Il ritratto di un artista in equilibrio tra nuove tecnologie, pittura e performance
di Simona Maria Frigerio e Luciano Uggè
A volte capita. Ci si incontra. A Galleria Continua è persino più facile: l’atmosfera rilassata permette il dialogo tra artisti, critici, visitatori e operatori di settore. E così la nostra redazione ha conosciuto Fabrizio Ajello, artista – che definiremmo a larghe maglie intermediale – di origine siciliana ma con uno studio e diversi progetti in fieri a Firenze.
E a Firenze lo abbiamo rincontrato per una chiacchierata sui progetti che sta attualmente portando avanti e che implicano anche un uso creativo dell’Intelligenza Artificiale mantenendo, però, una forte matrice artistica e manuale.
Il primo progetto (elaborato con Francesco D’Isa), e che sarà sviluppato ulteriormente con un’installazione allo IED in collaborazione con Palazzo Strozzi, parte dal materiale onirico che Ajello e D’Isa hanno condiviso e sublimato attraverso il disegno, la narrazione e la rielaborazione testuale dell’AI (strumenti del tipo di ChatGpt, che stanno rendendo più flebile il confine tra contenuti sintetici e umani).
“Abbiamo confuso l’immagine con il visibile”, diceva lo psicoanalista e filosofo James Hillman. “…io penso che l’arte in realtà sia una scusa per cominciare un dialogo”, ha affermato Douglas Gordon in dialogo con Hans Ulrich Obrist. “Ogni atto artistico deve generare uno spazio di manovra del pensiero”, ma anche: “Bisognerebbe essere più radicali. Considerare la cosa in sé. Strappare l’essere all’apparire”.
Queste sono alcune sottotracce testuali sulle quali si sono mossi Ajello e D’Isa durante una passata residenza, che ha visto la ‘luce’ come Boiling the night, ma il prossimo step del lavoro (per lo IED) prevederà un percorso con alcune studentesse straniere in Italia per una rielaborazione di materiale onirico che, da individuale, dovrà, prima, diventare collettivo e, poi, essere presentato ai visitatori perché il dialogo continui con l’esperienza subliminale ed emotiva di noi tutti. Dialogo, quindi.
È Ajello a spiegarci quanto sia importante per lui, nel suo fare arte, questa parola: dialogo.
Dialogo con l’immagine, che non è mai fissata una volta per tutte – in quanto, forse, non riuscendo mai a essere la trasposizione reale perfetta di quella nella mente dell’artista – finisce per essere continuamente messa in discussione, modificata e, a volte, perfino distrutta. Dialogo con l’altro da sé, che può essere la materia che l’artista plasma, l’AI con la quale interagisce, un altro o più artisti con i quali collabora e/o si confronta e perfino lo spazio nel quale e sul quale agisce – che, in qualche modo, cambia per/durante/dopo qualsiasi azione performativa e/o artistica, trasformandosi in incubatore di nuove idee.
Sempre Ajello, a proposito, ricorda come un paio d’anni fa un’esperienza installativo/performativa da lui ideata (intitolata Dramadrimininterno/80-90), in un semplice androne di un palazzo fiorentino (in via San Zanobi), portò i suoi abitanti non solamente a collaborare al lavoro ma a rimpossessarsi dello spazio trasformandolo da luogo di transito e abbandono in luogo atto alla creatività, alla riunione e alla condivisione. Ed è proprio in questo che Ajello ravvisa anche la valenza politica della sua azione artistica, nel senso di partecipazione alla vita della polis e di cambiamento.
Ma torniamo a Boiling the night, il risultato della residenza artistica di Ajello e Francesco D’Isa presso Studio. La nuova “produzione e rimediazione di materiale narrativo e onirico, attraverso dei programmi Text to Image, basati su algoritmi di Intelligenza Artificiale” dovrebbe essere realizzata per il prossimo autunno fiorentino e, come abbiamo già scritto, vedrà più contributi, più sogni, più culture e lingue mettersi in gioco: quale sarà il sogno di una giovane statunitense? Domanda forse estemporanea ma non priva di conseguenze: nel subconscio predominerà l’inflazionato American dream o la comune matrice antropologica?
Il libro dei morti d’Occidente è il secondo progetto installativo e performativo sul quale Ajello sta lavorando. Il primo passo è stata l’ideazione di un testo, ovviamente epico – dato che a ‘interpretarlo’ dovranno essere marionette che si ispirano alle ombre balinesi (le quali raccontano, spesso, vicende tratte dal Mahābhārata e dal Rāmāyaṇa, come accade nel Watang Kulit giavanese) e ai pupi siciliani (che narrano, a loro volta, episodi della Chanson de Roland, dalla Gerusalemme liberata e dell’Orlando furioso). Testo, anche in questo caso, rielaborato attraverso piattaforme aperte di AI.
Ajello sta anche disegnando e costruendo quelle che saranno le marionette con le quali interagirà nella sua installazione performativa. E nel suo studio fiorentino ritroviamo anche influenze altre, come la figura del Wilder Mann delle comunità montane e del Nord Europa e quella del rumìt e di altre maschere degli antichi rituali di Satriano di Lucania, o ancora Su Battileddu del Carnevale sardo. Suggestioni… Vedremo la realizzazione il prossimo inverno o nei primi mesi del 2024.
Nel frattempo, veniamo a sapere che Ajello sarà in scena con il proprio testo epico (recitato con lo stile dei cuntisti siciliani e, non a caso, Fabrizio è in dialogo con uno tra i maestri del genere, Mimmo Cuticchio) e le sue marionette. Intorno a lui, un teatrino che sta progettando e sarà parte integrante dell’installazione artistica. L’idea attualmente in elaborazione è che che l’installazione/performance sia – diremmo noi – fruibile ‘dal diritto e dal rovescio’ ovvero frontalmente, in carne e ossa, nel suo materico farsi e disfarsi, e in controluce (grazie alle tre pareti del teatrino), come avviene appunto nel teatro delle ombre. Anche qui, suggestioni di una chiacchierata sulla quale torneremo quando vi racconteremo l’esito performativo del progetto.
To be continued…
venerdì, 2 giugno 2023
In copertina: Fabrizio Ajello