Come cambia il mondo del lavoro in Spagna, ma non solo, rispetto al progresso tecnologico?
di Noemi Neri (traducción en castellano a pie de página)
Secondo un sondaggio condotto dalla società di consulenza spagnola PwC (PricewaterhouseCoopers Asesores de Negocio, S.L.), realizzato in 18 Stati e che ha coinvolto oltre 30 mila persone, il 40% dei partecipanti pensa che il proprio lavoro diventerà obsoleto nei prossimi cinque anni e sei su dieci sono preoccupati di essere sostituiti dalle macchine. Si tratta di ciò che viene chiamata ‘ansia tecnologica’, la paura di un futuro digitale dove non c’è spazio per le persone.
Molte imprese hanno già iniziato a digitalizzare i propri servizi, in palestra sono entrati gli insegnanti virtuali, alcune delle casse di negozi e supermercati sono automatiche e spesso l’attenzione al cliente è demandata a un’intelligenza artificiale. Un’automatizzazione che è già tangibile nella quotidianità e che lega il nostro futuro alla convivenza con le macchine. Una trasformazione che, se ben gestita, può essere al servizio della società. L’economista Lucía Velasco si è specializzata nell’impatto sociale della tecnologia e nel suo saggio ¿Te va a sostituir un algoritmo? (Ti sostituirà un algoritmo?), riporta come 85 milioni di posti di lavoro saranno sostituiti dall’intelligenza artificiale entro il 2025. Un cambiamento che, in Spagna, potrebbe riguardare una persona su due. Le previsioni sembrano essere catastrofiche, come tutti i grandi cambiamenti epocali, oggi però disponiamo dei mezzi per poter gestire questa fase di transizione in modo che ci sia un’equa distribuzione dei posti di lavoro, ma è importante agire subito e con consapevolezza.
Dopo la pandemia, l’importanza della digitalizzazione a livello geopolitico si è resa ancora più evidente, la Commissione Europea ha stilato un programma strategico con gli obiettivi digitali per il 2030 per regolare le piattaforme, le condizioni di lavoro, lo sviluppo di un’economia dei dati, connessioni più rapide, investimenti in tecnologia quantica e una cybersecurity all’altezza.
Sono in molti quelli che hanno sperimentato lo smart working, il telelavoro, il crowdworking: Lucía Velasco riporta che oltre il 20% della forza lavoro potrebbe lavorare a distanza dai tre ai cinque giorni a settimana con la stessa o maggiore produttività. Se da un lato il lavoro da remoto ha i suoi aspetti positivi in termini di flessibilità, gestione del tempo, riduzione dell’inquinamento, dall’altro può provocare isolamento, stress, sedentarietà, incapacità di riposare. Quest’ultime sono conseguenze dell’iperconnettività, il lavoro online infatti è ancora poco regolamentato. Chi lavora, per esempio, per una piattaforma offrendo i propri servizi, non ha una protezione sociale, il limite tra lavoro e vita privata è labile. Al momento questa nuova modalità lavorativa è ancora carente di una regolamentazione, dove i diritti del lavoro per i quali abbiamo tanto lottato rischiano di passare in secondo piano.
Velasco racconta nel saggio l’esperienza di un magazziniere: attraverso un braccialetto, i lavoratori venivano controllati da un algoritmo che ne supervisionava il lavoro rispetto ai tempi di realizzazione e altri parametri. L’uomo fu licenziato perché, dopo essersi fatto male durante una partita di calcio, si muoveva nel magazzino più lentamente. L’algoritmo gli ha inviato un sms e ha disattivato il pass di accesso, senza che nessuna persona abbia parlato con lui. Può essere un algoritmo il nostro capo? Chi decide ciò che un algoritmo deve pretendere da un umano? Si può negoziare con le macchine? Sono tutte domande aperte in mezzo al boom digitale che ha individualizzato molto la negoziazione lavorale. I sindacati stessi non sono pronti a far fronte alle casistiche che si possono palesare, questo perché è tutto ancora in via di sviluppo. La trasformazione del mercato del lavoro, però, è già in atto. Seguire le persone in tempo reale con sensori di movimento per controllarne le prestazioni, obbligarli a tenere una telecamera accesa, eccetera, ci converte in robot telecomandati.
L’università della California ha dimostrato che gli annunci di lavoro come ingegnere di software per Nvidia erano mostrati solo agli uomini e quelli di Netflix solo alle donne, ma l’utilizzo massivo e incontrollato delle nuove tecnologie non genera solo una discriminazione sessuale, polarizza il mercato del lavoro tra ricchi e poveri. Quasi un terzo della popolazione spagnola non ha competenze digitali di base: cosa succederà a tutte quelle persone che non potranno essere reinserite nel mercato del lavoro in mancanza di competenze digitali? Di fatto, è evidente che rischiamo di andare verso due estremi: da una parte, si troverà chi può ambire a un lavoro ben remunerato in quanto altamente qualificato e, dall’altro, chi è costretto a fare lavori mal pagati in mancanza di adeguate competenze. Uno scenario che non è del tutto nuovo, se non fosse per la mancanza di quell’ascensore sociale dove si colloca la classe media. Va delineandosi, dunque, un mercato secondario fuori dalle regole standard, nel quale la mancanza di normazione lascia proliferare i contratti che rispecchiano l’impulso verso il basso: precarietà, poca protezione sociale, mancanza di rappresentanza sindacale, eccetera.
L’esperta indipendente della Commissione Europea, Lucía Velasco, scrive quanto sia importante raccogliere i dati per studiare la trasformazione che ci sta investendo e focalizzarsi sui diritti digitali nel mercato del lavoro. Per far fronte a questo grande cambiamento propone una serie di azioni concrete al fine di sviluppare le politiche necessarie perché questa transizione possa migliorare le nostre vite. È possibile leggere qui la recensione al libro ¿Te va a sostituir un algoritmo? (Ti sostituirà un algoritmo?).
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Traduzione in castigliano
di Noemi Neri
El tejido social se desmorona a golpe de click
¿Cómo está cambiando el mundo laboral en España, pero no sólo allí, en relación con los avances tecnológicos?
Según una encuesta realizada por la consultora española PwC (PricewaterhouseCoopers Asesores de Negocio, S.L.), llevada a cabo en 18 estados y en la que han participado más de 30.000 personas, el 40% de los encuestados cree que su trabajo quedará obsoleto en los próximos cinco años y seis de cada diez están preocupados por ser sustituidos por máquinas. Es lo que se denomina ‘ansiedad tecnológica’, el miedo a un futuro digital en el que no haya sitio para las personas.
Muchas empresas ya han empezado a digitalizar sus servicios, los profesores virtuales han entrado en el gimnasio, algunas cajas de tiendas y supermercados están automatizadas y la atención al cliente se delega a menudo en la inteligencia artificial. Una automatización que ya es tangible en la vida cotidiana y que vincula nuestro futuro a la convivencia con las máquinas. Una transformación que, bien gestionada, puede estar al servicio de la sociedad. La economista Lucía Velasco está especializada en el impacto social de la tecnología y en su ensayo ¿Te va a sostituir un algoritmo? (denuncia cómo 85 millones de empleos serán sustituidos por la inteligencia artificial en 2025. Un cambio que, en España, podría afectar a una de cada dos personas. Las predicciones parecen catastróficas, como todos los grandes cambios de época, pero hoy tenemos los medios para gestionar esta fase de transición para que haya un reparto equitativo de los puestos de trabajo, pero es importante actuar ya y con conciencia.
Tras la pandemia, la importancia de la digitalización a nivel geopolítico se hizo aún más evidente, la Comisión Europea elaboró un programa estratégico con objetivos digitales para 2030 para regular las plataformas, las condiciones de trabajo, el desarrollo de una economía de datos, conexiones más rápidas, inversión en tecnología cuántica y ciberseguridad a la altura de las circunstancias.
Muchos han experimentado con el smartworking, el teletrabajo, el crowdworking: Lucía Velasco informa de que más del 20% de la población activa podría trabajar a distancia entre tres y cinco días a la semana con la misma o mayor productividad. Aunque el trabajo a distancia tiene sus aspectos positivos en términos de flexibilidad, gestión del tiempo, reducción de la contaminación, también puede provocar aislamiento, estrés, sedentarismo, incapacidad para descansar. Estas últimas son consecuencias de la hiperconectividad, ya que el trabajo en línea sigue estando poco regulado. Quien trabaja para una plataforma ofreciendo sus servicios, por ejemplo, no tiene protección social, la frontera entre trabajo y vida privada se difumina en un momento en el que la nueva forma de trabajar carece aún de regulación y en el que los derechos laborales por los que tanto hemos luchado corren el riesgo de pasar a un segundo plano.
Velasco relata en el ensayo la experiencia de un trabajador de almacén: mediante una pulsera, los trabajadores eran controlados por un algoritmo que supervisaba su trabajo en cuanto a tiempos de ejecución y otros parámetros. El hombre fue despedido porque, tras lesionarse durante un partido de fútbol, se movía más despacio en el almacén. El algoritmo le envió un mensaje de texto y desactivó su pase de acceso, sin que ninguna persona hubiera hablado con él. ¿Puede un algoritmo ser nuestro jefe? ¿Quién decide lo que un algoritmo debe exigir a un humano? ¿Podemos negociar con las máquinas? Todas estas son preguntas abiertas en medio del boom digital que ha individualizado en gran medida las negociaciones laborales. Los propios sindicatos no están preparados para afrontar los casos que puedan surgir, porque todo está aún en desarrollo. Sin embargo, la transformación del mercado laboral ya está en marcha. Seguir a las personas en tiempo real con sensores de movimiento para controlar su rendimiento, obligarlas a mantener una cámara encendida, etc. nos convierte en robots teledirigidos.
La Universidad de California mostró cómo las ofertas de trabajo como ingeniero de software para Nvidia se mostraban sólo a hombres y las de Netflix sólo a mujeres, pero el uso masivo e incontrolado de las nuevas tecnologías no sólo genera discriminación sexual, sino que polariza el mercado laboral entre ricos y pobres. Casi un tercio de la población española no tiene competencias digitales básicas, ¿qué pasa con todas esas personas que no pueden reinsertarse en el mercado laboral por falta de competencias digitales? De hecho, está claro que corremos el peligro de ir hacia dos extremos, donde por un lado están los que pueden aspirar a un trabajo bien remunerado por estar altamente cualificados y por otro los que se ven obligados a realizar trabajos mal remunerados por falta de competencias adecuadas. Un escenario que no es del todo nuevo, si no fuera por la falta de ese ascensor social en el que se sitúa la clase media. Lo que está surgiendo, pues, es un mercado secundario al margen de las reglas estándar, donde la falta de regulación permite que proliferen los contratos que reflejan el impulso a la baja: precariedad, escasa protección social, falta de representación sindical, etc.
La experta independiente de la Comisión Europea Lucía Velasco escribe lo importante que es recopilar datos para estudiar la transformación que nos está barriendo y centrarse en los derechos digitales en el mercado laboral. Para hacer frente a este gran cambio, propone una serie de acciones concretas para desarrollar las políticas necesarias para que esta transición mejore nuestras vidas, aquí puedes leer la reseña del libro ¿Te va a sustituir un algoritmo?.
venerdì, 7 aprile 2023
In copertina: Foto di 0fjd125gk87 da Pixabay (gratuita da usare sotto la licenza Pixabay)
2 thoughts on “Il tessuto sociale si sfalda a colpi di click”
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