Joe Biden paladino della democrazia?
Testo di Luciano Uggè (traduzioni di Simona Maria Frigerio)
Mentre i mass media si sono ormai adeguati al pensiero unico, vi è un caso – quello di Julian Assange – che continua a porci seri interrogativi sulla cosiddetta libertà di stampa, di parola, di opinione e di critica che l’Occidente dovrebbe garantire.
Nel mese di dicembre si sono mobilitati in molti – associazioni, privati cittadini e testate giornalistiche – per far cambiare idea al Presidente Joe Biden che, ricordiamo, ha definito Assange un “high-tech terrorist”. Questo per azzerare qualsiasi dubbio sulla posizione ufficiale della Casa Bianca.
Finalmente a rispondere a Biden, ci hanno pensato gli editori di The New York Times, The Guardian, Le Monde, Der Spiegel ed El País – non ci risultano, al contrario, testate italiane, sebbene Repubblica ed Espresso avessero a suo tempo usufruito delle rivelazioni di WikiLeaks. La lettera aperta che hanno sottoscritto si intitola Publishing is not a crime – e, a nostro parere, non dovrebbe essere un crimine non solo pubblicare notizie, ma anche denunciare, sebbene solo privati cittadini, storture e crimini dell’apparato politico, economico o militare.
La ragione della richiesta che Washington lasci cadere le accuse contro Assange è principalmente una: l’azione penale (prosecution, ma si potrebbe parlare anche di persecution) contro il cofondatore di WikiLeaks mina la libertà di stampa – che, almeno apparentemente, dovrebbe essere garantita. Le succitate testate hanno anche fatto notare di avere pubblicato loro stesse parte dei 251 mila documenti confidenziali (il cosiddetto cablegate) del dipartimento di Stato statunitense, che Assange ottenne dal soldato statunitense Chelsea Manning. Documenti che (come recita la lettera aperta) hanno rivelato casi di “corruzione, scandali diplomatici e pratiche spionistiche su scala internazionale”. Secondo il NYT, i documenti raccontavano “la storia nuda e cruda di come il Governo prenda le proprie decisioni, decisioni che pesano sul Paese gravemente in termini di vite e di denaro”. Nella lettera si fa altresì notare che “ottenere e rendere pubbliche informazioni sensibili”, ossia segrete, “quando è necessario per l’interesse pubblico è parte fondamentale del lavoro quotidiano del giornalista. Se tale lavoro è criminalizzato, il dibattito pubblico e le nostre democrazie sono significativamente indebolite”.
Anche il Primo Ministro australiano Anthony Albanese si è fatto sentire nell’ultimo periodo, chiedendo personalmente al Presidente Biden di mettere fine all’azione penale contro Assange.
Sempre a dicembre è stata pubblicata la lettera aperta promossa dalla moglie e avvocata di Assange, Stella, da alcuni membri del Parlamento Europeo (da notare che, tra le firme, quelle italiane sono ridotte al lumicino), da privati cittadini, da tre associazioni di categoria (l’International Federation of Journalists, la European Federation of Journalists e la National Union of Journalists), oltre che da alcune organizzazioni per i diritti umani – inclusa Statewatch (1). Nella lettera aperta si chiede al Presidente Biden la grazia per Assange per “dimostrare i valori fondamentali statunitensi del diritto, della verità, della trasparenza, e della protezione di coloro che fanno sentire la propria voce contro le ingiustizie” (2). Chiedere la grazia, però, equivale ad ammettere che il co-fondatore di WikiLeaks sia colpevole di qualcosa.
Sempre nelle ultime settimane del 2022, si sono tenuti anche diversi presidi, come quello di New York City del 10 dicembre, per chiedere la liberazione di Julian Assange – senza se e senza ma.
Quello che viene da domandarsi, in questi anni bui, di adesione supina all’unica verità, è cosa potremmo sapere – sui vaccini come sulla guerra in Donbass – se Assange fosse libero e WikiLeaks in prima linea a rivelarci i retroscena di un mondo politico sempre più distante e auto-referente. Ma forse non cambierebbe nulla – basti pensare alle rivelazioni di Pfizer di non aver testato l’efficacia del cosiddetto vaccino nel bloccare la trasmissione del virus o di Merkel e Holland di non aver mai pensato di far applicare gli accordi di Minsk; o ancora, che esiste un sistema software che permette di modificare le riprese video delle telecamere che hackera e che è prodotto da un ex Premier israeliano.
Ormai più nulla sembra toccarci – e i peggiori sono quei disillusi che, non credendo più a niente, lasciano che l’establishment ci conduca remissivi al macello.
(1) per conoscere meglio Statewatch: https://www.statewatch.org/
(2) https://www.statewatch.org/media/3664/eu-us-assange-letter.pdf
venerdì, 20 gennaio 2023
In copertina: Foto di Caitlin Johnstone (gratuita da usare sotto la licenza Pixabay)