
La figura del vampiro come sovvertitore sociale
di Simona Maria Frigerio
Al di là del libro di Bram Stoker, profondamente puritano; delle varie leggende locali; di Nosferatu il vampiro (Nosferatu, eine Symphonie des Grauens), uno tra i capolavori espressionisti di Friedrich Wilhelm Murnau; e prima della soap-saga di Twilight – devotamente mainstream e con una coppia affetta da un amour fou in stile Harmony – la figura del vampiro è stata, in almeno tre film, esempio di come il diverso e il fanta-horror possano esorcizzare paure, scardinare stereotipi e liberare i costumi molto più efficacemente e sottilmente di tante pellicole impegnate.
Nel 1983 usciva Miriam si sveglia a mezzanotte (The Hunger – ‘fame’ di sangue, ma anche d’amore, di giovinezza, di vita), tratto dal romanzo di Whitley Strieber. Opera prima del regista Tony Scott, con Catherine Deneuve, David Bowie e Susan Sarandon ad animare un ménage à trois tanto sensuale quanto impossibile – come la vita o l’amore eterno. Sarandon / Deneuve – non nuove a ruoli ‘scabrosi’ (della prima ricordiamo The Rocky Horror Picture Show del 1975, della seconda Belle de Jour addirittura del ʻ67) – sdoganavano definitivamente, persino per il gusto mainstream hollywoodiano, il lesbismo. L’happy ending finale apriva a una felicità coniugale tra donne decisamente in anticipo sui tempi.
Nel 1992, in piena isteria Aids, è un altro fanta-horror, Dracula di Bram Stoker (Bram Stoker’s Dracula), diretto e prodotto da Francis Ford Coppola, con gli splendidi costumi di Eiko Ishioka, a stravolgere i benpensanti. In questo estetizzante, raffinato prodotto hollywoodiano, De Palma mette in discussione il valore della verginità e della ‘modestia’ – attraverso un escamotage letterario vagamente simile a quello de Le due inglesi (di François Truffaut). Nelle proprie considerazioni epistolari, Mina (una sussiegosa e ingenua Winona Ryder) confida all’amica Lucy (ben più consapevole della propria sensualità) di aver compreso la differenza tra passione carnale e amore coniugale solo dopo il matrimonio con lo scialbo Jonathan Harker. Ciò avveniva sullo schermo ma, nella realtà della sala cinematografica, vivevamo un’epoca (gli anni 90) in cui sembrava che solo il talamo nuziale ci avrebbe salvati dalla cosiddetta peste del 2000. E soprattutto, il film esorcizzava il terrore del sangue e dello scambio di fluidi tra amanti nella scena di sesso sublimato tra il Conte Dracula e la stessa Mina, la quale scopriva in sé ben altre pulsioni rispetto a quelle della devota moglie borghese di un buon partito.
Nel 2008 è la volta di Lasciami entrare (Låt den rätte komma in), regia dello svedese Tomas Alfredson (sempre accurato nelle sue ricostruzioni storiche e attento a fotografia e ambientazione), adattamento cinematografico del romanzo, molto più fanta-horror, firmato da John Ajvide Lindqvist.
Il film, invece di indugiare sugli aspetti più splatter e fantastici, scava nella relazione tra i due adolescenti protagonisti – Kåre Hedebrant, nel ruolo di Oskar, e Lina Leandersson, in quello di Eli. Fine cesellatore di psicologie (non a caso il film ha vinto il Best Narrative Feature al Tribeca Film Festival), Alfredson utilizza la figura del vampiro per sondare le pulsioni profonde di due dodicenni – prima che le inibizioni sociali prendano il sopravvento. Eros e Thanatos: due corpi distesi nudi, un bacio al sapore di sangue, una domanda capitale: «Oskar, io ti piacerei anche se non fossi una ragazza?», l’istintivo voyeurismo, il mettersi nei panni dell’altro fino a identificarsi e a compartecipare le sue paure, le sue emozioni e i suoi desideri – che diventano i nostri.
Due adolescenti possono amare fino a perdersi, odiare fino a uccidere? Ancora una volta è la figura del vampiro – forse più rassicurante perché ai più parrà solo prodotto di fantasia – a rispondere.
venerdì, 28 marzo 2025
In copertina: La locandina di Lasciami entrare nella versione in lingua inglese