Dietro le quinte del secondo spettacolo di un giovane Collettivo teatrale italiano
di Simona Maria Frigerio
La Città del Teatro continua a essere – nonostante le problematiche strutturali ed economiche – grazie a Fondazione Sipario Toscana, una tra le realtà produttive più effervescenti della regione e la Vicepresidente, Anna Stella Giannelli, ha deciso che questa ricchezza debba essere anche alla base di un dialogo aperto tra Compagnie, studenti dell’Università di Pisa, critici, ricercatori e studiosi in campo teatrale ma anche autori, attori e registi impegnati in altre produzioni o, comunque, presenti sul territorio.
IntheNet è stato quindi invitato a partecipare a un dietro le quinte di una nuova versione di Peter Pan, assistendo a circa una quarantina di minuti di filata e poi a un incontro con il Collettivo Fontana (che lo sta realizzando), con Giannelli e con l’autrice/attrice Debora Mattiello (impegnata a sua volta nella produzione di un Pinocchio).
Sul palco abbiamo visto Michele Eburnea, Luigi Fedele, Sara Mafodda, Aurora Spreafico e Aron Tewelde (con doti vocali e interpretative eccellenti), alla regia Caterina Dazzi (molto sicura di sé ed energica, nonostante sia alla seconda produzione post Accademia) e alla drammaturgia Flavio Murialdi, che ha affrontato il difficile compito di restituire il lato più ‘nero’ – ma anche profondamente in sintonia con l’originale opera teatrale (poi romanzo) di J.M. Barrie – di Peter Pan.
Il Collettivo Fontana, formato principalmente da diplomati della Scuola Luca Ronconi del Piccolo Teatro di Milano e dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma, ha sicuramente una vocazione insieme surreale e onirica, una certa corrosività già adulta e, in questo lavoro, dimostra come la favola nera sia uno tra gli strumenti teatrali più potenti ed efficaci per ragionare sulla nostra realtà distopica – in questo caso, a livello psicologico e non sociologico o politico.
Un passaggio del testo di Murialdi potrebbe essere filo conduttore per leggere lo spettacolo sotto più punti vista: “Nessuno ascolta veramente i bambini. Bisognerebbe farci attenzione”. Ed è indubbio che un primo livello di interpretazione riguarda lo spettatore che dovrà fare molta attenzione ai dialoghi e ai monologhi, brevissimi, dietro ai quali si cela/rivela non solo il procedere dell’azione ma soprattutto la maturazione (o il rifiuto di maturare/cambiare) dei personaggi. In realtà qui abbiamo notato alcune criticità, ossia la mancanza di una struttura drammaturgica più forte per legare le varie scene e di un crescendo ritmico che porti a un vero climax. Ma, avendo visto lo spettacolo senza l’ausilio delle luci e non avendo assistito al finale, attendiamo il debutto per giudicare.
Fare attenzione a ciò che raccontano i bambini ha anche una valenza altra. Come nel capolavoro di William Golding, Il Signore delle mosche, Peter Pan vede un gruppo di bambini (perduti) vivere su un’isola/mondo in cui ricreano una forma di società (vicina al clan) con tanto di capo (figura insieme carismatica e dispotica), a cui si contrappone un antagonista, con conseguente replica di modelli di azione da adulti – quali guerra, violenza e l’inevitabile morte. Proprio la pulsione di morte si respira, come sotto-traccia, nei testi di Golding e Barrie e, del resto, i bambini soldato in tutto il mondo sono la riprova non solamente della crudeltà infantile ma anche del ruolo delle inibizioni imposte dalla società nella creazione del nostro Io, che è governato dal principio di realtà e si costituisce come mediazione tra i bisogni pulsionali propri dell’Es e il mondo esterno. Il terzo vertice del triangolo freudiano, il SuperIo inteso come l’insieme dei divieti sociali e morali sentiti dalla psiche quale costrizione e impedimento alla soddisfazione del piacere, non può prendere vita né sul palco né nei testi originali. Sull’isola di Golding come su quella ‘che non c’è’ di Barrie il SuperIo non si sviluppa nel bambino mancando il potere condizionante dei genitori. Ecco perché ha un senso ciò che scrive il Collettivo Fontana a proposito del proprio Peter Pan: “ambivalente e dispotico: è un passionale, un radicale, un conservativo, nel modo più̀ puro e spietato dei bambini”. Lo è il protagonista, ma può esserlo il clan in quanto entità, organica al capo.
Favola nera e per adulti, quindi, quella che andrà in scena stasera, venerdì 21 aprile alle ore 21.15, a La Città del Teatro.
Del resto, la pièce teatrale originale, Peter Pan. Il bambino che non voleva crescere è del 1904 (parzialmente riscritta e pubblicata come romanzo nel 1911) e si inserisce perfettamente tra L’Io e l’Es, il saggio del 1923 di Sigmund Freud, e Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie, il romanzo di Lewis Carroll (ovvero Charles Lutwidge Dodgson) del 1865. Quest’ultimo, altro caposaldo nerissimo di una letteratura per adulti che vede protagonisti i bambini – ma non si può certo affermare sia un libro per ragazzi. E non a caso il nonsense di Carroll spesso si tinge di note kafkiane ante-litteram, esprimendo l’angoscia verso il tempo che passa e lo sbiadito mondo degli adulti, a cui Alice non vuole tornare, così come si giova di un susseguirsi di accadimenti che, ancora una volta e sebbene in maniera surreale e financo grottesca, replicano proprio quel mondo adulto intessuto di violenza e morte (si pensi al beckettiano processo di fronte al Re e alla Regina di Cuori, all’angoscia per lo scorrere del tempo espressa dal Bianconiglio o, ancora, la caduta di Alice in una tana profonda, che simbolizza proprio l’entrata nell’inconscio).
Ma esiste anche una scenografia. L’isola che delimita lo spazio nel quale si muovono gli attori e che dovrebbe “diventare un mezzo per indagare le conseguenze di un’utopia” – come racconta il Collettivo Fontana – ha il sapore del palco/mondo di Strehleriana memoria, ma lo spettacolo potrebbe anche funzionare in un ambiente site-specific in cui siano gli spettatori ad avvicinarsi e ad allontanarsi da quell’isola a seconda dell’interesse, della curiosità o perfino del capriccio di adulti che sbirciano l’universo infantile. Sul palco, al contrario, si fatica a stabilire confini e disegni (i personaggi scrivendo a volte per terra con i gessetti) e l’isola, nelle prove, è sembrata più un tappeto che non una zattera sui cui dei naufraghi dell’infanzia si tengono a galla o, addiruttura una prigione, dalla quale i bambini non riescono a evadere diventando adulti.
Un’utopia, quella dell’isola di questo Peter Pan, lontanissima da quella filosofica e positivista di un Marivaux e della sua Isola degli Schiavi, più prossima a una distopia in cui si inserisce perfettamente quanto afferma la regista, Caterina Dazzi, di voler calare personaggi e ambiente “in un’atmosfera rarefatta e sospesa nella nebbia, passando da sogno a realtà e viceversa”. Purtroppo, a parte Aron Tewelde, gli altri attori ci sono parsi ancora un po’ acerbi – in equilibrio tra Accademia ed enfasi – e, quindi, raggiungere le vette del perturbante sarà salita impervia.
Stasera vedremo se il Collettivo Fontana riuscirà a portare in scena tante suggestioni; la settimana prossima i nostri lettori potranno leggere la recensione dello spettacolo firmata dal collega, Luciano Uggè.
venerdì, 21 aprile 2023
In copertina: La Locandina dello spettacolo (gentilmente fornita dall’Ufficio stampa de La Città del Teatro); nel pezzo, foto di scena di Clara Borrelli (gentilmente fornite dalla produzione).