Contempliamo la fine della libertà del mondo?
di Simona Maria Frigerio
“Il gabbiano Jonathan Livingston è stato il libro della mia giovinezza” avrebbe detto Luis Sepúlveda, come si può leggere in quarta di copertina. Ma non per tutti è stato così.
Sono inciampata in questo piccolo libro – del quale avevo sentire troppo parlare da ragazza – avanti con gli anni, grazie alla collana Vintage Gold della Rizzoli. In fondo un buon libro ha un suo valore anche mezzo secolo dopo essere stato scritto. Andiamo a teatro e assistiamo a tragedie di epoca elisabettiana. Ci lamentiamo per la mancanza di cineteche, dove immergerci in pellicole (in celluloide) dell’epoca del muto. Seguiamo il serial che ci ha appassionati anche anni dopo che si è concluso e perfino se si sono già viste tutte le puntate. Quindi, perché disdegnare un libro pubblicato nel 1970?
E così, amando io anche la cosiddetta letteratura per ragazzi, ho deciso di acquistarlo e, da subito, mi sono accorta che Il gabbiano Jonathan Livingston è trasversale alle generazioni in ogni senso. Non solamente in quanto adatto anche agli adulti ma soprattutto perché non confinabile nei moti e nei miti degli anni Settanta.
C’è un’infinità di buone ragioni per leggere questo libro che, alla fine, lascia un’inaspettata voglia di libertà e l’illusione di poterla conquistare.
Innanzi tutto Richard Bach (che nulla ha a che fare con i fiori e la new age…) è stato un pilota dell’aeronautica militare statunitense e ha anche volato sugli idrovolanti e, come tale, quando descrive lo stormo di gabbiani, le tecniche e le problematiche del volo – come l’andare in stallo – e la visione dall’alto, la sua precisione e la vividezza delle immagini e semplicità delle spiegazioni permettono subito al lettore di sentirsi egli stesso un gabbiano alle prese con planate, gran volte ed esperimenti a testa in giù. Le foto (dell’autore) sono anch’esse un valido supporto iconografico per tuffarsi nel mondo dell’aria. E fin dalla prima pagina ci si sente più leggeri.
Un altro elemento che colpisce è che, aldilà del protagonista (più anti-eroe che eroe all’americana), ciò che conta è l’elemento stormo, ossia il valore di fare squadra. Vi sono anche altri valori nelle pieghe del libro che scivola veloce e leggero – mai pedante o pedagogico. E questo è un altro segreto. Il valore di apprendere e quello di insegnare: di condividere ciò che si è sperimentato sulla propria pelle (o con le proprie penne). Ma anche il valore di mettere in dubbio ciò che dicono i maestri e di cercarne di nuovi, di lasciarsi alle spalle certezze e tradizioni per correre dei rischi e tornare a sentirsi vivi sperimentando. E d’un tratto ritrovarsi.
L’ultimo capitolo, aggiunto nel 2013 (ma scritto molti anni prima), pare oggi quasi profetico. Non vi racconteremo il finale che, in certo senso, rimette in discussione le tre parti pubblicate nel 1970 e che, probabilmente, sono ciò che ha letto la maggior parte delle persone. Ma vi riportiamo le note finali di Bach, quando ricorda come Sabryna abbia ritrovato lo scritto e glielo abbia mostrato: “«Io sapevo quello che facevo!», ha detto. «Nel vostro ventunesimo secolo la libertà, accerchiata dall’autorità e dai riti, non può che finire soffocata. Non vedi? È un tempo che pensa solo a rendere il mondo sicuro, non libero» … Ho ripensato alla sua voce, all’ultimo capitolo. Siamo gabbiani che contemplano la fine della libertà del mondo? La Quarta Parte, finalmente stampata dove deve stare, dice che forse no. È stata scritta quando nessuno conosceva il futuro. Ora lo conosciamo”.
venerdì, 24 febbraio 2023
In copertina: Particolare della copertina di una precedente edizione Rizzoli