Le promesse dell’era Covid: false come monete da 3 euro
di Simona Maria Frigerio
“Andrà tutto bene”, “saremo tutti più buoni” (in italiano sarebbe ‘migliori’ ma la grammatica non è il forte né dei pubblicitari né dei politici), “la sanità pubblica è un diritto”, “investiremo in medicina territoriale”, “salviamo i nonni!”, “la priorità è la salute”, eccetera. Quanti slogan a effetto per rinchiuderci in casa più o meno per un paio d’anni, salvo farci andare a lavorare (ma solo se… vaccinati, adibiti ai mestieri ‘essenziali’, con lo smart working o fino a un certo orario serale, dentro i confini cittadini, regionali, nazionali, eccetera). Vessazioni e limiti in cambio della salvezza da un virus influenzale, per non intasare pronto soccorso e ospedali, in attesa di un messianico piano sanità – sostenuto da cospicui investimenti pubblici – per tornare alla normalità di un sistema efficiente (come non era da decenni).
Tre anni dopo i messaggi a reti unificate dell’allora Premier Conte, cosa resta delle promesse alle quali gli italiani hanno sacrificato – terrorizzati e creduloni – pezzi di vita, socialità e cultura, educazione e sport, il diritto all’autodeterminazione sul proprio corpo, la libertà di movimento e persino il lavoro?
L’universalità dell’assistenza sanitaria, in Italia, è sempre più utopistica. Le famose liste d’attesa paiono esse stesse un miraggio, sostituite dalla risposta standard: “L’agenda al momento è chiusa. Riprovi tra qualche mese”, salvo poi scoprire che, se si chiede un appuntamento intramoenia, ossia privatamente in una struttura pubblica, si è ricevuti il giorno dopo. Nel frattempo, la Legge di bilancio stanzia appena 2,150 miliardi per incrementare il fondo sanitario di cui 1,4 miliardi per fronteggiare i rincari energetici mentre, per gli interventi strutturali, sarebbero previsti meno di 800 milioni. Nessun finanziamento andrebbe alle assunzioni di personale, né per il Piano Oncologico Nazionale – nonostante gli ultimi dati diano la mortalità dovuta al cancro in aumento (14.000 casi in più in due anni). Colpa anche delle liste d’attesa per esami diagnostici, controlli e interventi?
Secondo varie fonti, il finanziamento alla sanità, calcolato in base al Pil, calerà addirittura al 6,1% nel 2025, sotto la soglia minima del 6,6% stabilita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. In Italia lo Stato spende 2.609 euro pro capite per la salute dei cittadini, a fronte dei 4.831 euro della Germania e dei 3.764 della Francia. Al contrario, i cittadini sborsano direttamente per le cure (nonostante le tasse per l’assistenza pubblica) addirittura 60 miliardi (1).
Il nuovo Governo a guida Meloni, in linea con il precedente, avrebbe però stanziato ben 650 milioni di euro per l’acquisto di vaccini e farmaci (quali?, ci domandiamo. Il paracetamolo? Secondo quali linee guida?) contro la Covid-19; mentre tra i punti del Programma di lavoro della onnipresente e onnipotente Commissione Europea per il 2023 vi sarebbe una unificazione a livello sanitario tra i vari sistemi statali con un “approccio onnicomprensivo alla malattia mentale” (sapendo come in altri Stati si continuino a usare metodi quali l’elettroshock non ci pare una buona notizia), nuove raccomandazioni contro il fumo e sollecitazioni a favore dei vaccini (guarda caso…) che prevengono alcune forme oncologiche.
Concentriamoci sui vaccini
Per la Covid-19, la procedura di acquisto dei vaccini a mRNA non è stata tra le più cristalline. Pare siano stati ordinati via smartphone da Von der Leyen, che si messaggiava con Albert Bourla, Ceo di Pfizer – senza tenere conto né delle procedure formali, né dei dovuti controlli contabili, né della libera concorrenza, né di un democratico dibattito parlamentare a livello europeo e dei vari Stati (che sono stati costretti a comprarli sostenendo la relativa spesa). Come scriveva qualche mese fa Alexander Fanta: “Per assicurare una nuova fornitura di vaccini, Von der Leyen utilizzò uno strumento della massima importanza, del più alto livello politico – il suo smartphone. Nelle sue chiamate e attraverso i suoi messaggi al Ceo di Pfizer, Albert Bourla, Von der Leyen riuscì a negoziare 1,8 miliardi di dosi addizionali (per una popolazione di 400 milioni di persone?, n.d.g.) e, attraverso la sua diplomazia personale, milioni di europei ebbero accesso al vaccino. Ma presto l’esecutivo dell’Unione Europea si è ritrovato sotto accusa per i termini dell’accordo. E la saga burocratica successiva ha appestato ogni tentativo – inclusi i miei – di avere accesso a tali messaggi, causando problemi di trasparenza e libertà d’informazione in Europa” (2). Nello stesso articolo, oltre alla denuncia che ogni dose sarebbe costata 4 euro in più di quelle precedentemente acquistate, Fanta fa notare: “Il gruppo Public Citizen – che ha controllato i contratti non censurati della Pfizer per diversi Paesi al di fuori dell’Europa – ha scritto che Pfizer ha utilizzato il suo potere di contrattazione, essendo una tra le poche aziende che producevano un vaccino per la Covid-19 efficace, per ‘trasferire i rischi e massimizzare i profitti’. E i contratti visionati dal gruppo mettono gli interessi di Pfizer consistentemente davanti agli imperativi della salute pubblica”(t.d.g.).
In questo contesto quasi monarchico di contrattazione tra ‘pari’ – che stentiamo a riconoscere in linea con i principi delle moderne democrazie – secondo gli ultimi regolamenti del programma dell’Unione Europea per la Salute (come da documenti ufficiali pubblicati in rete), la Ue si doterà a breve, oltre che di meccanismi per una sorveglianza integrata sulle minacce sanitarie, di “una procedura accelerata per gli acquisti comuni di materiale medico”. Se consideriamo i tre aspetti emersi dalle inchieste dei colleghi: vaccini, acquisti centralizzati e amicizia personale tra buyer e seller, otterremo un’efficace ottimizzazione del processo e una diminuzione della spesa? Sempre la presidente Von der Leyen, a dicembre, annunciava: “Dobbiamo stare attenti ed essere preparati” per la prossima crisi sanitaria, che potrebbe riguardare: la “resistenza agli antibiotici (come denunciato da Report quale concausa dell’alta mortalità registrata nei primi mesi del Covid Alpha, n.d.g.), patogeni ad alto potenziale pandemico ed emergenze chimiche, biologiche, radiologiche e nucleari” (del resto, con il brillante piano italiano, stilato recentemente, in caso di tragedia nucleare (3) e la frenesia per la guerra ‘santa’ contro la Russia non dormiamo già adesso sonni tranquilli). Combinazione vuole che la strategia per la salute globale della Ue sia stata annunciata da Von der Leyen in una sede non priva di implicazioni politiche, ossia durante il suo discorso di apertura al Grand Challenges Annual Meeting, organizzato dalla Bill & Melinda Gates Foundation – la fondazione che indirizza molti programmi dell’Oms, in quanto primo donatore, soprattutto in favore della vaccinazione di massa dell’Africa invece che di investimenti nella sanità pubblica, in programmi di igiene e per l’accesso all’acqua potabile.
Ma l’unica strategia e priorità paiono i vaccini. Pensiamo, ad esempio, alla vaccinazione di massa delle adolescenti contro il papilloma virus, ossia l’Hpv. Nei Paesi industrializzati, con un buon livello di igiene, il pap-test regolare, il fatto che soli pochi ceppi di Hpv siano cancerogeni e che tale forma oncologica progredisca molto lentamente, il carcinoma del collo dell’utero (provocato dall’Hpv) sembrava in costante diminuzione. Eppure, invece di puntare sui controlli preventivi (per i quali negli anni passati si spendevano fondi pubblici che hanno dato buoni frutti), in Occidente; e sul miglioramento delle condizioni di vita, in Africa; si dirottano i fondi per l’acquisto e le campagne pubblicitarie a favore di un vaccino (prodotto, ovviamente, dalla lobby di Big Pharma). Persino l’Airc avverte che il vaccino non copre da tutti i tipi di Hpv (nemmeno da tutti quelli, che sono solo una parte, potenzialmente cancerogeni) e che, in ogni caso, va fatto lo screening preventivo a cadenza regolare. Non solo. Essendo malattia sessualmente trasmissibile, non sarebbe meglio consigliare l’uso del preservativo che protegge anche dall’Hiv e da altre malattie virali? A questo punto ci si domanda se prevenzione, igiene ed educazione sessuale non sarebbero altrettante efficaci e più educative di un vaccino parzialmente efficace, che dà illusioni di immunità (4). Aldilà degli effetti avversi comuni o rari, minori o gravi, un vaccino imperfetto e che andrebbe reiterato più volte nel tempo sarebbe meglio di un esame, come il pap-test, ogni 3 anni – visto anche il costo esiguo per la collettività e l’opportunità, facendolo, di controllare ginecologicamente le donne durante le visite anche per identificare altre patologie?
Nel frattempo l’Africa, il cui sistema sanitario è eccessivamente ancorato alle politiche dell’Oms, dirette da investitori privati e/o occidentali, sta finalmente pensando di creare – secondo Seth Berkley, Ceo di Gavi / The vaccine alliance (5) – un’alleanza tra Stati per la produzione in proprio di vaccini (quella che nemmeno l’Unione Europea è riuscita a far decollare), il che permetterebbe al continente di smarcarsi dai piani neo-colonialisti del buonismo di facciata europeo, come il Covax, che è stato un totale fallimento e l’ennesima prova che l’Africa non deve più contare né aver bisogno dell’Occidente per le sue politiche sanitarie. Basti ricordare che gli stessi politici che, da una parte, promettevano donazioni, dall’altra, si accaparravano ogni dose disponibile di vaccino per un numero infinito di richiami. E tutto ciò nonostante per mesi la politica e i televirologi abbiano spergiurato che sarebbe bastato un inoculo (o al massimo due) per renderci immuni dalla Sars-CoV-2 (e non solo meglio preparati a superare la malattia, ossia la Covid-19) e chi faceva presente che i coronavirus mutano troppo velocemente era tacciato di terrapiattismo. In tutto questo bailamme di disinformazione, Von der Leyen (come abbiamo visto) si assicurava 1,8 miliardi di dosi della Pfizer a prezzo maggiorato, ci risulterebbe senza passare dal Parlamento europeo – i cui membri sarebbero gli unici eletti come nostri rappresentanti.
Riavvolgiamo il nastro della memoria
La situazione della sanità italiana è tale perché, Governo dopo Governo, si è tagliato in spesa sanitaria in favore di altri settori – in primis, negli ultimi tempi, quello degli armamenti (in precedenza per il pareggio di bilancio che abbiamo preteso in Costituzione ma non possiamo disattendere come l’Articolo 11). Come scriveva Simone Fontana il 12 marzo 2020 su Wired (6), a inizio pandemia (quando la priorità sembrava essere proprio un aumento dei posti letto negli ospedali, delle terapie intensive e l’assunzione di medici e infermieri): “Nel 2018 l’Italia ha speso per il sistema sanitario nazionale l’’8,8% del Pil, una percentuale che scende al 6,5% considerando solo gli investimenti pubblici. Facciamo peggio di Stati Uniti (14,3%), Germania (9,5%), Francia (9,3%) e Regno Unito (7,5%), ma sostanzialmente in linea con la media Ocse, ferma al 6,6%” (ma presto saremo al di sotto). Dal 2010, aggiungeva più oltre, con: “un tasso di crescita dello 0,90%”, la spesa per la sanità, a fronte di una inflazione “media annua all’1,07%” era già afflitta da un definanziamento reale di 37 miliardi. E oggi l’inflazione può dirsi ai massimi storici da alcuni decenni, mentre i succitati 2 miliardi di euro della finanziaria sono ai minimi. “La Fondazione Gimbe calcola che il grosso dei tagli sia avvenuto tra il 2010 e il 2015 (governi Berlusconi e Monti), con circa 25 miliardi di euro trattenuti dalle finanziarie del periodo, mentre i restanti 12 miliardi sono serviti per l’attuazione degli obiettivi di finanza pubblica tra il 2015 e il 2019 (governi Letta, Renzi, Gentiloni, Conte)”.
In pratica, che il governo sia tecnico, di sinistra o di destra, la ‘ricetta non cambia’. E nel prossimo futuro vedremo sempre più, come nei Paesi del cosiddetto terzo mondo, un sistema sanitario a doppio binario. Coloro che potranno permettersi (grazie a contratti aziendali o privatamente) un’assicurazione, avranno accesso alla sanità privata o all’intramoenia nel pubblico; per tutti gli altri – pensionati, working poor, lavoratori a tempo determinato, eccetera – si avrà un sempre maggiore accesso ai pronto soccorso via via più affollati e a lunghissime liste di attesa per esami e interventi. Mentre i medici generici, dopo tanti discorsi sull’importanza della medicina territoriale, saranno sempre più passacarte online.
(2) Alexander Fanta è un giornalista che opera a Bruxelles e si occupa di policy digitale europea per netzpolitik.org. Ha cercato, inutilmente, di prendere visione dei messaggi tra Von der Leyen e il Ceo di Pfizer: www.politico.eu/article/von-der-leyens-texts-are-not-a-private-matter-covid-vaccines-coronavirus/
(3) Il nuovo Piano nazionale per la gestione delle emergenze radiologiche e nucleari: https://www.inthenet.eu/2022/04/01/e-come-lintelligenza-la-follia-lo-sai-non-si-puo-spiegarla/
(4) Si vedano un articolo di qualche anno fa: https://www.robertogava.it/sos-genitori-papilloma e quello del 2020 dell’Airc: https://www.airc.it/cancro/informazioni-tumori/corretta-informazione/serve-davvero-vaccino-lhpv
(5) Anche nel board di Gavi / The vaccine alliance siede, in ogni, caso la Bill & Melinda Gates Foundation
(6) L’articolo originale completo: https://www.wired.it/attualita/politica/2020/03/12/tagli-sanita-italia-storia/
venerdì, 10 marzo 2023
In copertina: Foto di Steve Buissinne (gratuita da usare sotto la licenza Pixabay)