Pillole di coronavirus
di Simona Maria Frigerio
Nel Novecento si sono succedute due Guerre mondiali. Sebbene dopo la prima si sia giurato e spergiurato che mai più l’Europa sarebbe stata coinvolta in un conflitto, nel breve arco di circa trent’anni ci si è ritrovati in prima linea. Dopo il 1945, la Guerra Fredda ha dato un po’ di respiro al continente ma con la caduta del Muro di Berlino, l’Occidente ha pensato di poter ridisegnare nuovamente i confini degli Stati e di poter decidere i governanti degli stessi a proprio piacimento.
Ogni volta un Paese si è trasformato da amico/alleato a nemico/canaglia con abile disinvoltura e la complicità di una parte dei mezzi di informazione, spesso più abili nella propaganda che non nella critica e nella presa di distanza dalle dichiarazioni del potentato di turno coinvolto.
Ogni volta ci si è svegliati con la sensazione di ritrovarsi di fronte al baratro, che fosse il 28 luglio 1914 o il 1° settembre 1939; il 1° novembre 1955 – con il conflitto statunitense in Vietnam; il 2 agosto 1990 – data della prima Guerra del Golfo; il 5 aprile 1992 – l’inizio dell’assedio di Sarajevo; l’11 settembre 2001 – l’attacco alle Torri Gemelle; o il 7 ottobre dello stesso anno – con l’inizio dell’attacco contro l’Afghanistan e della famosa operazione militare statunitense intitolata cinicamente Enduring Freedom.
Pian piano però ci siamo abituati: i territori devastati dalle guerre si sono allontanati nello spazio ma, soprattutto, dalla nostra percezione della realtà, dalla nostra coscienza civile, mentre le vittime si trasformavano in danni collaterali.
A livello sanitario è accaduto più o meno lo stesso fenomeno. Dopo i fermenti libertari degli anni Sessanta e Settanta, che portarono alla rivoluzione sessuale, arrivò – tra la fine del 1980 e il 1981 – l’Hiv/Aids. All’inizio, definito ‘cancro dei gay’. Ci vorrà oltre un anno – e la morte di un bambino emofiliaco a seguito di una trasfusione infetta, oltre al primo caso di trasmissione materno-fetale – per capire di trovarsi di fronte a una sindrome che può interessare chiunque. Non quindi la “peste degli omosessuali” – come ancora oggi la definiscono frange di destra e religiose – bensì l’Hiv, Sindrome da Immunodeficienza Acquisita, nome coniato nel 1986 e dietro al quale si cela un contagio virale per via ematica, sessuale o materno-fetale.
Hollywood rispose e per alcuni anni gli attori sfoderano un preservativo prima di fare sesso; e si investì in pubblicità per divulgare l’uso di misure precauzionali per i comportamenti a rischio (scambio di siringhe fra tossicodipendenti, rapporti sessuali non protetti). C’è chi continua a sostenere che la castità sia l’unico mezzo per salvarsi ma, nell’attesa vana di un vaccino, l’industria farmaceutica sfornò medicine che cronicizzarono, nei Paesi ricchi del Nord del mondo, l’Hiv.
Così, pian piano, le barriere sono cadute e ci si è abituati alla nuova pandemia. La Giornata Mondiale contro l’Aids si è trasformata in un nastrino rosso sull’angolo dello schermo televisivo il 1° dicembre. In Europa o negli Stati Uniti quanti sanno che, nel 2018, oltre 750 mila persone al mondo morivano di questo virus ormai declassato?
Ma i millenaristi che non credono nell’egoismo umano, non smettono di predire sciagure dalle quali non riusciremo a guarire. Se l’egoismo può essere deprecabile quando ci porta a reiterare azioni di guerra o a dimenticare che esiste una ragazzina, nell’Africa Sub-sahariana, contagiata a 16 anni poiché ignara dell’esistenza dell’Hiv così come del preservativo; lo stesso egoismo può essere una forma di autoconservazione formidabile quando ci permette di continuare a sperare.
In tempi di coronavirus, i millenaristi tuonano che mai più nulla sarà come prima. E godono a delineare scenari di vite rinchiuse tra mura, scuole claustrofobiche online, schiavi del telelavoro (smart working, però, fa più cool), davanti a programmi di una tivu demenziale e impanicante, incapaci di reagire e di valutare con senso critico quanto accade, o di ribellarsi all’idea del Mes, e disposti a rinunziare alla socialità – che è parte intrinseca del nostro essere umani – così come alla cultura, al teatro, alla possibilità di ritrovarsi e dialogare, viaggiare, conoscere.
Ai millenaristi però rispondono i cinesi. Quelli che sul ponte che attraversa lo Yangtze, al confine tra le provincie di Hubei e Jianxi, hanno attaccato gli agenti di polizia che volevano impedirgli gli spostamenti dopo la fine della quarantena. Con buona pace di chi pensa che i cinesi siano un popolo intruppato senza capacità di lottare per le proprie libertà civili e di quei millenaristi che ci vorrebbero chiusi in casa sine die.
E mentre nell’Hubei si lotta per riprendersi la propria libertà, in Italia un padre è multato per aver portato con sé il figlio in bici (restituendo magari in parte il bonus da 600 Euro) e un uomo per aver comprato tre bottiglie di vino e un pacco di pasta (generi considerati non indispensabili da forze dell’ordine a dir poco eccessivamente zelanti, simili in questo ad alcune catene di supermercati come Esseunga). Peccato per i sindaci in vena di isterismi, ma i bambini non muoiono di coronavirus e raramente si ammalano (e per di più, non in maniera grave). Mentre ricordiamo che nessuno dovrebbe arrogarsi il diritto di dire cosa è indispensabile e cosa non lo è per un altro essere umano – almeno in uno Stato di diritto.
29 marzo 2020
.
In copertina: Foto di Alexandra Koch da Pixabay.