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Basterà il PNRR per porre fine alla povertà educativa nel nostro Paese?
di Federico Giusti
La povertà educativa non nasce da ora ma è un antico retaggio delle scelte fallimentari negli ultimi quarant’anni: asserire, come fa Raffaele Fitto (1), che la soluzione sia il PNRR è la solita propaganda atta a occultare i problemi.
Del resto l’ultima revisione del PNRR ha scelto la solita via italica del procrastinare molte scadenze previste spendendo in fretta i fondi assegnati senza una visione prospettica delle necessità del Paese come scriveva pochi giorni fa Openpolis (2).
Come avvenuto con i tagli al cuneo fiscale, le imprese hanno fretta di accedere ai crediti d’imposta e agli incentivi ma da qui a ridurre le tante, troppe, disuguaglianze corre grande differenza e prova ne sia la decisione del Governo di rivedere gli obiettivi per la copertura dei posti negli asili nido che passano dal 33% al 15%.
Non sarà certo il PNRR a porre fine alle disuguaglianze o alla povertà economica delle famiglie che colpisce quasi 1 milione e mezzo di giovani con età inferiore ai 18 anni visto che gli investimenti sociali nella revisione del Piano hanno subito forti ridimensionamenti.
Ad oggi non sono ancora disponibili i dati relativi allo stato di avanzamento degli oltre 262mila progetti finanziati dal PNRR ma sono in gravissimo ritardo – i dati ispettivi sulla attuazione dei decreti e le responsabilità non sono attribuibili solo agli Enti locali ma soprattutto alle strutture ministeriali.
E palesi sono i ritardi di molti territori nei quali problematico è l’accesso al lavoro e a un reddito o dove si verifica un progressivo indebolimento del potere di acquisto.
La stessa nozione di povertà educativa non potrà certo ridursi al numero di mense e palestre lasciando fuori, ad esempio, laboratori o scuole che dovrebbero essere aperte anche al pomeriggio per consentire la frequentazione dei corsi di recupero, e non, e di altre attività educative. Ma anche su mense e palestre i ritardi sono macroscopici come denuncia il rapporto che alleghiamo qui sotto in versione .pdf:
Potremmo poi menzionare la sporadica presenza di biblioteche e di sale studio, sapendo che queste ultime perfino nelle città universitarie hanno visto una forte contrazione degli orari di apertura per i tagli agli atenei e i soliti appalti al ribasso.
Per fare altri esempi prendiamo in esame la dispersione scolastica: in Italia quasi l’11% dei giovani in età scolare ha abbandonato prematuramente gli studi. Veniamo superati da Paesi europei economicamente più deboli ma anche da nazioni in crisi come la Germania e perfino la Spagna – la cui economia cresce, però, a ritmi maggiori della nostra.
E ancora una volta le risorse impiegate dall’Italia sono inferiori, anche nel settore educativo come del resto nella sanità, rispetto alla media dei Paesi Ocse che spendono per il settore educativo il 5,1% del loro PIL rispetto al 4,2% dell’Italia che, per altro, assegna fondi soprattutto alla scuola primaria.
Ancora da dimostrare che gli investimenti del PNRR arrivino ad oltre il 40% delle scuole presenti sul territorio nazionale secondo gli impegni assunti con la UE: il nostro Paese vede meno della metà degli istituti scolastici con una palestra e i ritardi sono soprattutto nel meridione ma anche in alcune regioni del centro-nord che, fino a pochi anni fa, registravano dati di gran lunga migliori delle aree economicamente deboli.
E l’assenza di laboratori, di aule studio, di esami mensili nelle università, di scuole serali e a tempo pieno, oltre che di strumenti informatici sono lo specchio di un Paese che, nel corso del tempo, si è disimpegnato nella lotta all’emarginazione sociale e culturale o nell’accrescere la salute e la sicurezza (in termini economici) della sua stessa popolazione.
(1) Ministro per gli affari europei, le politiche di coesione e il PNRR nel Governo Meloni
(2) Per approfondire: https://www.openpolis.it/il-pnrr-e-cambiato-di-nuovo/
venerdì, 14 febbraio 2024
In copertina: Il logo di Save the Children, a cui si deve il Report sulla situazione educativa nel nostro Paese