
Quando il teatro è necessario
di Luciano Uggè (recensione) e Simona Maria Frigerio (ricerche documentali)
Sono trascorsi 34 anni da quel 10 aprile 1991 in cui a soli 6 km dal porto di Livorno ben 140 persone (tra passeggeri ed equipaggio) su 141 sono morte carbonizzate o asfissiate a causa della collisione tra il traghetto Moby Prince e la petroliera Agip Abruzzo.
Perché riparlarne ancora? Perché ri-titolare questo spettacolo 3.0? Perché siamo alla terza Commissione d’inchiesta parlamentare per fare chiarezza sull’ennesima ‘tragedia’ (così sono chiamate le stragi in-civili in questo Paese), che la giustizia italiana non riesce a chiarire.
Alcuni giornalisti l’hanno definita ‘l’Ustica del mare’. Forse non sono andati tanto lontani dalla verità in quanto, come per il caso dell’abbattimento del volo di linea IH870 della compagnia aerea Itavia, del 27 giugno 1980, anche qui pare di trovarci di fronte alle stesse manovre di copertura e depistaggio. Non c’era una guerra come nei cieli italiani, ma in quel porto, a Livorno, di armi ce n’erano e molte. Non dimentichiamo che da poco si era conclusa la prima Guerra del Golfo e che Livorno è vicinissima alla base statunitense di Camp Darby e forse per questa ragione vi era “la presenza di almeno 5 navi militarizzate USA quella sera…”(1).
Da applauso Lorenzo Satta e Alessio Zirulia impegnati in questo teatro civile che mischia personaggi di contorno (solo apparentemente) con protagonisti della vicenda e che tenta, in poco più di un’ora, di ricostruire non solamente quella interminabile notte in cui si lasciarono morire 140 persone, ma anche i processi che non arrivarono a nessuna conclusione giudiziaria né ad alcun colpevole, oltre alle risultanze delle prime due Commissioni d’inchiesta – perché, in Italia, dall’uranio impoverito (2) alla P2, quando si deve fare luce su verità scomode per l’esercito e i poteri forti transnazionali, solamente le Commissioni parlamentari riescono ad aprire qualche spiraglio nel muro di omertà e depistaggi.
Bravi Francesco Gerardi e Marta Pettinari a tentare l’impossibile impresa di sintetizzare l’ennesimo ‘pasticciaccio brutto’ (come fecero a suo tempo Gerardo Guccini e Alessandra Ghiglione, Gabriele Vacis e Marco Paolini per Vajont 9 ottobre ʻ63 – Orazione civile); e buona anche la regia di Federico Orsetti, che sa ritmare con padronanza del palcoscenico frammenti di racconto con fatti e dati, aneddoti e denunce, senza mai scadere né nel patetico né nel didascalico.
Allo spettacolo, quindi, solamente applausi, agli spettatori (pochi) e ai nostri lettori qualche informazione in più.
La storia al di qua del palcoscenico
Oltre alla nebbia (teoria ampiamente confutata); oltre alla disattenzione del capitano che, con gli ufficiali, si sarebbe goduto la partita invece di fare il proprio lavoro (accusa infamante smentita ufficialmente nelle indagini); oltre alla bettolina che forse caricava petrolio di contrabbando dall’Agip Abruzzo e che (come spiegato nello spettacolo) avrebbe potuto causare una manovra del Moby Prince per scansarla tale da portare alla collisione; oltre alla posizione della stessa Agip Abruzzo che si trovava in “zona di divieto di ancoraggio e proveniva da Genova e non dall’Egitto” (1) e, quindi, i colleghi di Articolo 21 giustamente chiedono: “perché si è mentito sulla posizione, accertata solo dopo l’inchiesta della commissione? Che cosa stava facendo là?”; forse c’è un altro filone ancora più inquietante che si è rivelato durante la Seconda Commissione d’Inchiesta. Ossia la presenza in rada, quella notte, della 21 Oktoobar II, “nave peschereccio di costruzione italiana, battente bandiera della Somalia, di proprietà della società armatrice Shifco di Mogadiscio” (1).
Come leggiamo dal documento ufficiale della Commissione parlamentare (3): “Non è la prima volta che la presenza del 21 Otkoobar II nel porto di Livorno incrocia la vicenda del Moby Prince. L’ultima volta accadde nella richiesta di archiviazione della Procura di Livorno del fascicolo 9726/06, dove è ipotizzato che: «il peschereccio, secondo le varie ricostruzioni più volte ricordate, potrebbe essere proprio la nave misteriosa che si è trovata improvvisamente sulla rotta del traghetto, costringendolo a una manovra di emergenza che lo ha portato a collidere con l’Agip Abruzzo… potrebbe quest’ultimo coincidere con il ‘peschereccio d’altura’ che, dalle dichiarazioni di Marco Pompilio, direttore di macchina della petroliera, è arrivato a sfiorare una collisione con l’Agip Abruzzo prima dell’incidente. Infine, il 21 Oktoobar II potrebbe essere il peschereccio bianco, mai identificato con precisione, che per poco ha evitato un altro incidente nei pressi della diga della Vegliaia con il rimorchiatore Tito Neri II, a bordo del quale si trovavano il titolare Tito Neri e Felice Manganiello quando già tutto il porto era avvolto dal fumo»”.
La Commissione ha accertato che “nell’aprile del 1991” il cosiddetto peschereccio d’altura (che si sospetta servisse in realtà per il traffico illegale d’armi dall’Italia alla Somalia) “si trovava a Livorno per lavori di riparazione a seguito di una presunta collisione avvenuta il 23 gennaio 1991 nella rada del Porto di Stone Town (Zanzibar)”. Risulta che la nave fosse in Italia sicuramente dal 29 marzo e, siccome era ormeggiata per riparazioni, avrebbe dovuto trovarsi a secco in officina, “eppure – la notte della strage – chiede di essere rifornita di carburante e si mette in navigazione. Tornerà al porto di Livorno il giorno dopo. (C’è una testimonianza che certifica gli avvenuti spostamenti)” (1).
Ma la nave madre dei sei pescherecci della Shifco, donati dalla cooperazione italiana alla Somalia durante la dittatura di Siad Barre, non è il frutto di una storia di cooperazione pacifica tra Stati sovrani, bensì – come cercava di dimostrare anche Ilaria Alpi con le sue inchieste giornalistiche – di traffici di armi e di rifiuti tossici, che avrebbero interessato oltre che il nostro Paese e la Somalia, anche la Slovenia e la Croazia e, secondo un pentito di ‘ndrangheta, perfino la mafia calabrese.
Cosa accadde quella notte di 34 anni fa? Perché si lasciarono morire 140 persone che, se si fosse voluto, si sarebbe potuto salvare, sentite anche le registrazioni di Livorno Radio del Canale 16; ma anche secondo “il racconto dettagliato del tenente della Capitaneria sulla presenza di due registrazioni audio delle chiamate avvenute via radio tra la Capitaneria di Porto, istituzione preposta al soccorso in mare – mai coordinato quella notte – e altri protagonisti della notte della strage. In queste registrazioni sarebbe stato impresso, a detta dell’allora ufficiale, anche il mayday lanciato dal Moby Prince, secondo la ricostruzione della prima inchiesta della Procura ‘non udito’ dalla Capitaneria e quindi, per questo, ‘scagionata’ dall’aver omesso il soccorso al traghetto per gli 80 minuti successivi alla collisione con la petroliera Agip Abruzzo” (4).
L’ennesimo muro di gomma di questa Italia che sa solo insabbiare, infangare chi denunci, e occultare.
Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro San Girolamo
via San Girolamo, 5 – Lucca
martedì 1° aprile 2025, ore 21.00
M/T Moby Prince 3.0
di Francesco Gerardi e Marta Pettinari
regia Federico Orsetti
regia video e sound design Fabio Fiandrini
videoproiezioni Chiara Becattini
disegno luci Davide Riccardi
con Lorenzo Satta e Alessio Zirulia
(nuovo allestimento 3.0 realizzato in collaborazione con il Teatro Nazionale di Genova)
(3) https://documenti.camera.it/_dati/leg18/lavori/documentiparlamentari/IndiceETesti/022bis/002/INTERO.pdf
(4) https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/02/01/moby-prince-lufficiale-disse-esistono-due-registrazioni-sulle-chiamate-alla-capitaneria-e-cera-anche-il-mayday-ma-nessuno-le-cerco/6084370
venerdì, 11 aprile 2025
In copertina: Una foto dello spettacolo (gentilmente fornita dall’Ufficio stampa del Teatro del Giglio)