
Fausto e Iaio: i ragazzi del Leoncavallo
di Simona Maria Frigerio
La televisione italiana è ormai diventata un coacervo di serie crime e programmi televisivi dedicati ai delitti – da quelli con tanto di modellino per ricostruzioni che finiscono col mettere alla gogna presunti innocenti, a quelli più seri che si dedicano a vicende ormai passate in giudicato le quali, però, tendono solamente a reclamizzare i successi delle Forze dell’Ordine. E di tanti delitti irrisolti si perde traccia, soprattutto se la matrice politica tocca nervi tuttora scoperti.
Non sappiamo chi uccise veramente Pier Paolo Pasolini (o almeno chi furono i mandanti e i complici di Pino Pelosi), e forse non lo sapremo mai; né chi ‘aiutò’ Giuseppe Pinelli a volare da una finestra della questura di Milano; se l’omicidio Calabresi fu davvero opera di alcuni leader di Lotta Continua o altre trame, più oscure, si mossero per depistare e trovare un capro espiatorio; ma non sapremo forse mai neanche chi uccise Fausto e Iaio – un duplice omicidio che pare essere stato quasi completamente dimenticato dalla cronaca nera televisiva nostrana. Perché?
Sabato 18 marzo 1978 (ormai quasi mezzo secolo fa), in via Mancinelli a Milano, furono uccisi a colpi d’arma da fuoco Fausto Tinelli e Lorenzo ‘Iaio’ Iannucci, militanti di quello che allora era il Centro sociale forse più famoso d’Italia, il Leoncavallo, impegnato a dare spazio a istanze politiche antagoniste ma anche a una cultura alternativa – sarà qui, ad esempio, che inizierà a lavorare un regista che sa scorticare l’anima come Renzo Martinelli (che poi co-dirigerà per molti anni Teatro i).
Ma cosa accadde quel sabato? Poco prima delle 20.00, di fronte alla Anderson School in via Mancinelli, pare che qualcuno abbia attirato l’attenzione di Fausto e Iaio (probabilmente una persona che conoscevano). I testimoni parlano di uno scambio di battute – Marisa Biffi di una discussione animata tra tutti e cinque, così come ricorderà che i tre giovani in attesa avevano in mano dei sacchetti di plastica. All’improvviso i colpi. Fausto e Iaio si accasciano al suolo, mentre gli altri tre si allontanano molto velocemente (un altro testimone affermerà di averne visto uno correre e prendere al volo l’autobus 55, ma le versioni non coincidono). Iaio è stato ucciso sul colpo, Fausto morirà durante il trasporto in ospedale.
Al funerale di Fausto e Iaio partecipa la società civile (come si diceva allora): forse 100mila tra semplici cittadini e militanti. Il 22 marzo tutte le fabbriche di Milano si fermano in quanto è stato indetto uno sciopero generale in solidarietà con le vittime, e decine di consigli di fabbrica si uniscono al corteo funebre – provenienti dall’Alfa Romeo, dalla Olivetti, dalla Pirelli. Presenti anche i leader locali di FLM e FGCI con Pierre Carniti “in rappresentanza dei sindacati nazionali”; l’Anpi; studenti, operai e pensionati; Avanguardia Operaia, il Quotidiano dei Lavoratori, Lotta continua, i militanti anarchici e molti giornalisti, ovviamente tra essi anche quelli di Radio Popolare.
Le indagini seguono, da subito, piste diverse e non si possono escludere depistaggi. Si indaga Massimo Carminati, allora associato alla Banda della Magliana – organizzazione criminale di stampo mafioso nata ed operante soprattutto a Roma, in questi anni assurta alle cronache televisive grazie a serie che hanno trasformato dei delinquenti in personaggi culto della tv spazzatura; ma anche Valerio Fioravanti – esponente dei NAR, condannato per la strage di Bologna del 1980 (e altri omicidi) anche se, per quel crimine, si è sempre proclamato innocente. Oltre a due neofascisti come Claudio Bracci e Mario Corsi. Nell’abitazione di quest’ultimo, arrestato a Roma nel 1978 per un’aggressione ai danni di alcuni militanti di sinistra, si repertano due fotografie, una delle quali ritrae Fausto e Iaio e l’altra i loro funerali. Anche un pentito, militante dell’estrema destra, dichiara che Corsi gli avrebbe fatto una specie di ‘confessione’ durante una telefonata intercorsa tra loro.
Fausto e Iaio, a parte condividere l’ideologia politica e lo spazio del Leoncavallo, chi erano?
Di certo sappiamo che stavano conducendo un’indagine (i cui risultati avevano registrato su nastri, trafugati misteriosamente dopo la loro morte) sui traffici di eroina al Casoretto, a Lambrate e a Città Studi. L’eroina che, in quegli anni, invadeva Milano – di fatto azzerando la spinta propulsiva della sinistra antagonista – era fonte di lucro non solamente per le mafie, ma anche per alcuni ambienti dell’estrema destra milanese. Non sarà un caso che, nel 1981 sarà ucciso Francis Turatello nella Casa Circondariale di Nuoro (1). Nuovi poteri e organizzazioni verticistiche che, sul traffico degli stupefacenti (più che sulle bische, la prostituzione e le rapine in banca), costruiranno una fortuna, stanno allungando le mani sull’Italia e anche sulla sua capitale ‘morale’ (pensiamo alla Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo e alla Nuova Famiglia, che vedrà anche la guerra tra i clan dei Nuvoletta e dei Casalesi, con la vittoria di questi ultimi). Sarà stata una coincidenza ma “qualche tempo prima dell’omicidio, Iaio avrà una vivace discussione, condita da minacce di fronte al Caramellose, locale di via Carnia, nei pressi di piazza Udine. La lite avviene con un uomo di circa 30 anni, slavo, conosciuto come spacciatore, di nome Franjo – il numero telefonico di quest’ultimo verrà trovato, insieme ad altri, su un tovagliolino di carta in tasca al giovane riverso in via Mancinelli” (2).
Le indagini, nell’immediato, sono affidate al sostituto procuratore Armando Spataro e delegate “ad altri quattro sostituti procuratori”. Ma il muro di gomma tutto italiano regge: non si riescono a individuare né i mandanti né gli esecutori del duplice omicidio. Le prime dichiarazioni, a caldo, sono inquietanti – come lo sarà l’annuncio di Bruno Vespa che era stato individuato il colpevole della strage di Piazza Fontana in Pietro Valpreda – ovvero che i giovani sarebbero stati uccisi per un “regolamento di conti e, addirittura, per una faida fra i gruppi della nuova sinistra”. Tale dichiarazione, rilasciata dall’allora capo di Gabinetto della Questura di Milano, Ermanno Bessone, sarà smentita già nei giorni successivi. E però i depistaggi non sono un’invenzione giornalistica. Al contrario. Come scrive il collega Daniele De Luca, “Alcuni inquirenti fanno circolare la voce che è una calibro 32 a uccidere Fausto e Iaio. Mauro Brutto smonta il tentativo di deviare l’indagine verso altre piste. I killer hanno usato pistole automatiche avvolte in sacchetti di plastica. Ecco perché sul luogo dell’omicidio non sono stati trovati i bossoli e i testimoni hanno sentito colpi ovattati. Un particolare che conferma il loro livello di professionalità: gli assassini non intendevano rinunciare al vantaggio della rapidità di tiro fornita da una pistola automatica senza, però, correre il rischio di disperdere i bossoli e lasciare quindi una traccia” (3). Mauro Brutto riceverà, prima, un avvertimento (tre colpi sparati in aria di fronte alla sua auto, mentre vi sostava in attesa di qualcuno vicino al Leoncavallo) e, poi, sarà ucciso da una vettura pirata il 25 novembre 1978. La causa era questa sua contro-inchiesta?
Oltre alla pista dell’indagine sul traffico degli stupefacenti, in quel momento indispensabile sia per la presa del potere da parte della camorra; sia per il finanziamento di una parte della destra eversiva; e, altrettanto probabilmente, per il potere costituito quale mezzo per riportare sotto controllo le istanze antagoniste dei giovani degli anni 70; vi è una seconda pista, adombrata anche dalla madre di Fausto, Danila Tinelli (4). La famiglia Tinelli viveva in via Montenevoso 9, e al civico 8 si trovava un covo delle Brigate Rosse, dove si reperteranno anche copie dattiloscritte di alcune delle lettere che Aldo Moro vergò durante il sequestro. All’ultimo piano della palazzina dove abitava la famiglia Tinelli c’era una mansarda trasformata in mini appartamento – utilizzata dai servizi segreti per controllare il covo delle Brigate Rosse. Sebbene di fronte alla Commissione Moro le autorità affermeranno che l’appartamento era stato “affittato solo nel luglio del 1978”, secondo Danila Tinelli già “dal gennaio del 1978 si sarebbero viste persone entrare in quella mansarda, trasportando scatoloni e strane parabole”.
Ciò che resta dopo tanti anni è l’amaro in bocca. Quello che si prova sapendo che la verità non si scoprirà mai – vuoi per i depistaggi, vuoi per una certa inerzia di fronte a vittime di Serie B, com’erano quei due giovani proletari, che militavano in un Centro sociale (e per questo già guardati con sospetto, ieri come oggi), ma che avevano compreso che lottare contro l’eroina significava lottare contro il degrado sociale e quella Milano ‘da bere’ che avrebbe, da lì a pochi anni, ingoiato il dissenso, consegnando ancora di più le periferie allo sfruttamento padronale e alla ghettizzazione dei suoi abitanti.
(1) https://www.carmillaonline.com/2023/02/28/il-mondo-della-prigione-tra-alterita-e-realismo-storico-la-morte-di-francis-turatello-2-2/
(2) https://www.faustoeiaio.info/inchieste/item/fausto-iaio-inchiesta-indipendente
(3) https://ilmelogranonet.it/mauro-brutto-una-storia-dimenticata-46-anni-fa-lomicidio-di-fausto-e-iaio-ma-anche-del-giornalista-de-lunita/
(4) https://www.ladige.it/cultura-e-spettacoli/2016/03/17/l-omicidio-di-fausto-e-iaio-molti-misteri-38-anni-dopo-1.2680873
venerdì, 21 marzo 2025
In copertina: Rilievi della Polizia scientifica accanto al cadavere di Lorenzo Iannucci (immagine di Pubblico Dominio)