Ennesimo regalo ai soliti ignoti
di Luciano Uggè (ex delegato Fiom)
Il mese di marzo, oltre alla primavera, ci ha regalato il primo passo verso la flat tax, ossia un’aliquota Irpef unica, uguale per tutti. Il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera alla Legge delega per la riforma del fisco che porterà nel 2024 alla riduzione da quattro a tre aliquote e, nel giro di cinque anni (secondo le previsioni governative), a una sola – valida, ovviamente, per le persone fisiche e per redditi da lavoro o pensione (escludendo, ovviamente, rendite finanziarie, immobiliari e non sa se ricomprenderà le Partite Iva).
Secondo Adn Kronos le due ipotesi al vaglio prevedono di: “lasciare invariata la prima aliquota al 23%, accorpare le due centrali (25% e 35%) in una unica al 27%, lasciando invariata l’ultima al 43%”; oppure: “alzare lo scaglione di reddito per l’aliquota al 23% fino a 28.000 euro, prevedere una seconda aliquota al 33% per redditi fino a 50.000 euro e lasciare invariata l’ultima, al 43% per redditi superiori”.
In entrambi i casi vi sarà una riduzione del gettito fiscale che dovrebbe essere compensata da tagli nelle detrazioni e nei bonus – dei quali dovrebbero beneficiare solamente coloro che “guadagnano di meno”.
E qui sorgono già i primi dubbi. Il bonus del 110% è stato un vero boomerang per l’economia italiana, con aumenti assurdi ma prevedibili dei costi delle materie prime e non si sa con quali benefici a livello di risparmio energetico – dato che solamente tra qualche anno, a controlli effettuati, si capirà quali edifici avessero realmente bisogno delle migliorie apportate, se le stesse siano state fatte a regola d’arte (ovvero secondo le normative imposte) e se le scelte sono state davvero motivate (pensiamo al proliferare dei cappotti che non permettono alle abitazioni di traspirare senza una ventilazione meccanica controllata e favoriscono le muffe se non si agisce anche a livello di grondaie, oppure a infissi nuovi cambiati solo per ottenere il passaggio di due categorie, eccetera).
Esistono però altri bonus, come quello al 75% per le barriere architettoniche, che non solamente vengono in aiuto di enti pubblici e aziende private per eliminare gli ostacoli alla mobilità e migliorare la qualità di vita dei cittadini disabili, ma soprattutto aiutano le famiglie a far fronte nel caso di un incidente o di una malattia degenerativa. Detto bonus è una detrazione Irpef, il che implica che l’avente diritto deve avere uno stipendio o una pensione e che lo stesso sia tale da permettergli di fruirne in cinque rate annuali, ma non solo: “l’agevolazione non può essere fruita contemporaneamente alla detrazione del 19% a titolo di spese sanitarie riguardanti i mezzi necessari al sollevamento di una persona con disabilità” (1) e ha un tetto massimo che, visti i costi degli adeguamenti strutturali, può essere ridicolo, ossia 50 mila euro per un’abitazione indipendente.
Quando i politici parlano genericamente di bonus, di conseguenza, dovremmo stare all’erta e se è vero che alcuni sono stati una regalia (chissà per quante ville e villette dei soliti ignoti…), altri non sono minimamente sufficienti a far fronte a spese che dovrebbero essere sostenute da un welfare degno di questo appellativo.
Passando alle detrazioni, anche qui dovremmo fare chiarezza. Detrarre, ad esempio, le spese mediche o altri servizi indispensabili alla persona (soprattutto con un sistema sanitario sempre più deficitario) è uno strumento minimo per venire incontro alle crescenti spese di singoli e famiglie in settori chiave, ma anche un incentivo alla fatturazione con ricadute positive nella lotta contro l’evasione fiscale. Se domani il privato cittadino, oltre a dover sborsare di tasca propria per una visita o un intervento chirurgico ambulatoriale o, ancora, per l’estrazione di un dente, si troverà di fronte alla scelta di non recuperare nulla dallo Stato – che lo costringe (a causa della sua inefficienza) a ricorrere al privato – e uno sconto dal professionista che, così, evade le tasse, cosa farà? Peggio ancora se, come abbiamo scritto, le detrazioni dovessero essere applicate solo ai redditi più bassi. Ossia a coloro che, proprio a causa dell’esiguità di risorse, non ricorreranno mai a un medico privatamente. Entrano nella categoria delle detrazioni, anche quelle per la ristrutturazione dell’abitazione (con ovvie ricadute sulla fatturazione degli artigiani), e persino le donazioni, ad esempio, a scuole e università (in un Paese in cui il mecenatismo non ha mai riscosso un grande successo, pensiamo che questa voce scomparirà del tutto dalle priorità dei cittadini), e le spese scolastiche (in un’Italia in cui le famiglie devono comprare la carta igienica per la classe frequentata dal figlio, sembra il ‘danno dopo la beffa’).
Da 32 scaglioni a 1 cosa significa?
Non sempre (anzi quasi mai) semplificazione è sinonimo di equità. In un mondo sempre più complesso appare persino ridicolo pensarlo. Ora, ridurre il numero delle aliquote Irpef – semplificando – significa inevitabilmente dare scacco matto alla classe media e medio-bassa in cinque mosse.
Prima mossa. Si cancella l’idea – socialista ma anche cristiano sociale e perfino democristiana – che sia etico che chi ha di più, in proporzione, restituisca di più alla comunità. Nonostante in questi anni la tassazione sia stata più che favorevole alle rendite – sia finanziarie sia immobiliari – ai profitti delle aziende e persino alle eredità, il capitale non si è mai arreso. Chi guadagna di più vuole versare, proporzionalmente, di meno. Facciamo un esempio. Se per tutti esistesse una aliquota al 10%, chi percepisce 1.000 euro contribuirebbe con 100 euro alla collettività e chi ne guadagna 10.000, con 1.000 euro. Ma questo cosa significa realmente, aldilà della demagogia di destra o di sinistra che ci ha portati alla vigilia della flat tax (3)? Chi deve vivere con 900 o 1.000 euro farà fatica persino a pagare l’affitto per un monolocale in una grande città italiana con tale cifra. Se chi si porta a casa 9.000 euro, se ne portasse a casa 8.000, non avrebbe alcun problema (né nel primo né nel secondo caso anche se volesse vivere in quattro locali più doppi servizi). Ma la differenza sta nel fatto che proprio perché il secondo non vive in una bolla di narcisismo anoressico, il suo restituire una percentuale maggiore del proprio guadagno garantirà al primo (oltre che a se stesso) servizi migliori (salute, istruzione, assistenza, mezzi di trasporto pubblico, eccetera). Il secondo, però, trasformatosi, in questa società del “Io resto a casa” (ognuno nella propria e che gli altri si impicchino!), in un essere ormai asociale non si rende nemmeno conto che se domani avesse lui stesso bisogno di un servizio per la collettività (o pubblico o diritto sociale che dir si voglia) particolarmente costoso – come un trapianto cardiaco – si ritroverà a elemosinare, esattamente come il primo farebbe per una cataratta.
Seconda mossa. Con il minor gettito è necessario ridurre il welfare (già ai minimi termini), soprattutto in periodi in cui aumenta l’inflazione e i fondi dello Stato devono far fronte ad altri obblighi – come quelli verso la Nato o verso la Bce o, ancora, verso il Patto di stabilità. I casi della Grecia e dell’Irlanda dovrebbero farci riflettere ma siamo certi che l’italiano medio, quello dell’Io speriamo che me la cavo, non se ne renderà conto finché il figlio non potrà frequentare l’università dato che gli costerebbe quanto mandarlo a Princeton o tornerà a ricorrere alla tenaglia se un dente è marcio.
Terza mossa. In un periodo di recessione, con l’aumento del costo dell’energia e, di conseguenza, dei prodotti e la chiusura di una serie di mercati, oltre alla deindustrializzazione che sta già investendo l’Europa grazie all’appeal che gli States offrono con l’Inflaction Reduction Act (2), la capacità di guadagno di ogni ceto, in Italia, diminuirà e non è difficile prevedere un aumento della disoccupazione. Eppure, a causa del taglio dei servizi alla comunità, non sarà possibile prevedere un aumento dei sussidi di disoccupazione – anche nel caso non fossero intesi a sostenere singoli e famiglie, ma almeno la domanda interna. La cosiddetta riforma del reddito di cittadinanza (ovvero l’obolo di povertà) va già in tale direzione.
Quarta mossa. A fronte di un impoverimento generalizzato e una redistribuzione della ricchezza (poca) rimasta verso l’alto, cosa faranno coloro che beneficeranno della minore tassazione sulle persone fisiche? Ciò che hanno fatto finora: investiranno non certo in beni di prima necessità o voluttuari bensì in finanza e immobili – già oggi settori minimamente tassati e che, grazie alle continue bolle speculative, sono in continua crescita nonostante gli scricchiolii.
Quinta mossa. Indebitati, magari anche disoccupati, con salari e pensioni che non recuperano nemmeno l’inflazione, non più sostenuti da un welfare che diventerà appannaggio solo dei poverissimi, saranno molti gli italiani che, azzerati i risparmi, perderanno la casa. E la Grecia, un Paese ormai parcellizzato in attività e ricchezze possedute da aziende private e pubbliche estere, potrebbe materializzarsi sotto i nostri occhi.
Ma non vi preoccupate, a ‘salvarvi’ da una tale deriva ci penserà la CGiL, quel sindacato che invita il Premier Meloni al suo Congresso non rendendosi nemmeno più conto che esiste una questione di ruoli. Anche se Noam Chomsky ed Edward S. Herman stavano descrivendo i mass-media statunitensi in La fabbrica del consenso, la stessa frase da loro utilizzata può applicarsi a un sindacato che un tempo era il simbolo della lotta non solamente dei lavoratori ma degli antifascisti. “I leader […] agiscono sostanzialmente nello stesso modo perché vedono il mondo attraverso le stesse lenti, risentono degli stessi vincoli e degli stessi incentivi, e quindi raccontano vicende o mantengono il silenzio in modo concorde, mettendo a punto una sorta di tacita azione collettiva e di comportamento gregario”. In parole povere – le uniche che ormai sembrano comprensibili in un mondo di false semplificazioni: ‘se non sai più da che parte del tavolo stai, è difficile che la tua trattativa non sia inficiata dal rapporto con il commensale col quale andrai a cena’.
(1) Come funziona il bonus, ossia la detrazione, per le barriere architettoniche: https://www.ticonsiglio.com/bonus-barriere-architettoniche/
(2) Qualche informazione in più sull’Inflaction Reduction Act, ennesimo ‘regalo’ statunitense all’economia europea: https://www.transportenvironment.org/discover/effetto-usa-a-rischio-due-terzi-della-produzione-ue-di-batterie/
(3) Consigliamo di leggere questa analisi che parte dagli anni 70, quando nacque l’idea delle aliquote progressive e cosa significava: https://delegati-lavoratori-indipendenti-pisa.blogspot.com/2023/03/come-penalizzare-i-ceti-medi-e-quelli.html?m=1
venerdì, 14 aprile 2023
In copertina: Foto di Peggy e Marco Lachmann-Anke da Pixabay (gratuita da usare sotto la licenza di Pixabay)