
Come azzerare il pensiero femminista
di Simona Maria Frigerio
Nella serie di interviste televisive, Storie maledette (titolo ingannevole visto che non si tratta di “cose che sembrano recare in sé danni, sciagure, dolori, e trasmetterli ad altri” ma semplicemente di esperienze di vita che non recano, ad esempio, il marchio del genocidio dei palestinesi e, quindi, certi aggettivi andrebbero usati con cautela e non per attrarre audience), la conduttrice Franca Leosini ha intervistato, tempo fa, Alessandro Bernaroli in una puntata intitolata Non rinuncio ad essere la moglie di mia moglie.
La vicenda è quella di una signora transessuale che, dopo aver fatto – consapevolmente, da adulta, e con il supporto della moglie – la transizione di genere da uomo a donna (modificando persino la voce con un intervento alle corde vocali) vuole che il suo matrimonio resti valido a tutti gli effetti, dato che lei non sarebbe cambiata in nulla e sarebbe la stessa persona di quando era maschio.
Ora, al di là del disagio psicologico che deve averla portata a un tale passo per far corrispondere il suo fisico a ciò che sentiva di essere, ovvero oltre alla oggettiva difficoltà e stress psico-fisico di affrontare cure ormonali, interventi chirurgici e di non riconoscere nemmeno più la propria voce, se tutto ciò non fosse corrisposto a una profonda esigenza di cambiamento, perché farlo? Se si è la medesima persona, maschio o femmina, perché scegliere di subire tali modificazioni drastiche del proprio aspetto esteriore ma anche bombardamenti ormonali che, come minimo, destabilizzano in parte e per qualche tempo l’equilibrio (come può testimoniare qualsiasi adolescente o donna in pre-menopausa)?
Nessuno vuole giudicare tale scelta, ponderata e rispettabile, ma qualcosa nella narrazione (non del caso personale ma in generale) non quadra.
In primis, se non vi fosse anche una componente legata all’attrazione fisica, saremmo tutti bisessuali. E così non è. Ci sono persone che sono attratte dall’altro sesso, persone attratte dal proprio sesso, e persone ambivalenti. Ci sono persone, infine, attratte dal proprio sesso ma solo se esteticamente ha le sembianze di un’immagine (spesso stereotipata) dell’altro (ossia hanno relazioni con transessuali). L’attrazione verso l’altro sesso ha anche ragioni biologiche e antropologiche da non sottovalutare dato che la procreazione è – senza entrare in discorsi religiosi qui fuori luogo e nei quali non siamo edotti, visto anche il numero dei credi – legata alla sopravvivenza della specie. E l’essere umano, da questo punto di vista, non è diverso da qualsiasi altro animale. Come scrivono Adriana Cavarero e Olivia Guaraldo, autrici di Donna si nasce, la differenza sessuale è un fatto, “non si tratta di superarla o cancellarla” e, se così non fosse, per quanto si possa essere banali, partorirebbero anche gli uomini e sui 100 metri, a parità di età, forma fisica e allenamento, vincerebbero le donne.
Inoltre, proprio la differenza di genere ha portato il pensiero femminista a connotare tale differenza come valore, avvicinandosi a movimenti e filosofi che hanno, a loro volta, rivendicato positivamente le differenze – culturali, linguistiche, etniche, storiche, filosofiche, eccetera. Solo da queste basi è stato possibile denunciare la dominazione maschile come fatto socio-culturale e storico. E ancora, è stata Luce Irigaray a denunciare come si sia tentato di occultare il senso dell’esperienza femminile dietro l’apparente evidenza di categorie neutre e impersonali (che, oggi, potremmo definire fluide). Mentre molte filosofe femministe hanno sostenuto nei decenni scorsi “una specificità radicale delle donne per quanto riguarda il loro meccanismo intellettuale”, propugnando un sapere al femminile che rompesse i meccanismi linguistici, epistemologici e delle forme di trasmissione: una rivoluzione che, partendo da un fattore biologico, si trasformasse in un arricchimento dicotomico (ma non dualistico) e paritario della società.
E qui torniamo alla domanda iniziale: se non esistesse tale differenza, perché sottoporsi a interventi chirurgici e cure ormonali che potranno farti sembrare più simile al genere a cui senti di appartenere, ma comunque non consentiranno a una persona nata donna di produrre spermatozoi e a una persona nata uomo di concepire e partorire? Ma allontanandoci dalla biologia, se non vi fosse nessuna differenza perché le femministe si affannerebbero da decenni a dire che personaggi come Margaret Thatcher (la lady di ferro che, insieme a Reagan, ci ha regalato il mondo unipolare e liberista, bellicista e neocolonialista in cui viviamo) o come altre donne – in elmetto, dispotiche e pronte a gettare alle ortiche il poco welfare che resta agli europei in nome di fantomatici regime change – quali von der Leyen o Kaja Kallas, non rappresentano il pensiero della differenza (che dovrebbe essere in sé rivoluzionario, in quanto basato sul rispetto, la cura e l’accoglienza), ma sono solo arrivate nelle loro posizioni di potere grazie al fatto di essersi adeguate al pensiero prevaricatore maschile, a una visione del mondo dualistica: con predatori e prede, vincitori e vinti, centro e periferie (come direbbe Samir Amin)?
Ecco, questa è la vera domanda. Se non esiste differenza, non esiste nemmeno una epistemologia in grado di reinterpretare il mondo e, a quel punto, il cambio di genere appare un percorso privo di senso. Ma, ancor più grave, questo è l’unico mondo possibile perché laddove non vi siano differenze non vi è nemmeno la possibilità di un’alternativa…
venerdì, 18 aprile 2025
In copertina: Immagine di Bianca Van Dijk da Pixabay