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Non solo Claudio Bellettati
di La Redazione di InTheNet
Dopo l’intervista ad Alba Maldini sul decesso del marito, Claudio Bellettati (1), abbiamo scoperto che la consulente della signora Maldini, Barbara Balanzoni, medico anestesista rianimatore e giurista, segue altri casi simili, tra i quali quello di Francesco Pirazzoli, come ha raccontato lei stessa in un’intervista a Radio Volmer.
Secondo Balanzoni a Pirazzoli sarebbero stati somministrati, senza il consenso informato del paziente, cosciente e capace di intendere e volere: «Propofol e morfina», e poi spiega (trascriviamo dalla registrazione radiofonica originale): «Il Propofol è un anestetico generale, quindi Francesco, che aveva scritto alle figlie fino alle 5 del pomeriggio lucido come un cristallo, a un certo punto iniziò a scrivere una sorta di testamento, dicendo: “Guardate, ho fatto delle operazioni in banca, sappiate che ho sbloccato una somma”. Le avvisò quindi di quest’operazione finanziaria, cosa di cui non avrebbe mai parlato se non avesse capito che c’era qualcosa che non andava».
Nell’intervista, che vi invitiamo ad ascoltare integralmente (2), Balanzoni prosegue denunciando: «In questo caso la Procura aveva chiesto una prima archiviazione. Siamo andati davanti al GIP di Ravenna, che è stato molto bravo e ha disposto l’incidente probatorio, permettendo così al consulente del Giudice di esaminare il caso. Io ero presente, ma nessuno della Procura, perché la Procura non aveva mandato nessuno, e questo ti fa capire quanto se ne fosse disinteressata. Si è tenuto un incontro tecnico per comprendere quello che era accaduto. Dopo questo incontro tecnico, che si è svolto il 14 febbraio 2024, siamo andati a maggio a discutere l’incidente probatorio in aula a Ravenna, davanti al GIP. Tenete presente che in questo incidente probatorio il professore ordinario di anestesia di Padova, nominato dal Giudice, insieme a un medico legale, ha iniziato a sostenere delle assurdità in difesa della dottoressa indagata. Ad esempio, hanno affermato che in terapia intensiva non serve il consenso informato del paziente, cosa invece prevista per legge. Anzi, questo ordinario di anestesia ha dichiarato: “Le linee guida italiane le ho scritte io e non ho mai incluso il consenso informato. A Padova non l’ho mai visto chiedere”. Lo stesso ha affermato il primario di anestesia di Rimini, che difendeva l’imputata. Questi hanno candidamente ammesso che, contrariamente a quanto prevede la legge, il consenso informato non viene richiesto, mentre in realtà, se un paziente è capace di intendere e volere, deve essere informato e deve dare il consenso».
Ora, senza entrare ulteriormente nel caso specifico in quanto tutt’ora ben lontano persino da un rinvio a giudizio o da una qualsiasi conclusione (cone spiega Balanzoni nell’intervista), come Redazione abbiamo voluto soffermarci su tre punti. Il primo, quello del consenso informato anche per il paziente in terapia intensiva; il secondo, quello di come potrebbe il patologo accertare un uso improprio di sostanze che possano portare al decesso del paziente, senza espressa volontà dello stesso e senza una legge che, in Italia, stabilisca se e quando sia lecito ricorrere all’eutanasia; terzo, se in passato siano state emanate linee-guida o Circolari ufficiali in tal senso..
Alla prima domanda ci ha risposto il professor Paolo Bellavite, già professore di Patologia Generale presso l’Università di Verona: “Se non c’è un consenso informato chiaro, è illegittimo. Se il paziente non può dare il consenso perché incapace o impossibilitato, devono chiederlo ai parenti. Però se ci sono, ad esempio, tre figli, tutti e tre devono essere consenzienti”.
Alla seconda domanda, visto che da quanto emerge nell’intervista a Balanzoni, i medici legali non troverebbero prove a sostegno della sua tesi e che il problema è che occorre eseguire procedure e fare esami diversi da quelli di routine in questi casi di morte sospette (perché, ovviamente, non ci si trova di fronte a uno strangolamento o a un colpo di pistola), abbiamo chiesto un parere al dottor Gentilini, medico di famiglia, neurologo, già consulente per il Tribunale: “L’attività di consulenza peritale sarebbe possibile per ogni specialista relativamente alla sua materia. Questo fatto dovrebbe essere ben noto ai giudici che nominano i periti. Tuttavia i giudici, che hanno in proposito ampia discrezionalità, tendono a scegliere i medici legali, assai esperti invero nella valutazione quantitativa del danno ma digiuni per solito di esperienza clinica. Anche la scelta di anatomopatologi, capaci di sezionare – ma anch’essi senza esperienza clinica – può, da sola, essere insufficiente. Ovviamente nel caso di una morte per presunto avvelenamento da morfina, midazolam o propofol, eccetera, sarebbero necessari esami tossicologici e, per la valutazione del decorso e della correttezza terapeutica, sono determinanti figure come anestesisti rianimatori o internisti. Dovrebbe essere normale da parte del giudice affiancare tali specialisti al semplice medico legale o all’anatomopatologo nel corso delle operazioni peritali, l’omissione di tale prassi è quanto meno sospetta. Il medico legale senza esperienza clinica non può essere in grado di valutare correttamente se e quanto fossero necessarie quelle ‘terapie’ in relazione allo stato del paziente. Si crea così una difficoltà valutativa e la tendenza all’archiviazione”. Una tendenza, questa all’archiviazione, contro la quale lottano le famiglie assistite da Balanzoni.
E veniamo all’ultima domanda che ci eravamo posti. Ossia se esistano protocolii o linee guida che consigliano, ad esempio, l’uso del midazolam – che è una benzodiazepina utilizzata per sedare malati terminali e persino i condannati a morte (per iniezione letale) negli Stati Uniti. È sconsigliato (secondo i manuali che abbiamo consultato) nei pazienti con disturbi o malattie che causano gravi difficoltà respiratorie (ad esempio, a chi soffra di polmonite bilaterale). Il propofol, a sua volta, è un agente ipnotico utilizzato in anestesia ma i pazienti sedati devono essere continuamente monitorati, data la possibilità di sviluppo di ipotensione e bradicardia, così come di effetti avversi respiratori – soprattutto in casi di somministrazione endovenosa e in soggetti debilitati, come anziani o malati gravi.
Ora, esiste una Circolare del Servizio Sanitario Regionale Emilia Romagna (che alleghiamo, 3), con Indicazioni pratiche per l’impiego di morfina e midazolam in corso di polmonite Covid-19. In fondo si legge: “Terapia ‘al bisogno’ di SALVATAGGIO”. E più oltre: “È possibile miscelare alla morfina il midazolam!”. Ovviamente queste misure furono emanate quando i pronto soccorso erano affollati di persone molto anziane con patologie plurime e polmonite bilaterale probabilmente dovuta alla Covid-19 e potevano rientrare in un’ottica palliativa ma, viste le controindicazioni succitate del midazolam, era davvero la scelta migliore? E ancora, somministrare il propofol (che non ha proprietà analgesiche) a cosa servirebbe in un paziente ricoverato e debilitato da una grave malattia?
Non è nostro compito, bensì della società civile, decidere quali pratiche considerare lecite o meno – ivi compresa l’eutanasia – con un dibattitto serio, rispettoso e che ponga sempre la scelta della persona, che tale rimane anche quando diventa paziente, al primo posto. Ma è nostro compito, come giornalisti, pretendere verità dalla giustizia, stando accanto alle famiglie di chi è deceduto, e chiarezza riguardo alle linee-guida che non possono prescindere dal consenso informato.
(1)
(2) https://m.soundcloud.com/radio-volmer/intervista-al-medico-e-avvocato-barbara-balanzoni
(3)
venerdì, 21 febbraio 2025
In copertina: Foto di Rafael Urdaneta Rojas da Pixabay