“Italia per la pace”: è iniziata la campagna referendaria
di La Redazione di InTheNet
La premessa: un sistema agli sgoccioli
Più fondi dello Stato si spendono per le armi e meno ce ne saranno per sussidi di disoccupazione, l’obolo di ‘povertà’ (il cosiddetto reddito di cittadinanza o quel poco che ne resta), l’assistenza sociale (dall’infanzia agli anziani nelle RSA), l’educazione, l’università e la ricerca, i trasporti pubblici, l’arte e la cultura e, ovviamente, anche le pensioni, gli stipendi della PA e la sanità. Già a marzo di quest’anno le Regioni avevano presentato al Ministro della Salute Orazio Schillaci e al Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti un documento nel quale si evidenziava come, in mancanza di un aumento dei finanziamenti da destinare alla Sanità, il sistema come lo conosciamo ora – pubblico e universalistico – non sarà più sostenibile.
I problemi, come un cancro che non sia né curato né estirpato, sono cresciuti e si sono moltiplicati negli anni. Dalle lunghe liste d’attesa che obbligano a ricorrere a visite specialistiche ed esami nel settore privato o alla visita dal chirurgo effettuata privatamente per poi sperare in una ‘posizione privilegiata’ nelle liste d’attesa per gli interventi; alla non uniformità delle prestazioni offerte dalle varie regioni, non solamente in termini di qualità ma anche di riconoscimento o meno di una stessa prestazione come mutuabile o meno (pensiamo, ad esempio, al cross linking per il cheratocono). Dal fatto che le fasce di reddito per il pagamento del ticket da anni, in quasi tutte le Regioni italiane, non sono state modificate e, in un periodo inflattivo come quello attuale, ciò che prima era solo una beffa adesso sta diventando un danno per non si sa quanti cittadini che rischiano di entrare in fasce più elevate di reddito solo perché la loro pensione o lo stipendio è aumentato quel poco che può servire ad ammortizzare (molto parzialmente) l’inflazione; all’intramoenia, che sottrae ore alle visite specialistiche dei medici, nelle strutture pubbliche, in regime mutuabile. Dalla carenza cronica di personale medico e infermieristico (secondo il Rapporto Crea, a gennaio 2023 mancavano all’appello 30 mila medici e 250 mila infermieri, per cui l’Italia dovrebbe stanziare 30,5 miliardi); ai cosiddetti medici di famiglia che si stanno trasformando sempre più in burocrati non avendo nemmeno l’obbligo della specializzazione (sostituita da un corso triennale regionale, che non è nemmeno richiesto per le sostituzioni o per svolgere un’attività come il medico di continuità assistenziale).
Dopo aver rinchiuso gli italiani per due anni in casa perché mancavano le terapie intensive e ci si era convinti che la Covid-19 – a differenza di altri virus anche corona – non potesse essere curata in alcun modo, e averci fatto credere che la priorità di qualsiasi Governo sarebbe stata la Sanità pubblica, la realtà si è dimostrata alquanto diversa dalle promesse della politica e dalle aspettative dei cittadini.
Mentre milioni di dosi di vaccino contro la Covid-19 giacciono nei magazzini, il debito verso le Case farmaceutiche è una voragine su cui dovrebbe investigare anche la Corte di Conti – secondo i colleghi de La Stampa a metà febbraio 2023, “tra giacenze e nuovi acquisti” l’Italia rischiava di “buttare 173 milioni di dosi”, dato che l’Europa avrebbe firmato una “clausola capestro” che la obbliga “ad acquistare quest’anno da Pfizer altre 450 milioni di dosi, 61,1 milioni destinate all’Italia”. Sempre secondo i colleghi, dobbiamo calcolare circa 3 miliardi di Euro “gettati al vento” (1). Per capire i valori di grandezza, pensiamo che a marzo 2023 – a causa delle spese per la Covid-19 non coperte dallo Stato e del caro bollette – sempre secondo i colleghi de La Stampa, il buco della sanità regionale ammontava a 5 miliardi di euro.
E in questa situazione che, da grave, sta diventando incontrollabile, la politica italiana cosa fa? Aumenta le spese militari, promettendo di impegnare il 2% del Pil a tale scopo – e non solamente a causa del nostro appoggio a Kiev contro i russofoni del Donbass.
Vi ricordate ‘Spezzeremo le reni’?
Forse qualcuno si sarà accorto che il Governo Meloni si starebbe impegnando a ‘contenere la Cina’ con l’ausilio della portaerei Cavour. Cosa significa tale mossa ‘strategica’?
IlFarodiRoma (2) a proposito ci informa che: “il costo operativo di una portaerei americana è di 7 milioni di dollari al giorno secondo i dati forniti dalla US Navy. Essendo la Cavour di modestissime dimensioni si può ipotizzare un costo giornaliero dai 2,5 ai 3 milioni di dollari. Per ogni ora di volo dei F35 o V/STOL il costo varia dai 30 mila ai 36 mila dollari”. Nei quattro mesi, quindi, in cui dovrebbe far bella mostra di sé (forse a fine anno), la Cavour (non tenendo conto della sua scorta e nemmeno delle esercitazioni aeronavali) dovrebbe costare all’Italia circa 360 milioni di dollari. A questa cifra vanno aggiunti circa 4 milioni di dollari al giorno per la flotta di protezione (composta da un cacciatorpediniere, una fregata e un rifornitore), che ammonterebbero a circa 480 milioni di dollari per i 120 giorni di ‘crociera’, che dovrebbe iniziare tra l’autunno e l’inizio dell’inverno del 2023. Ma IlFarodiRoma segnala altresì che la Cavour avrebbe bisogno di manutenzione ogni 18 giorni circa (sic!). Se si tiene conto che la flotta statunitense nel Pacifico “conta 200 navi con 230mila uomini tra cui 3 portaerei e 84 aerei cadauna”, oltre a “2.000 aerei tra caccia, fortezze volanti, bombardieri e trasporto truppe/mezzi dislocati nelle varie basi in Giappone e nei Paesi alleati”, ci chiediamo che senso abbia per l’Italia ‘gettare al vento’ quasi un miliardo di dollari (o 900 milioni di Euro) per fare da ‘damigella di scorta’ agli States. Ma la definizione della Cavour potrebbe essere ancora più ‘fantasiosa’ in quanto, nonostante sia costata 1,3 miliardi di Euro agli italiani, “a causa della ridotta superficie dell’aviorimessa (2.500 mq) la Cavour può accogliere 12 elicotteri SH-3D, NH-90 e EH-101 o in alternativa 4 elicotteri e 8 caccia F-35B o V/STOL AV-8B Harrier II Plus”. Rasentiamo il ridicolo.
Nel frattempo, come ci informa AnalisiDifesa (3), il 6 aprile è salpata la Nave Francesco Morosini (un pattugliatore polivalente d’altura) per una “campagna navale in Estremo Oriente che durerà 5 mesi” in quanto, e citiamo letteralmente: “Anche la Marina italiana è stata chiamata dagli alleati a partecipare al contenimento strategico della Cina” (sic!). Mostreremo i muscoli grazie a una nave con scafo lungo 143 metri, con 2 cannoni OTO Melara e capacità di trasporto di 1-2 elicotteri a seconda del tipo. Ai lettori giudicare.
Tre referendum: contro la guerra in Ucraina e a favore della salute
In queste settimane alcuni intellettuali hanno deciso di dire no a questa deriva che porta gli italiani non solamente sempre più distanti dai propri principi costituzionali (il famoso Articolo 11) ma anche dalla Legge 185/90 che vieta di fornire armi ai Paesi in conflitto armato e che, nel 2021, aveva consentito al Governo di revocare sei licenze per la fornitura di “armi e missili ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti” (4) e che, per l’Ucraina, si aggira basandosi sugli articoli 3 e 4 del Trattato Nordatlantico (5), ancora una volta sottomettendo la sovranità italiana ai desiderata della NATO. E degli Stati Uniti.
Con il motto “Ferma il dolore, firma la pace”, il 23 aprile è iniziata in tutta Italia la raccolta delle firme per la campagna referendaria organizzata dal Comitato Generazioni Future presieduto dal docente di Diritto, Ugo Mattei, insieme ad alcuni intellettuali quali lo storico Franco Cardini e il drammaturgo Moni Ovadia, nonché Carlo Freccero, Vauro e Claudio Messora. 500 mila firme entro 90 giorni: questo il primo obiettivo da raggiungere.
Si potrà firmare direttamente ai banchetti organizzati dal comitato organizzatore (per la mappa delle iniziative: https://generazionifuture.org/), agli uffici elettorali dei Comuni di residenza oppure sulla piattaforma itagile.it usando lo SPID (in quest’ultimo caso occorrerà versare 1,50 euro per la società che gestisce la piattaforma).
Ma quali sono i tre quesiti referendari che mostreranno se gli italiani sono ancora interessati a una convivenza pacifica e a un diritto fondamentale come la salute?
Per fermare il lento deterioramento della Sanità pubblica, si vuole porre fine al conflitto d’interesse che riguarda l’assegnazione dei fondi pubblici per il settore. Il primo quesito, di conseguenza, sarà: “Vuoi tu abrogare l’art. 1 (Programmazione sanitaria nazionale e definizione dei livelli uniformi di assistenza), comma 13, decreto legislativo n. 502/1992 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’art. 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421 [Gazzetta Ufficiale n. 305 del 30 dicembre 1992 – Supplemento ordinario n. 137]) limitatamente alle parole e privati e delle strutture private accreditate dal Servizio sanitario nazionale?”.
Con il secondo quesito si intende fermare l’invio di armi italiane all’Ucraina: “Vuoi tu che sia abrogato l’art. 1 del decreto-legge 2 dicembre 2022, n. 185 (Disposizioni urgenti per la proroga dell’autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle Autorità governative dell’Ucraina), convertito in legge n. 8 del 27 gennaio 2023 nelle parole: ‘È prorogata, fino al 31 dicembre 2023, previo atto di indirizzo delle Camere, l’autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell’Ucraina, di cui all’art. 2-bis del decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 aprile 2022, n. 28, nei termini e con le modalità ivi stabilite’?”.
Il terzo quesito infine vuole togliere al Governo il potere di derogare al divieto di esportazione di armi ai Paesi in guerra attraverso la semplice informativa al Parlamento in modo tale che, in futuro, vi sia per tale scelta: “la piena assunzione di responsabilità politica da parte del Parlamento”. E infatti leggiamo: “Volete voi che sia abrogato l’art. 1, comma 6, lettera a), legge 09 luglio 1990, n. 185, rubricata ‘Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento’, e successive modificazioni (che prevede: ‘6. L’esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l’intermediazione di materiali di armamento sono altresì vietati: a) verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i princìpi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei Ministri, da adottare previo parere delle Camere’ limitatamente alle parole ‘o le diverse deliberazioni del Consiglio dei Ministri, da adottare previo parere delle Camere’?”.
Poi la palla passerà alla Corte di Cassazione, a quella Costituzionale e se agli italiani interessano davvero la pace e la salute, saranno le urne a deciderlo visto che, per essere validi, ai referendum dovranno andare a votare (probabilmente non prima della primavera dell’anno prossimo) il 50% più 1 degli aventi diritto.
(1) L’articolo de La Stampa: https://www.lastampa.it/cronaca/2023/02/15/news/covid_vaccini_inchiesta_spreco_dosi-12643823/
(2) L’articolo su Il Faro di Roma: https://www.farodiroma.it/la-grottesca-ma-costosissima-spedizione-navale-della-meloni-nel-pacifico-per-fermare-la-cina-fulvio-beltrami/
(3) Si veda: https://www.analisidifesa.it/2023/04/rotta-verso-lasia-la-marina-italiana-nellindo-pacifico/
(4) La Legge 185/90: https://altreconomia.it/la-legge-185-sullexport-di-armi-e-sotto-attacco-un-appello-per-difenderla/
(5) L’articolo di Avvenire: https://www.avvenire.it/attualita/pagine/ucraina-guerra-italia-puo-autorizzare-invio-armi/
venerdì, 12 maggio 2023
In copertina: Foto di Gerd Altmann da Pixabay (gratis da usare sotto la licenza per i contenuti)