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CELAC e Messico al contrattacco
di Luciano Uggè
Due istanze importanti stanno interessando il Latinoamerica in queste settimane.
La prima in risposta alle minacce di dazi e rimpatri forzati imposti o ventilati dal Presidente Trump.
La presidente dell’Honduras, Xiomara Castro, ha convocado una riunione urgente dei membri della Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños (la CELAC), affinché il Latinoamerica crei un “blocco di amicizia” per difendersi dalle minacce dell’amministrazione di Trump, soprattutto in ragione delle nuove misure restrittive imposte negli Us (tra le quali, ricordiamo, il non riconoscimento della cittadinanza statunitense ai figli dei migranti irregolari, nonostante gli States riconoscano lo ius soli).
Preoccupazioni sollevano altresì le continue ingerenze nella politica interna agli Stati centro e sudamericani non graditi a Washington – come il subitaneo e immotivato reinserimento di Cuba nella lista degli Stati sponsor del terrorismo, a circa una settimana dal depennamento operato da Biden negli ultimi giorni della sua amministrazione; e la pretesa di riprendersi (con la forza militare o con le pressioni economiche non è stato precisato) il Canale di Panamá – il che ha provocato anche la vibrante risposta del Presidente colombiano, Gustavo Petro, che ha ricordato come Panamá sia essa stessa una invenzione statunitense, dato che quel territorio faceva parte della Colombia.
Ma tornando alle migrazioni, come hanno notato alcuni esperti di diritto internazionale, lasciare agli Stati Uniti il libero arbitrio in fatto di diritti fondamentali delle persone è contrario a qualsiasi considerazione umanitaria – così come lo sono le azioni del Governo Meloni che deporta forzatamente i migranti irregolari in Albania.
Nel frattempo il Messico ha avviato il progetto México te abraza per accogliere i migranti rimpatriati forzosamente e, in molti, oggi chiedono che i Paesi membri della CELAC affrontino le ragioni profonde delle migrazioni, evitando di restare alla superficie del fatto contingente o del progetto assunto, magari, per una durata di tempo limitata, da un singolo Stato.
Tra gli altri punti chiave in discussione, sia le possibilità a livello economico e di scambi commerciali che possono offrire i BRICS, ma anche come accedere ai finanziamenti della sua New Development Bank, invece che incorrere nelle forche caudine del Fondo Monetario Internazionale, che continua con la sua politica di interessi che strangolano le economie emergenti e con la stretta sui servizi e i diritti sociali per ripagarli. Il cosiddetto “blocco di amicizia” potrebbe anche proteggere le ricchezze dei Paesi che vi partecipano – e che possiedono petrolio, litio e gas – a fronte delle pretese rapaci degli statunitensi (che, spesso, hanno causato golpe appoggiati dalla Cia, invasioni e dispiegamento di basi e forze militari statunitensi in Paesi sovrani con false motivazioni, quali la guerra al narcotraffico, e l’uso coercitivo di sanzioni unilaterali illegali o, sotto Trump, la politica dei dazi).
Dalle migrazioni agli Ogm
Forse le nuove generazioni non lo sanno, ma a Genova, nel 2001, il movimento no global (che adesso pare impersonato dal revanscismo del vecchio capitalismo industriale incarnato da Trump contro quello finanziario transnazionale delle precedenti amministrazioni democratiche di Biden e Obama) si batteva anche contro gli Ogm – e per diverse ragioni. In primis, per il principio di precauzione, che prevede che qualsiasi prodotto nuovo (non solamente farmaceutico), prima di essere immesso sul mercato, debba essere adeguatamente testato – per gli alimenti, poi, vale anche il discorso dell’accumulo nell’organismo di sostanze modificate geneticamente e a cui l’organismo non si sa come possa rispondere nel medio-lungo periodo. In secondo luogo, perché gli Ogm richiedono sempre nuovi erbicidi, in quanto nascono per esservi resistenti, con conseguente aumento dell’inquinamento di terreno e falde.
Ma esiste un terzo fattore, che ha rilevato la neo-eletta Presidente del Messico., Claudia Sheinbaum, la quale ha inviato al Congresso la proposta di una riforma costituzionale per proibire la semina di mais transgenico nel Paese e proteggere le 59 varietà autoctone. Si tratterebbe di modifiche agli articoli 4 e 27 della Costituzione che dovrebbero altresì favorire colture ecosostenibili.
Il numero delle varietà, il loro secolare affinamento a partire da piante autoctone e la loro diversità genetica e biologica debbono essere protetti, ha affermato la Presidente a seguito della decisione di un panel del Trattato di Libero Commercio tra Messico, Stati Uniti e Canada (il T-MEC), che aveva stabilito come una serie di misure adottate in Messico – quali la proibizione di importare mais transgenico per la preparazione di farina masa e tortillas – fosse una violazione dell’accordo commerciale. Proprio la quantità (20 milioni di tonnellate nel 2024) di mais giallo (stretto) statunitense, praticamente tutto transgenico, importata a fini industriali aveva sollevato la preoccupazione degli esperti messicani che tali granaglie contaminino le varietà autoctone del Paese.
Ogm: miti, realtà e dubbi
Se quando iniziò il movimento no global a porsi dei dubbi sugli Ogm, alla fine degli anni 90 del Novecento, appena 1,7 milioni di ettari nel mondo erano coltivate con piante transgeniche, già nel 2014 si parlava di 181 milioni di ettari e in 64 Paesi la loro presenza (ad esempio negli inscatolati o in prodotti alimentari precotti, eccetera) deve essere citata sulle etichette delle confezioni – ma non negli States.
Al di là che la macchina capitalistica proceda a tutto vapore, si moltiplicano anche gli studi che accendono i riflettori sulle problematiche sopra esposte. In un articolo di The New England Journal of Medicine (NEJM), intitolato GMOs, Herbicides, and Public Health, Philip J. Landrigan dell’Icahn School of Medicine e Charles Benbrook della Washington State University hanno verificato sul campo l’esplosione nell’uso di erbicidi secondo loro attribuibile alla diffusione delle colture GM negli States, dove il summenzionato mais, ma anche la soia e il cotone GM superano ormai il 90% della produzione del Paese. Come un cane che si morde la coda, mentre si diffondono le colture GM resistenti agli erbicidi, cresce spontaneamente il numero delle erbe infestanti esse stesse resistenti al glifosato, che è alla base del diserbante RoundUp. Il quale utilizzato, a sua volta, sempre più massicciamente, già nel 2015 risultava aver inquinato sia falde idriche sia terreni agricoli.
Ma è uno tra i nuovi erbicidi immessi sul mercato, vista la débâcle del glifosato, a essere il focus dello studio pubblicato dal NEJM, ossia l’erbicida 2,4-D (acido 2,4-diclorofenossiacetico), un componente del defoliante Agent Orange – tristemente noto per i suoi effetti a breve, ma anche a lungo termine, in Vietnam. Questo, nonostante l’Associazione Internazionale per la Lotta contro il Cancro (IARC) classifichi il 2,4-D come “potenzialmente cancerogeno per l’uomo”. Leggiamo dall’articolo: “A nostro avviso le valutazioni in merito all’utilizzo del 2,4 D sono errate dato che si sono basate su studi tossicologici dei primi anni Novanta. In queste ricerche non era ancora prevista, per esempio, la valutazione del rischio dei potenziali effetti sulla salute nei neonati e nei bambini”.
Interessante anche la posizione di Greenpeace che, in un recente articolo, mette in evidenza uno studio pubblicato su Nature, e fa notare come, per rilanciare il settore, sia nato il mito della chirurgica precisione dei “nuovi OGM (noti anche come NBT, New Breeding Technologies). Mito mandato a gambe all’aria da un lavoro di recente pubblicazione che ha indagato sugli ‘effetti collaterali’ di una molecola (dal curioso nome di AZD7648) che avrebbe dovuto incrementare la precisione di una delle tecnologie NBT più reclamizzate, la CRISPR-Cas. In effetti, usando la AZD7648 la precisione aumenta ma… solo se ci si limita a ‘guardare’ alla parte del genoma su cui si interviene. Allargando lo sguardo all’intero complesso del DNA cellulare i risultati sono raccapriccianti, visto che sono state osservate ‘frequenti delezioni (tagli al DNA) di migliaia o milioni di coppie di basi (i mattoni fondamentali del DNA), perdita di pezzi di cromosomi e traslocazioni (spostamenti di pezzi DNA)’. Gli autori ricordano anche che «queste alterazioni su grande scala evadono i tipici metodi di rilevamento delle modifiche del genoma»” (1).
Come scriviamo spesso: cari lettori, abbiate dubbi.
(1) https://www.nature.com/articles/s41587-024-02488-6
venerdì, 14 febbraio 2025
In copertina: Foto di Myléne da Pixabay