Dal lavarsi le mani al controllare le scadenze: torniamo alle elementari
di Simona Maria Frigerio
Non occorre la sagacia di un Riccardo Manzotti per capire che, venuto meno il patto democratico tra governato e governante: “Allo Stato non si chiede di spiegare le motivazioni razionali delle regole. Ai cittadini non si chiede di comportarsi responsabilmente. Ognuno viene meno ai suoi obblighi e ci si tratta con l’indulgenza tipica di persone immature”. Tutto ciò accadeva in piena epoca pandemica, quando l’ex Premier Conte ci esortava a essere ubbidienti e ci avvertiva che la piccola concessione in favore delle nostre libertà individuali, civili e sociali (un tempo, considerate diritti inalienabili) non era “un libera tutti”. A distanza di tre anni la situazione è tornata alla normalità? Gli italiani sono tornati a essere adulti in grado di ragionare e decidere in base ai propri convincimenti (etici, politici, religiosi) e idee?
Queste considerazioni sono nate in me qualche settimana fa a teatro. Quando, nei bagni, ho notato il ‘mitico’ poster che spiega(va) Come lavarsi le mani con acqua e sapone [tuttora reperibile anche in rete: (1)] e, d’un tratto, ho ricordato i tempi in cui era Barbara d’Urso a spiegarcelo in tivù, la stessa (per intenderci) che inseguiva il runner solitario sulla spiaggia – grazie alle ‘prodezze aeree’ della Guardia di Finanza che vi impiegavano persino un elicottero. Era il periodo del terrore cieco, dell’amico, del vicino e persino dell’amante trasformato in ‘untore’, della ridefinizione degli individui in base alla loro rigida adesione alle ‘regole’ (le stesse oggi sventolate contro la Russia dalla Nato). Giorgio Agamben scriveva in una tra le sue molte, lucide analisi: “L’altro fattore, non meno inquietante, è lo stato di paura che in questi anni si è evidentemente diffuso nelle coscienze degli individui e che si traduce in un vero e proprio bisogno di stati di panico collettivo, al quale l’epidemia offre ancora una volta il pretesto ideale. Così, in un perverso circolo vizioso, la limitazione della libertà imposta dai governi viene accettata in nome di un desiderio di sicurezza che è stato indotto dagli stessi governi che ora intervengono per soddisfarlo” (2).
La memoria, in quel bagno del foyer, mi ha fatto uno strano scherzo e sono tornata indietro nel tempo, a quando, intorno ai tre/quattro anni, la nonna o il nonno mi prendeva in braccio e mi insegnava ad aprire il rubinetto (dell’acqua fredda dato che la calda, nelle case popolari, proveniva dal boiler elettrico, dal quale dipendeva solo la doccia), afferrare la saponetta senza farla sguisciare dalle mani e lavarmi le stesse con una discreta efficienza, soprattutto dopo le ore trascorse a giocare, sudare e sporcarmi di terra e polvere in cortile. Io, bambina del Giambellino, imparavo che quando rientravo a casa o mi sedevo a tavola dovevo adeguarmi a un minimo di igiene. Il resto degli italiani, invece, doveva aver vissuto l’intera esistenza non lavandosele mai, le mani, oppure senza mai sporcarsele…
Fase 2
Questo flashback mi ha portato a un’ulteriore considerazione. Ossia che Agamben aveva ragione anche quando scriveva, sempre nel 2020: “Se gli uomini acconsentono a limitare la loro libertà personale, ciò avviene, infatti, perché essi accettano senza sottoporli ad alcuna verifica i dati e le opinioni che i media forniscono. La pubblicità ci aveva abituato da tempo a dei discorsi che agivano tanto più efficacemente in quanto non pretendevano di essere veri. E da tempo anche il consenso politico si prestava senza una convinzione profonda, dando in qualche modo per scontato che nei discorsi elettorali la verità non fosse in questione”.
Ed eccomi di fronte alla televisione, dopo l’ennesimo spot contro le fake news, a sorbirmi la lezioncina di una nota azienda che un tempo produceva solo pasta e che adesso ha una Fondazione che vorrebbe insegnarmi a controllare le date di scadenza sui prodotti, a guardare nel frigorifero se il formaggio sta ammuffendo o la lattuga marcisce e a farmi dare, al ristorante, gli avanzi del pasto consumato solo a metà.
Chiunque sia andato negli Stati Uniti si sarà accorto che quel popolo – che appare geneticamente consumista e sovrappeso – ordina più di quanto mangi e, spesso, si fa dare i resti per sé (o per il pet). In Messico, per esperienza diretta, ricordo una coppia di statunitensi sulla sessantina: perfetti, di un biondo quasi albino e con la messa in piega da umidità zero, tirati come la plastica della Barbie, con abiti candidi come i loro denti che facevano risaltare un’abbronzatura più da lampada che da sole tropicale, i quali tutte le sere pregavano tenendosi per mano, prima di cenare, e poi andavano al bancone del self-service dell’all inclusive per riempirsi il piatto da portata fino a farlo quasi rigurgitare sul pavimento. Ecco questi due esemplari perfetti di wasp, lasciavano quasi tutto nel piatto, dopo aver sbocconcellato qua e là – senza nemmeno portarsi via le dieci fette di carne asada. I gatti corteggiavano la loro tavola con occhio languido. I camerieri, più famelici, prendevano a calci i gatti. E io mi chiedevo perché sprecare tutto quel ben di ‘dio’ se si era tanto religiosi da pregare tutte le sere in pubblico per almeno cinque minuti.
Ora, gli italiani, sempre per esperienza diretta, li vedo molto più tirchi o poveri o affamati. Difficilmente i piatti, nei ristoranti, tornano in cucina con avanzi e se si avanza, in generale, è perché non si gradisce – e qual che avanza se appena cotto è immangiabile, non migliorerà ore dopo a casa. Ma se lo dice la pubblicità ‘progresso’ della Fondazione, in tivù, sarà vero: dobbiamo educarci a lasciare qualcosa nel piatto per poter rispettare le nuove ‘regole’ del bon ton e andarcene, come i francesi con la mitica baguette, con la ‘Magic box’ sottobraccio! E arrivata a casa, che faccio? Consumo gli avanzi, mi compro un cane o lascio marcire la lattuga?
Anche in questo caso, diciamocelo, l’immaginario pubblicitario è molto filmico. Una specie di Bridget Jones può guardare nel suo frigorifero e trovarlo vuoto. Oppure può raccattare un pezzo di formaggio verde e con i vermi (che non è un ottimo gorgonzola) o rimanere allibita di fronte a un intero ripiano di bottiglie di vodka e niente da mettere sotto i denti. Ma l’italiano medio ama avere le scorte in frigorifero e nella dispensa (ricordate come fece man bassa persino di penne lisce in epoca pandemica?). E, siccome è sempre più povero, si guarderà bene dal lasciare che i limoni ammuffiscano impestando l’intero cassetto della frutta e della verdura, o che il riso e la pasta facciano le farfalline.
Fase 3
Ma tant’è. L’adulto italico, trasformato in bambino dal terrore della morte (che, in ogni caso, lo colpirà a qualunque santo si voti: medico, prete o rivolgendosi direttamente ai piani alti), e dopo aver derogato alla sua capacità di giudizio ed essersi affidato a un potere superiore che lo avrebbe salvato (sacrificandogli tutto in cambio, comprese le sue libertà), continua imperterrito a dover essere istruito come un bimbetto delle elementari.
Come diceva Totò: “Italiani, dormite pure, borghesi pantofolai, tanto qui c’è l’insonne che vi salva; mentre voi dormite, La Trippa lavora. Vota Antonio, vota Antonio!”
1) se voleste scaricarlo e appenderlo, il poster è tuttora disponibile:
2) L’invenzione di un’epidemia, 26 febbraio 2020, Giorgio Agamben su Quodlibet: https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-l-invenzione-di-un-epidemia
3) Sul vero e sul falso, 28 aprile 2020, Giorgio Agamben su Quodlibet: https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-sul-vero-e-sul-falso
venerdì, 30 giugno 2023
In copertina: Hanoi e le sue ‘regole’ d’igiene a tavola (foto di Simona Maria Frigerio, vietata la riproduzione)