Qualche schiarita all’orizzonte?
di Luciano Uggè
L’anno si è chiuso con gli incontri trilaterali tra Russia, Siria e Turchia, ospitati a Mosca. Il 28 dicembre si sono finalmente seduti a un tavolo sia i ministri della difesa Sergei Shoigu, Ali Mahmoud Abbas e Hulusi Akar, sia i responsabili dell’intelligence dei tre Paesi, Sergey Naryshkin, Hakan Fidan e Rafiq Shahadah. Secondo la Tass, che riporta quanto scritto da Al-Watan, Ankara si sarebbe dichiarata d’accordo a ritirare le sue truppe dal nord della Siria e a riconoscere la sovranità dello Stato siriano e la sua integrità territoriale.
Se uno scenario di guerra potrebbe trovare pace (statunitensi permettendo), un altro fronte continua a restare aperto in Europa, oltre al Donbass. Nonostante la presenza dell’Osce in Kossovo, ormai dal lontano 1999, ufficialmente per risolvere la questione territoriale con la Serbia, dopo quasi un quarto di secolo il Presidente serbo Aleksandar Vučić a Prva TV avrebbe dichiarato: “Sfortunatamente, nell’attuale situazione geopolitica, possiamo contare solo su noi stessi. Nessuno può aiutarci”. Come sempre, la diatriba tra unità territoriale (rivendicata dalla Serbia) e diritto all’autodeterminazione (rivendicato dal Kossovo), dovrebbe trovare una risoluzione mediana. Se in Donbass si fossero applicati gli accordi di Minsk, oggi non vi sarebbe la guerra e quei territori avrebbero un’autonomia regionale all’interno di una Ucraina che, però, non avrebbe dovuto essere manovrata da forze nazionaliste, naziste e occidentali in funzione anti-russa. Se in Kossovo si risolvesse definitivamente il problema dell’enclave serba, o in Serbia quello di una larga autonomia del Kossovo, probabilmente la miccia si spegnerebbe. Interessante, per capire come si è arrivati all’oggi – sia in Kossovo sia in Donbass, l’inchiesta di Elisabetta Burba su Panorama (1) – in cui si fa notare anche la similitudine tra le fosse comuni di Račak (che portarono ai raid aerei Nato su Belgrado) e il massacro di piazza Maidan (che portò al golpe in Ucraina). Entrambi false flag operation – in cui, ovviamente, possiamo ravvedere la longa manus degli Stati Uniti.
La succitata Osce (ossia l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), in particolare, è ormai del tutto screditata, dopo che anche l’ex Presidente francese François Hollande ha confermato le dichiarazioni della Cancelliera tedesca, Angela Merkel, riguardo agli Accordi di Minsk, ai quali aderirono al solo scopo “di dare tempo a Kiev di preparare il proprio esercito”. Le sanzioni imposte, quindi, contro la Russia perché non avrebbe ottemperato ai succitati accordi – che erano per noi occidentali carta straccia o una foglia di fico – risultano ancora più odiose o, peggio, la prova che il nostro intento è distruggere la Russia con ogni mezzo: militare, economico e massmediatico (la russofobia è ormai una fede, come quella nel vaccino: inopponibile).
Sul fronte di guerra del Donbass, preoccupa anche il missile S-300, lanciato dal territorio ucraino e intercettato dalla difesa aerea bielorussa il 29 dicembre scorso, come dichiara il portavoce del Presidente Putin, Dmitry Peskov alla Tass. Frammenti del missile sarebbero caduti vicino al villaggio di Gorbakha – la notizia non ha suscitato, chissà come mai, la stessa eco dei missili presunti russi (e poi rivelatisi ucraini) sulla Polonia.
Nel frattempo, i presidenti Vladimir Putin e Xi Jinping si sono incontrati online. Sembra che la Cina continuerà a mantenere la sua posizione di equidistanza tra Russia e Occidente anche nel 2023, acquistando energia dalla Russia e tentando di vendere i proprio prodotti sui mercati occidentali – così da ricavare il massimo dalla congiuntura storica ed economica. E però Xi Jinping non pare rendersi conto che, per il nuovo assetto mondiale, il prossimo Paese nel mirino sarà proprio la Cina. Il grande reset passa attraverso il controllo della tecnologia. Se n’è accorta la Russia, ma Beijing stenta a comprendere: se la minaccia di una Taiwan non cinese è l’aspetto macroscopico di questa battaglia, quello microscopico ma con conseguenze a lungo termine è il 5G. Huawei e la Cina non possono e non devono arrivare là dove l’Occidente vuole un monopolio assoluto. La famosa rivoluzione digitale potrebbe essere più pesante di quella industriale, per le masse, se governata da pochi. Il multipolarismo, al contrario, potrebbe obbligare a dividere i profitti con la classe lavoratrice e a ridistribuirli in parte attraverso i servizi sociali. Ecco perché la Cina, come la Russia, vanno riportate nell’alveo del controllo tecnologico occidentale (2) e non possono essere dei competitor (come non può esserlo l’Europa).
Il Presidente cinese, però, non pare rendersene conto e conta su uno sviluppo ormai arcaicamente industriale. In questi due anni, la Cina ha calcolato male anche la risposta al Covid-19, prima con la politica del contagio 0 – in un mondo che, non riuscendo o non volendo fare altrettanto, ha trasformato una pandemia in endemia. E poi, lamentandosi che l’Occidente (ma in realtà solo l’Italia, il Giappone e gli States, quest’ultimo opportunamente dopo le vacanze natalizie) sbatte le porte in faccia ai turisti cinesi. Forse non ci rammentiamo che la Cina ha applicato quarantene e restrizioni agli occidentali per tre anni; e ha creato, altresì, con i suoi ripetuti lockdown, problemi alla supply chain oltre che alle economie di intere fasce di popolazione? Il potere cinese, non meglio di quello italiano, non si è nemmeno accorto che la malattia è cambiata, non ha investito appropriatamente nella sanità pubblica per far fronte a eventuali emergenze e non pare nemmeno essersi informato adeguatamente su come curare i pazienti: con la Omicron occorre intervenire precocemente con antinfiammatori, fluidificanti e la cara vecchia aspirina. Al contrario, fonti stampa cinesi affermerebbero che in molti si rivolgono al mercato nero per dubbi antivirali, mentre i pronto soccorso sarebbero presi d’assalto. Rispondiamo noi che ciò, forse, accade perché la popolazione non è sufficientemente informata e pensa ancora di trovarsi di fronte all’Alpha.
Terminiamo questo breve giro del mondo in Brasile, dove si riparte da Lula: in centinaia di migliaia, il 1° gennaio 2023, hanno festeggiato a Brasilia l’insediamento alla presidenza di Luiz Inácio Lula da Silva. Ci si attende che quanto affermato da Lula durante la campagna elettorale diventi realtà e, quindi, che il Brasile sarà in prima fila nel rafforzamento dei Brics e del Mercosur. Ma non solo, Il Ministro degli Esteri brasiliano, Mauro Vieira, ha annunciato che il presidente Lula gli ha chiesto di ristabilire le relazioni con il Venezuela e questa sarà una tra le prime missioni per creare un nuova nuova America Latina indipendente da Washington (3).
(1) Le lezioni del Kosovo per l’Ucraina, Panorama, 12 aprile 2022: https://www.panorama.it/news/dal-mondo/lezioni-kosovo-ucraina
(2) Shenzen si impegna a diventare un hub internazionale per i semiconduttori:
(3) Aggiornamento del 10 gennaio 2023: il golpe in Brasile sembra, al momento, essere stato abortito. Resta da capire se sia stato un tentativo reale di presa del potere o un messaggio indiretto al nuovo Presidente sui limiti che dovrà porsi nei confronti delle decisioni economiche e riguardo alla politica estera del Brasile.
venerdì, 6 gennaio 2023
In copertina: La bandiera brasiliana. Foto di JoeBamz da Pixabay (gratuita da usare sotto la licenza Pixabay)