
Poker di regine con principe
di Simona Maria Frigerio
La più forte, Intermezzo con l’ombra di Amleto e Dondolo, tre autori per altrettanti piccoli gioielli teatrali, rispettivamente un atto unico di August Strindberg, un frammento della tragedia del Bardo e un dramma (tra i più asciutti ed essenziali) del drammaturgo irlandese, Samuel Beckett.
In scena, in La più forte – esternazione teatrale tra le più incisive dell’io misogino del suo autore – due donne che sembrano essersi brandite le viscere del maschio di turno, marito dell’una e amante dell’altra, interpretate da Irene Falconcini – in parte nel ruolo della moglie che rivendica più che il proprio amore, il proprio ruolo legittimo e il possesso – e, dall’altro lato, Giovanna Daddi, nei panni di Amelia. Quest’ultima volge le spalle al pubblico, senza mai pronunciare una parola, sia di spiegazione o sia di scherno all’ex amica/rivale in arte e in amore, e concede solamente – a lei come al pubblico – la sua risata insieme consapevole e amara.
Una visione della donna che nasce dalle idiosincrasie di Strindberg verso il genere femminile e le donne che hanno costellato la sua esistenza ma che rispecchia anche, soprattutto nella società dell’epoca ma persino a posteriori, le rivalità e invidie tra donne quando le stesse vedevano (e ancora vedono) nel riflesso di sé solo la peggiore nemica, mentre la solidarietà femminile non era contemplata che in casi estremi e il maschio restava il trofeo e il garante dell’unica felicità possibile, che restava quella domestica e familiare.
A seguire la vittima per eccellenza, Ofelia, a cui sono concesse solo poche battute e di essere spettatrice dello spettacolo messo in scena dal suo amante/amato, che giganteggia – metaforicamente e realmente – come ombra e la condanna al convento o (più tardi) alla follia: tragica fine per molte donne che non hanno accettato supinamente il volere di genitori o coniugi, finendo per questo nelle Case Magdalene o in manicomio.
E per finire Rockaby, un atto unico tra i più lancinanti di Beckett, con Daddi che si dondola verso la morte. È solo una, una donna sola, che vive attraverso i suoi occhi – dai quali scruta, dietro a una finestra, uguale a migliaia di altre di un caseggiato-alveare (intuizione scenografica e registica pregnante, come per Strindberg la scala alla Escher che si inabissa nei meandri psicologici e nella memoria delle protagoniste), la vita vissuta dagli altri.
A farle compagnia una voce. La sua? Quella della sua consapevolezza del momento? O di un immaginario collettivo che tutti compartecipiamo, come occidentali, all’approssimarsi della grande mietitrice? Da Bergman a Kieślowski, da Arcand a Kiarostami, molti sono i registi soprattutto cinematografici che si sono confrontati con la morte, ma Beckett l’ha condensata in un movimento, il semplice dondolio che, quando si ferma, ha in sé il senso ultimo di ciò che non sarà più. L’immobilità come metafora di tutto ciò che è stato o sarebbe potuto essere e non sarà più. Al silenzio, in fondo, la donna era già costretta, nella sua solitudine di vecchia, nella sua solitudine di essere umano che, anche circondato da tutti coloro che ha amato – come nel bellissimo Le invasioni barbariche – sarà comunque sola ad affrontare la morte. E Giovanna Daddi, la sua voce preregistrata che accentua solo le parole (tra le poche, pochissime) che danno senso al testo come a un’intera esistenza, che regge il palco dondolandosi appena con un piede e poi, immobile, sostiene il peso del silenzio e del vuoto, è la sublime signora del teatro che resta in scena, come Molière, nonostante non stia bene (per fortuna solo a causa di un’influenza).
La chiusura del trittico – con le sue quattro protagoniste – è una danza macabra e un’acuta riflessione registica, che affida alle ombre, a parole ormai prive di significato, al volgere le spalle al mondo, il proprio congedo, esemplificando una umanità, non solo femminile, che sta lentamente ma inesorabilmente morendo a se stessa e ai propri valori.
Lo spettacolo è andato in scena:
Teatro Vittoria
Cascine di Buti (Pisa)
sabato 8 marzo 2025, ore 21.15
Storie di donna
regia Dario Marconcini
con Giovanna Daddi, Irene Falconcini e Leonardo Greco
produzione Associazione Teatro Buti
venerdì, 21 marzo 2025
In copertina: August Strindberg e Samuel Beckett (foto da web)