Intervista a Saverio La Ruina
di Lorena Martufi
Saverio La Ruina torna a teatro con Dissonorata, premio Ubu come miglior testo. Un lavoro scottante, che urla riscatto, scomodo per una morale che non muore mai nei luoghi di casa nostra, dove in dialetto una donna di nome Pascalina si confessa, con le mani sulle ginocchia, con un vestito di altri tempi, su cui è passata la vergogna, che il teatro lava via, restituendoci un personaggio meraviglioso che brilla di innocenza e con una storia che brucia.
Da dove viene questa vergogna?
Saverio La Ruina: «Dissonorata è uno spettacolo vicino alla violenza di genere, ambientato nella nostra Calabria. Pascalina è una donna che cammina a occhi bassi contando le pietre per terra, che non sia mai incontrano quiddi i nu masculo tutti a chiamano puttana. Pascalina è una donna ferita, calpestata, uccisa dentro, svalutata, vittima dell’ignoranza di una società patriarcale ca si nascivisi fimmina ierano a lutto (se nascevi femmina erano a lutto). Ho sentito l’urgenza di denunciare delle limitazioni culturali, ancora attuali, che sono a carico della donna, a differenza dell’uomo che vive con gli stessi atteggiamenti».
Quanto è cambiata a distanza di 17 anni la società calabrese che fa da sfondo a Dissonorata?
S. L. R.: «Il mondo in Dissonorata è patriarcale. Anche Pascalina che aderisce a quel mondo poi, pian piano, si rende conto che non è esattamente quello in cui può stare bene una donna. Ci arriva con la sua semplicità – e grazie a quella non si fa piegare. Il problema nella società attuale è che il maschilismo è diventato ambiguo, è velato e, quindi, ancora più pericoloso. Mentre prima, se subivi una violenza, ne eri consapevole. Oggi manca questa consapevolezza perché su più livelli siamo di fronte a un nascondimento delle cose per quello che sono. Una volta sapevi che l’uomo era il capofamiglia. Quando Pascalina esce per andare al mercato descrive le donne con la veste curta, i gamme ‘a fora. È lei stessa a giudicare quelle donne, fino a quando poi capisce che anche quella è una costruzione uguale a quella che lei subisce».
La scena della violenza che descrivi in Dissonorata non è esplicita, ma è evocata per immagini suscitate dalla musica densa di suggestioni di Gianfranco De Franco. Come mai hai deciso di non scriverla?
S. L. R.: «La scelta di non raccontare la scena della violenza sta nel personaggio di Pascalina, che è una donna con un grande pudore. Soprattutto in una situazione come quella, intima, che si viene a creare tra il personaggio seduto su una sedia che si racconta al pubblico e il pubblico stesso. Pascalina ha una sua ingenuità e il senso della vergogna. Mi sono posto il problema di quanto potesse raccontare esplicitamente il mio personaggio e ho lasciato tutto alla musica».
Il racconto, anche se non esplicito è ugualmente potente, perché affidato alla tua gestualità e alla bellezza del personaggio – che sollecita una commozione continua in chi l’ascolta. Da dove nasce Dissonorata?
S. L. R.: «Da mia madre che, quando doveva indicare qualcosa che aveva creato un disonore, diceva: ‘dissonore’, così ho pensato a Dissonorata. In questo come in tante altre cose devo molto a mia madre e a mio padre. Anche Masculi e fiammine. Mia madre rispetto all’omosessualità diceva quiddu chi jè masculu e fiammina (quello che è maschio e femmina) per farsi capire, senza voler dare alcun tipo di giudizio».
Le donne in Calabria subiscono di più gli stereotipi. Spesso sono crocifisse, martirizzate, o al centro di un processo che le vede lamentarsi nei diversi ruoli di madri, compagne, mogli, figlie, eccetera. A ogni modo sempre vittime di un potere più forte della loro natura, che è erroneamente definita fragile. Ma è davvero così?
S. L. R.: «Sono convinto che esiste un tipo di donna forte, anche più forte dell’uomo, del capofamiglia, del marito. Dietro alla maschera dell’uomo forte viene fuori spesso la personalità debole che, al contrario, asseconda la donna che detiene di fatto il potere, assumendo su di sé la responsabilità del lavoro e della casa. Più del piangersi addosso, spesso, in alcuni contesti di gente semplice, sin da quando ero bambino, ho visto un’ironia che è pungente e che è una forza. Se in Calabria manca un’eroina della Resistenza, abbiamo queste donne che sono forti nella vita e nel quotidiano».
Pascalina è una donna tenera, genuina, alla ricerca dell’amore, piena di sogni. Vive l’ansia dell’attesa legata alla crescita, perché non può sposarsi prima della sorella maggiore, ma ha paura di rimanere sola, zitella, e di essere additata come una ‘poco di buono’. In questo meccanismo resta incastrata quando poi si innamora, viene messa incinta e abbandonata. Da artista come hai vissuto questo meccanismo della vittima e, insieme, del carnefice?
S. L. R.: «Volevo che il carnefice desse voce alla vittima e così auto-condannarsi, sulla sedia dell’imputato. Questo all’inizio mi sembrava estremamente complicato, poi è stato facile. Sono stato anche contento di vedere l’approvazione di tante donne che hanno assistito allo spettacolo, anche quelle protagoniste e attive nei movimenti femministi che si sono complimentate con me e mi hanno ringraziato come uomo per essermi assunto le responsabilità di un universo che ha ammesso delle criticità, proprio perché il processo del cambiamento deve avvenire prima sul genere maschile, che deve essere disposto a perdere un potere che non vuole perdere. La presenza delle donne a questo lavoro, per me, è stata fondamentale».
Pascalina diventa madre e viene arsa come carne arrustuta fra le mura di casa perché ha fatto l’amore in un campo di grano. Eppure è la storia di un riscatto dalle cicatrici e dal dolore tramite la difesa a tutti i costi della vita. Qual è il messaggio finale di Dissonorata?
S. L. R.: «Una donna che ha avuto una vita del genere e ancora continua a vedere il bicchiere mezzo pieno. A lei basta che il figlio sia nato lo stesso giorno di Gesù a compensarla e a darle lo slancio per il domani».
Con Dissonorata hai vinto il premio Ubu per il testo, così come per un altro tuo spettacolo, dalla tematica altrettanto urgente e cruda, tinto di denuncia, La Borto. Vittoria come Pascalina vince sulla sua epoca?
S. L. R.: «Mentre Pascalina vive tra paese e casa di campagna, a pascolare le pecore, Vittoria abita in una città di provincia. È meno sprovveduta e ingenua di Pascalina, la quale pensa, al contrario, che tutto il mondo sia circoscritto alla sua famiglia – tant’è che non sa dare nome neanche al suo sentimento. Vittoria è una donna meno vinta, ma che ugualmente prende in mano il suo destino, ugualmente a rischio, fino alla fine».
Sicuramente vince il teatro di Scena Verticale con Saverio La Ruina, fatto di parola, ritmo, gesto, che scandisce ogni dettaglio delle sue storie e del nostro tempo, in cui il dialetto è anima e – grazie a lui – ha attraversato le montagne del Pollino arrivando all’estero e superando, speriamo, gli stereotipi femminili insieme ai nostri confini.
Dissonarata è in scena al Fabbrichino di Prato fino a domenica 7 maggio 2023
venerdì, 5 maggio 2023
In copertina: Saverio la Ruina in scena (particolare della foto dello spettacolo come da Cartellone 2022/2023 del Teatro Metastasio di Prato)