
Con l’arrivo della primavera torna la voglia di muoversi a piedi
di Luciano Uggè
L’essere umano nasce raccoglitore e camminatore. Ancor prima che fossero introdotti le colture e l’allevamento del bestiame, l’uomo si spostava a piedi in cerca di ciò di cui aveva bisogno per vivere – riserve d’acqua innanzi tutto, materiali da costruzione o per fabbricare gli utensili per cucinare o le prime rudimentali armi, ma anche conchiglie per i monili e pelli per gli indumenti con cui proteggersi dal freddo, e poi occorreva raccogliere bacche e frutti, inseguire le migrazioni degli animali da cacciare e cercare i corsi d’acqua più pescosi.
I tempi erano ovviamente dilatati. Ci volevano ancora giorni per percorrere qualche decina di chilometri fino al secolo scorso: il pellegrino o il viandante, come i primi esseri umani, usava spesso sentieri segnati dalla consuetudine che attraversavano i monti in costa superando distanze che, in pianura, sarebbero apparse insormontabili. Con i cavalli (o altri animali) e con carri e carrozze – via terra – e con le imbarcazioni sempre più veloci (pensiamo ai clipper, i velieri per il trasporto merci già nell’Ottocento) certamente alcune distanze si erano accorciate a livello di tempo e, di conseguenza, ci si immaginava lo fossero anche spazialmente: le Americhe come le Indie parevano meno remote e le successive migrazioni lo dimostrarono. Ma indubbiamente è stato il vapore a rivoluzionare la tecnologia e a introdurre il viaggio di piacere.
Eppure, negli ultimi anni, si assiste a un ritorno di fiamma verso la lentezza e quale attività umana la incarna più propriamente del muoversi a piedi?
La Via Francigena (da Canterbury a Roma e oltre), in Italia, più di altri pellegrinaggi (pensiamo al Cammino di Santiago di Compostela), è oggi anche un percorso per escursionisti; il walking (fa sempre più cool dirlo in inglese) è diventato un’attività motoria a cui si dedicano libri e che è bene praticare nel verde, con un paio di scarpe comode e adatte e portandosi dietro l’acqua necessaria per evitare di disidratarsi (soprattutto nella stagione estiva). Camminare non è però solo una forma di allenamento fisico economica e praticabile più o meno a qualunque età, ma aiuta anche a liberare la mente. Anche al riguardo sono aumentati i manuali e i romanzi – dalla favola colta di José Saramago, Il viaggio dell’elefante, che ripercorre a piedi l’Europa del XVI° secolo da Lisbona fino a Vienna; a Frédéric Gros che ci fa respirare “il senso di libertà, di crescita interiore e di scoperta” dell’andare a piedi attraversando le vite di grandi camminatori del passato – da Nietzsche a Gandhi (nel suo Andare a piedi. Filosofia del camminare).
Se è vero che la scuola fondata da Aristotele si chiamava liceo o scuola peripatetica perché comportava il camminare dialogando – il maestro con i seguaci ma anche questi ultimi tra loro – e, quindi, se muoversi a piedi può essere utile a risolvere rovelli (più o meno filosofici), è altrettanto vero che camminare può avere lo scopo opposto, ovvero liberare la mente da ansie e pensieri ossessivi. In effetti, secondo molti esperti del settore, migliora l’auto-percezione, l’umore e la qualità del sonno, riducendo la sensazione di stress.
Ma oltre a tutto, ci viene da pensare che camminare per boschi, a seconda delle stagioni, permette anche di portare avanti quell’altra attività atavica, che è il raccogliere – mirtilli e more in estate, ad esempio, e castagne o funghi (per chi sappia riconoscerli) in autunno. Il che non solamente permette di avere la materia prima per le confetture fatte in casa o per fare da contorno alla nostra cena, ma di riacquisire il senso del trascorrere del tempo, il rispetto per la stagionalità e per le ore di luce (per noi ormai avvezzi al giorno perpetuo dell’elettricità), ma anche dei ritmi del corpo che si sposano più di quanto pensiamo con quelli della lentezza – la stessa che si respirava solo un secolo fa.
venerdì, 7 marzo 2025
In copertina: Foto di Anja da Pixabay