
Un aneddoto sulla libertà di parola
di Simona Maria Frigerio
Metti una sera a cena con alcuni parenti, i loro amici, in una trattoria: atmosfera conviviale e il brillantone del gruppo con la battuta sempre pronta.
Si chiacchiera del più e del meno tra un boccone di pane e lo schiocco di un grissino spezzato in attesa del primo: se non ricordo male quella pasta e fagioli, piatto povero della tradizione popolare, che a Milano da anni propongono al prezzo della nouvelle cuisine – o dell’ultima moda, tipo la pizza gourmet, magari cotta nel forno elettrico ma servita in un locale che ha investito nell’atmosfera (sic!).
Mentre si chiacchiera del più e del meno e, visti i tempi di attesa mi domando se i fagioli li avessero almeno messi in ammollo nel bicarbonato la sera prima, per essere gentile con gli amici della parentela mi complimento della bellezza della loro città, Mantova, e gli racconto di avervi festeggiato non so più quale ricorrenza, con mio marito, in un ristorantino del centro: locale delizioso, dove avevamo mangiato piatti tipici cucinati con cura.
Il mantovano, il goliardico del gruppo, fabbricchetta, barchetta, baffetti e pancetta, sulla cinquantina portati male, risponde ammiccante: «Sarai stata attenta a dove si è seduto tuo marito!». Resto sconcertata. Vuole avvertirmi, ormai fuori tempo massimo, sulla poca igiene del locale? O conosce l’aneddoto di un avventore cascato a terra? In fondo il locale era molto colorato ma semplice, con tavoli e sedie di legno: una gamba traballante o rotta poteva starci. Gli chiedo spiegazioni perché vorrei consigliarlo ad altri amici che progettano un giro a Mantova.
Il brillantone mi guarda con aria di superiorità, come se dovesse spiegarmi la teoria sul rallentamento dei neutroni: ma davvero non ho capito? Anche gli altri commensali, a parte la moglie, sembrano impreparati sull’argomento. Così lui, come Fermi di fronte ai suoi ragazzi di via Panisperna, scende al mio livello e, sempre ammiccando (l’avevo visto solo due volte di cui una era quella sera, e tutta quella confidenza, ammetto, mi infastidiva un po’), mi rivela l’arcano: «Ma non ti sei accorta che il padrone del locale è un frocio?».
La tavola ride. Una parte di gusto, avendo capito l’allusione (a dove avesse posato il culo mio marito, sic!) e compiacendosi non so se per la propria sagacia o per la cosiddetta battuta. L’altra parte a denti stretti per non rovinare l’atmosfera conviviale.
«Scusa, ma sei omofobo?», gli rispondo a bruciapelo. Diritto di parola e diritto di replica. Questo dovrebbe essere il modo in cui si dialoga tra persone adulte. Ma la tavola si raggela. Il goliardico cinquantenne di fronte a precisa domanda, non può ammettere di non essere così à la page come il locale nel quale si vende atmosfera. Forse si vergogna un po’ per essere stato messo a nudo di fronte a tutti. Il resto della tavolata è altrettanto gelida. In parte perché anche il loro pregiudizio è venuto allo scoperto (nessuno si dichiara mai omofobo, ma tutti si compiacciono quando i figli portano a casa una brava ragazza da presentare a mammà); in parte perché non sono stata alle regole del gioco: le goliardate vanno accettate con garbo, mai controbattere, mai sviscerare, mai entrare nel vero significato di significanti ormai vuoti: frocio, finocchio, checca… Occorre solo fare rumore, di fondo, adeguarsi a quella specie di radio – alla quale dobbiamo aggiungere anche le nostre parole superficiali, come aria che non si respira ma soffoca – che blatera tutto il tempo news senza alcuna importanza, ma buone per distrarci e non permetterci di pensare e parlarci come esseri umani, che i temi li affrontano, confrontandosi.
Mio marito mi guarda con la bandiera bianca stampata in faccia. Sembra che non riesca mai a dare tregua a nessuno. Eppure è questo che dobbiamo fare: lasciarli parlare, liberamente, affinché tirino fuori tutto il loro disgusto, il loro odio, il loro livore, la loro superficialità, la loro incapacità di comprendere chi è diverso dal proprio sé ritenuto giusto o vero a prescindere. Nel macrocosmo politico è l’errore che continua a fare quell’Occidente delle regole che si sente portatore di valori universali, salvo poi gettarli alle ortiche se non servono oltre alle lobby che li hanno generati. Così si è passati, ad esempio, dalla filosofia woke – con il corollario della cancel culture, del politically correct e degli scontri mediatici e politici sempre più divisivi a livello sociale – al suo completo ripudio da parte di quella stessa élite egemonica occidentale che l’aveva creata purtroppo, soprattutto, per usarla in maniera strumentale contro i propri oppositori. I quali potevano essere gli scettici sulla capacità immunizzante dei cosiddetti vaccini a mRNA (smentita di fronte al Parlamento Europeo dalla stessa Pfizer); oppure quelli che denunciavano come il #MeToo non tenesse conto che se il produttore ti chiede di venderti e tu, consapevolmente, lo fai, stai barando né più né meno di un atleta che usi una sostanza dopante in quanto non è in grado, con le sue sole forze, di conquistarsi la medaglia battendo i concorrenti (e i film sono infarciti di attori e attrici che, ci chiediamo, non si sa perché tentino di recitare…).
Una tavolata in trattoria, una piazza, un’aula universitaria, una vecchia sezione di partito, un social, un qualsiasi assembramento (quelli che speravano di scongiurare per sempre con la distanziazione pandemica) di persone che tentino di dialogare può comportare, ovviamente, l’espressione di opinioni che non condividiamo: ma è con il coraggio delle proprie idee che si ribatte, in uno Stato democratico.
Come ha spiegato anche Noam Chomsky la filosofia woke – nata per affermare il rispetto delle minoranze e delle scelte sessuali degli individui, l’eguaglianza di genere, l’attenzione per l’ambiente – ha finito per diventare l’ennesima costrizione (manipolatrice e dividente, che occulta il pensiero critico e rovina anche carriere accademiche), utile ai fini di alcune lobby economiche e politiche contro le istanze di una fetta della popolazione. La difesa dei diritti, ricorda Chomsky, deve rientrare in un pensiero politico coerente di sinistra. E potremmo citare a esempio di settori che hanno usato il woking per i propri fini, il settore farmaceutico, quello militare, e il capitalismo finanziario che, attraverso il buyback, ha regalato miliardi agli azionisti e intorbidito il mercato facendo salire il valore delle azioni di aziende in perdita – che chiudono stabilimenti, tagliano la produzione, disinvestono in ricerca e sviluppo, licenziano i lavoratori, ma solo per il nostro bene: perché inquinano! Solo ripartendo da una sana critica marxista possiamo inquadrare la difesa di valori che, comunque, non possono essere esportati né considerati validi di per sé e universalmente.
Perché se anche a quella tavola il goliardico non avesse fatto la sua cosiddetta battuta (in quanto non era politically correct), ciò non avrebbe cambiato il suo modo di pensare, né quello di coloro che hanno riso di gusto perché stava esprimendo proprio ciò in cui anche loro credono.
venerdì, 11 aprile 2025
In copertina: Foto di Frank Zhang da Pixabay