madama Butterfly, o restano confinate nel repertorio melodrammatico – e la prima con accenti ancor più propriamente fiabeschi che si riallaccino a Gozzi – oppure sono, a livello di libretto, decisamente indigeste (lontanissime da La Bohème). Il volersi imporre a una donna a ogni costo è davvero urticante e nemmeno Puccini pare credesse più di tanto a un personaggio, la principessa Turandot, il cui orgoglio si sarebbe dovuto, d’un tratto, tramutare in ardente passione (oltretutto per un uomo, il quale lascia che la donna che lo ama veramente si suicidi pur di non perdere la sua scommessa con la ‘maliarda ritrosa’). Puccini tentennò su quel bacio per anni e morì prima di decidere il finale. D’altro canto, se si vuole praticare l’impervia via di una contestualizzazione formale – mescolando Puccini al Battiato di La cura, e recitazione a canto – occorre a questo punto lavorare anche sul contenuto e però Nessun dorma passerà dall’essere una splendida aria all’ennesima prevaricazione da maschio del secolo scorso.
Perfetto il finale che, come quello di Toscanini, si ferma lì dove cadde la penna allo stesso compositore: «Qui termina la rappresentazione perché a questo punto il Maestro è morto». Seghizzi, forse più poetico del pragmatico Toscanini, ci lascia con l’immagine del capo di Liù abbandonato sulla spalla di Puccini – personaggio e creatore uniti nella morte. E non si capisce il perché di tanta frenesia tra compositori e Casa Ricordi a voler per forza mettere il punto esclamativo tentando svariati finali: meglio lasciare allo spettatore il gusto e il piacere, oltre che la fantasia, di immaginarsi se e come la ‘gelida’ (o proto-femminista?) Turandot si ‘scioglierà’ al ‘sole’ di Calaf o – personalmente ci piace prevedere – quest’ultimo vagherà come Edipo a Colono, mendico e cieco, in cerca di redenzione per la sua cecità di fronte a Liù.
Buona prova del coro, altrettanto buona prova tenorile, simpatici Ping, Pang, Pong, deliziosa come sempre Lari – sebbene ci sia apparsa meno viva degli anni passati.
Lo spettacolo è andato in scena nell’ambito di Collinarea Festival del Suono 2023:
sabato 29 luglio 2023, ore 21.30
Lari, itinerante
Turandot – Ombra della Luce
Spettacolo ubiquo Produzione Collinarea Festival del Suono 2023
con Iris Barone, Alice Bosio, Sveva Gini, Alice Giulia Di Tullio, Spencer Barone, Filippo Brancato, Eros Carpita, Walter Barone, Nicola Finozzi e Luca Bicchielli
Giovanni Bracci (chitarre), Giacomo Macelloni (batteria), Carlo De Toni (basso), Luca Ciarfella (tastiere e programmazioni), Sofia Mazza (pianoforte), Daniela Bulleri (voce) e Francesco Oliviero (voce)
Orchestra Amedeo Modigliani di Livorno, direttore Mario Menicagli
CLT Coro Lirico Toscano
scrittura e regia Loris Seghizzi
collaborazione alla regia Sabino Civilleri
collaborazione alla scrittura Edoardo Mancini
assistente alla regia Sergio Masiero
regia del coro teatrale e del coro lirico Manuela Lo Sicco
regia video Nico Lopez Bruchi
progettazione costumi Eros Carpita
realizzazione costumi Manifatture Digitali Cinema
scenografie Cesare Inzerillo
sound editing Mirco Mencacci
progetto sonoro Gabriele Guidi
progetto luci Michele Fiaschi
direttrice di produzione Elina Pellegrini
produzione Collinarea Festival Del Suono 2023
sostegno alla produzione Coro Lirico Toscano e Manifatture Digitali Cinema
venerdì, 4 agosto 2023
In copertina: il coro e l’interprete di Puccini in video, foto di Andrea Casini (gentilmente fornita dall’Ufficio stampa di Collinarea)