Quando l’universo era il nostro cortile
di Simona Maria Frigerio
Per anni ho visto le mie amiche d’infanzia trasformarsi in madri ossessivo-compulsive sempre in cerca di perfezione, di medagliette da appuntarsi sul petto quali madri dell’anno: le migliori amiche di figli che opprimevano controllandone ogni istante. Le onnipresenti che non riuscivano a fare un discorso sensato perché dovevano continuamente seguire ogni mossa del figlio. Le sante che rinunciavano al lavoro per fare da soffocanti baby-sitter a bambini che non potevano giocare da soli, cadere e sbucciarsi un ginocchio, picchiarsi di santa ragione per poi diventare i migliori amici, arrendersi al calcolo che non riesce senza che qualcuno gli desse l’aiutino da quiz, fare uno schifo di tesina ma da soli e beccarsi infine un bel 4 secco perché si è giocato fino a tardi in cortile e non ci si è proprio ricordati del 5 Maggio…
Per anni mi sono sentita sola, rimproverata da quelle stesse amiche che, quasi avessero subito un lavaggio del cervello, parevano provenire direttamente dal mondo televisivo: terrorizzate da Law & Order, ridicole Desperate Housewives che pretendevano di essere meglio delle loro madri ma passavano la vita a scarrozzare mocciosi non ancora social-dipendenti da scuola a piano, da piano a danza, da danza a inglese e da inglese a flauto traverso, per poi squittire come tope di fronte all’ape con le altre mamme: giusta ricompensa di una dura giornata di ‘lavoro’! Quelle mamme del Duemila che non si riconoscevano nelle proprie, degli anni 60 o 70, che avevano rivendicato un posto di lavoro ma fuori casa, la parità dei diritti – e del piacere, l’autodeterminazione sul proprio corpo; e adesso si vedevano sorpassate – ma a destra. Il lento riflusso borghese aveva riportato le mie amiche sulle orme delle nonne, più benestanti ma meno ricche (di idee, di sogni, di slanci).
Poi, un giorno, distrattamente, mi capitano le parole di Paulo Coelho, che ricorda la sua (la nostra infanzia) negli anni 50, 60, 70:
“Ci tagliavamo, ci rompevamo un osso, perdevamo un dente, e nessuno faceva una denuncia per questi incidenti. La colpa non era di nessuno, se non di noi stessi.
…
Alcuni studenti non erano brillanti come altri e quando perdevano un anno lo ripetevano. Nessuno andava dallo psicologo, dallo psicopedagogo, nessuno soffriva di dislessia né di problemi di attenzione né d’iperattività; semplicemente prendeva qualche scapaccione e ripeteva l’anno.
…
Avevamo libertà, fallimenti, successi, responsabilità… e imparavamo a gestirli.
…
La grande domanda allora è questa:
Come abbiamo fatto a sopravvivere?
E a crescere e diventare grandi?”
E d’un tratto mi torna in mente il cortile, dove non potevi manco usare il gessetto per disegnare il Mondo sul marciapiede – come nei film – perché ti tiravano uno scapaccione per aver imbrattato quella lingua di cemento tutta crepata dall’erba. E allora usavi i tacchi delle scarpe per disegnarlo sul brecciolino che orlava le aiuole e sapevi già che ti saresti pigliata un altro scapaccione perché consumavi le scarpe e le sporcavi di polvere, ma intanto giocavi. E a volte qualcuna recuperava un elastico abbastanza lungo da sfidarsi a saltarlo, su su fino alla testa. Ma altre volte te lo requisivano per tagliarlo a pezzi e usarlo nelle mutande e allora ti dovevi accontentare di meno. Bastava un muro contro il quale appoggiare il braccio e cominciare a contare: Nascondino, o Uno due tre stella! erano sempre a portata di mano. E bastava un gradino per Rialzo.
Poi persino le mamme ossessivo-compulsive si sono estinte. Non è più di moda portare i figli a pascolare nei giardini pubblici – anche se i giochi sono belli e si cade su tappeti elastici e non sulla ghiaia – o a lezione di qualcosa che fa figo. I soldi scarseggiano e il computer ha soppiantato l’altalena, i giochi di ruolo la fantasia, i social la scazzottata propedeutica col compagno di banco e infine il lockdown ha affossato l’idea che due corpi, della stessa età, su un prato sono meglio di uno solo, su un letto asfittico con la perenne ossessivo-compulsiva che vorrebbe controllarti anche da dietro una porta chiusa.
La libertà di cadere è diventata un’utopia.
venerdì, 1° marzo 2024
In copertina: Foto di Sasin Tipchai da Pixabay (solo per uso editoriale).