Il miglior fotoreporter di guerra del Novecento, in mostra al Lu.C.C.A. Center of Contemporary Art
di Luciano Uggè
Un’occasione importante per rivivere vent’anni di storia attaverso l’occhio “cinematografico” di un artista del bianco e nero.
Endre Ernő Friedmann, meglio conosciuto con il suo nome d’arte, ossia Robert Capa, è stato tra i fondatori dell’agenzia Magnum, insieme a Henry Cartier-Bresson (anche lui in mostra a Lucca, l’anno scorso). Il confronto fra i due, però, inizia e termina con i ritratti dei personaggi famosi in fotografie in bianco e nero che ne dimostrano l’abilità nell’uso della luce e nella valorizzazione del chiaroscuro. Non a caso, citiamo tra quelli esposti, l’ironico ritratto – in stile famiglia in vacanza – di Picasso con ombrellone in mano che ripara dal sole la bella e sorridente Françoise Gilot; un William Falkner riflessivo – molto meno gentiluomo sudista rispetto a quello immortalato da Cartier-Bresson; un Capote infantile che abbraccia un cagnolino – decisamente meno inquietante del ritratto fatto dall’amico; e una seducente Ingrid Bergman ripresa di profilo, quasi irriconoscibile, accarezzata dall’occhio vellutato della macchina fotografica che sembra ipnotizzato dalla sua bellezza quanto lo è stato, per anni, quello della cinepresa. E qui le analogie tra i due maestri si fermano.
Capa, infatti, non è tanto un fotografo, quanto un fotoreporter che ha percorso a rotta di collo un ventennio stravolto da guerre che hanno falciato la vita di milioni di persone. E lui è stato presente, in prima linea, ovunque: nella Spagna della Guerra Civile (tra il ’36 e il ’39), dove ha perso la sua compagna, la fotografa tedesca Gerda Taro; in Cina, durante l’invasione giapponese (1938); insieme alle truppe statunitensi mentre sbarcano in Sicilia nel ’43 e, sempre in prima linea, il 6 giugno 1944, il D-Day, a Omaha Beach, in Normandia; e, ancora, paracadutandosi a rischio della propria vita dietro le linee nemiche, in Germania, con i soldati Usa, nel ’45; e, infine, sul terreno di guerra indocinese, nel ’54, dove muore mettendo il piede su una mina antiuomo. Ognuno di questi tragici eventi è in mostra e a ognuno Capa dedica scatti che vanno al di là della parata di de Gaulle o dell’avanzata degli Alleati, perché Capa non è un giornalista embedded, bensì il cantore triste del dolore di chi resta, degli sconfitti, gli esiliati, i prigionieri, i morti e i sopravvissuti.
Attraverso i suoi scatti, oltre al notissimo e toccante Morte di un miliziano lealista (Cordova, 15 settembre 1936) – che, tra l’altro, dimostra una sagacia nella composizione dell’inquadratura che fu fortuna ma che è anche certamente talento – a Lucca si rivive la sconfitta dei Repubblicani spagnoli nell’immagine della Ragazza tra gli sfollati (Barcellona, gennaio 1939), accasciata come povera cosa tra fagotti e sacchi; ci si emoziona seguendo la Donna francese con bambino nato da un soldato tedesco, che deve sfilare per punizione con il capo rasato tra la folla che la schernisce (Chartres, 18 agosto 1944); si condivide la fatica, la caparbia e la forza interiore sul volto della Donna che prepara le fascine in una fattoria collettiva (Ucraina, agosto 1947); si afferra immediatamente un rimando all’ex Jugoslavia di fronte alle Persone a terra a causa dei cecchini che aprono il fuoco durante i festeggiamenti per la Liberazione (Parigi, 26 agosto 1944), e ai Contadini tedeschi in fuga dalle fattorie incendiate (Wesel, 24 marzo 1945). La pietas di Capa va sia all’Ufficiale tedesco perquisito da un soldato americano (Francia, 1944), sia al Soldato americano ucciso dai franchi tiratori tedeschi (Lipsia, 18 aprile 1945) – dove la perfetta composizione asimmetrica e il chiaroscuro non estetizzano bensì rendono ancora più crudele quell’ultima, inutile morte.
Tanti anche i contrasti, così lampanti se descritti con un’immagine piuttosto che con decine di vuote parole. Basta soffermarsi davanti ai Bambini che giocano nella neve (Hankou, marzo 1938), dove la gioia infantile è quasi palpabile, e confrontarli con il ritratto del Soldato bambino – che sembra aver perso per sempre la sua innocenza, costretto a partecipare alla guerra cino-giapponese (stesso periodo e luogo). Per non parlare dell’ironica immagine di una anziana, dal sorriso furbo, che con un membro della milizia territoriale, durante un bombardamento, si preparano a bere il thè in un rifugio antiaereo (Londra, 1941).
Molto belle per ritmo e composizione anche il Contadino siciliano indica la direzione presa dai soldati tedeschi a un ufficiale americano (Troina, agosto 1943); l’Autoritratto davanti allo specchio di Robert Capa con John Steinbeck, dove il tavolo e il portafrutta, uniti alla sgranatura dell’immagine, rimandano a un interne di Cézanne; e, infine, i Membri della Resistenza accucciati dietro un camion che spicca per l’ottima messa a fuoco, la profondità degli sguardi, la diagonale dell’inquadratura di un gruppo di uomini dietro il fucile (Parigi, 25 agosto 1944).
Sornione, fumatore, consapevole, allegro, così ci appare ancora oggi nel bel ritratto di Ruth Orkin, anch’esso in mostra (Parigi, 1952). Il suo occhio ci manca, quell’occhio attento che non ha mai smesso di indagare il suo presente – un presente che è tristemente molto attuale.
Pubblicato su Artalks.net, l’8 luglio 2014
In copertina: Locandina della personale dedicata a Robert Capa.