Uffici, treni, scuole: sono sozzi? Chiediamoci perché
di Federico Giusti (Blog Delegati e Lavoratori Indipendenti Pisa)
Marta ha 64 anni. Con il 2025 sta andando in pensione non per sopraggiunti limiti di età, ma perché il suo fisico è logorato da 35 anni di pulizie, troppi acciacchi e una condizione di salute precaria. Sta facendo i conti della pensione, con quasi 40 anni di contributi arriverà a meno di 1.100 euro al mese, non abbastanza per vivere dignitosamente: dovrà trovarsi almeno un lavoretto, in nero, per incrementare l’esiguo assegno previdenziale.
Marta ha avuto, suo malgrado, una ventina di datori di lavoro, e ci racconta attraverso la sua esperienza i cambiamenti intervenuti nel mondo degli appalti.
Abbiamo raccolto la sua testimonianza…
Dopo la separazione, il solo lavoro che trovavi, con la terza media, era nelle cooperative di pulizie, ormai sono una veterana del settore. All’inizio il contratto era full-time con qualche ora di supplementare, avevi la tua postazione fissa, non esistevano controlli asfissianti, potevi scegliere di aumentare o ridurre i ritmi senza costrizioni di sorta. Le pulizie negli Enti pubblici avvenivano al pomeriggio, l’orario era tra le 14 e le 20 e, il sabato mattina, mi spostavo a Ospedaletto negli uffici di commercialisti e periti che di solito lavoravano fino al venerdì sera tardi.
Poi gli appalti sono cambiati, il materiale per le pulizie con il contagocce e ogni gara al ribasso, retribuzione peggiore, meno ore e meno contributi previdenziali.
Nell’arco del tempo sono passata da 40 ore settimanali a 30, costretta a un secondo lavoro con pulizie a domicilio sulle quali, mi preme dirlo, ho sempre pagato le tasse.
Non so dirvi la ragione ma pur pulendo sempre gli stessi edifici il tempo assegnato è diminuito, le igienizzazioni straordinarie sono scomparse, meno accuratezza, prodotti utilizzati di dubbia qualità, un cellulare con cui timbrare entrata e uscita ma anche per quantificare i tempi impiegati per lo svolgimento delle varie mansioni.
Non esistono più i tempi morti, è stata ridotta l’autonomia nell’esecuzione dei servizi: devi rispettare la tabella di marcia come se fossi alla catena di montaggio in fabbrica.
Gli orari sono cambiati – ci dicono per evitare i rischi da interferenza. Entriamo la mattina alle 4 fino alle 8 e poi torniamo al pomeriggio due ore tra le 18 e le 20, 5 giorni la settimana. Al mattino vado da una famiglia di anziani, due ore di pulizie senza mai fermarmi e poi a casa. Per fortuna abbiamo la maggiorazione notturna ma è stata un’impresa ottenerne il riconoscimento. Una volta al mese ci chiamano per qualche evento: tre ore per pulire 400 metri quadrati e sistemare il salone, sono soldi e accettiamo la richiesta di straordinario – io e la mia amica.
Non incontro quasi mai i dipendenti dell’Ente per il quale facciamo le pulizie, non ci sono rapporti di sorta, un lavoro in perfetta solitudine, nel migliore dei casi intravedo il vigilante all’ingresso.
Inizio a non sopportare il freddo e il caldo, dormo male, ho disturbi del sonno, vado a letto tra le 14 e le 17 e la sera al massimo alle 23 mi addormento sul divano davanti alla tv. Ho ereditato lombosciatalgie, e un’operazione al menisco rinviata per anni che, a primavera, potrò fare.
La movimentazione dei carichi è aumentata: prima prendevi i sacchi e li depositavi in una chiostra, oggi devi svolgere il corretto conferimento dell’immondizia direttamente nei cassonetti interrati. Per arrivarci usi un carrello della spesa con le ruote consunte e il tempo impiegato è sottratto alle pulizie vere e proprie. Non abbiamo spogliatoio, si indossa la divisa spogliandosi in un ufficio – sembra che la scelta degli orari disagiati sia stata fatta apposta.
Negli anni della Covid eravamo in FIS, poi con le igienizzazioni straordinarie siamo tornate in servizio aumentando anche le ore settimanali. Non so se rimpiangere quei due anni ma avevo ricominciato a fare il tempo pieno, si lavorava decisamente meglio, le pulizie erano accurate, le sanificazioni valorizzavano il nostro servizio riconoscendone la grande utilità.
Avrei altri due anni di lavoro ma non ce la faccio, sono stanca e con la pressione alta, un braccio che non riesco a gestire al meglio dopo la caduta sul ghiaccio in motorino per recarmi al lavoro.
Il clima lavorativo si è fatto insopportabile, ogni mese arriva un richiamo scritto per qualche lavoro non correttamente eseguito ma è impossibile farlo bene con pochi minuti a disposizione. E un’ora di lavoro al mese, la devi sacrificare per la classica sanzione: se hai lasciato fuori posto lo straccio o perché qualcuno si è lamentato della mancata igienizzazione della scrivania o per il cencio in terra non dato in una porzione microscopica di un certo ufficio. Se dovessi svolgere dei lavori accurati avrei bisogno di due ore in più al giorno: allora sì, potrei pulire, sanificare ogni angolo come avveniva anni fa e resterebbe il tempo per una sigaretta e un caffè.
Alcuni uffici saranno esternalizzati, ci è stato già detto che il calo delle superfici determinerà la contrazione delle ore e aumenteranno i carichi di lavoro che sono già al limite.
Non oso pensare a una riduzione oraria e contrattuale, certo che un committente pubblico prima di fare tali scelte dovrebbe pensarci: siamo proprio dimenticate, anzi abbandonate. Vado in pensione ma penso a mia figlia che fa lo stesso lavoro, non è andata all’università perché i soldi per mantenerla agli studi non c’erano. Diventata madre troppo presto ha dovuto accettare gli impieghi disponibili. Poi passano dieci anni e ti accorgi di avere accettato solo un misero salario col quale andare avanti, le speranze di miglioramento si scontrano con il budget economico a disposizione della famiglia. Mia figlia lavora 25 ore settimanali al mese, a 30 arrivano le anziane, i neo-assunti nel migliore dei casi si fermano a 18, poche ore contrattuali ripartite su più teste con la massima flessibilità possibile.
Le malattie professionali non sono riconosciute anche se tante patologie derivano proprio dalla specificità del nostro lavoro. Negli anni Settanta mio padre operaio era visitato e controllato annualmente dai Medici del lavoro: gli era stata riconosciuta una piccola pensione di invalidità per avere respirato ‘merda’ in fabbrica e una volta all’anno aveva una settimana gratuita da trascorrere alle terme. Cos’è rimasto? Praticamente nulla. Io vivo e lavoro in condizioni peggiori dei miei genitori e chi arriva ora nel mondo del lavoro sarà messa peggio di me. Se le colleghe giovani potessero fermare il tempo si accontenterebbero della situazione attuale, firmerebbero un patto con il diavolo per 560 euro mensili. Sia sufficiente questo per descrivere realtà e stati d’animo…
venerdì, 24 gennaio 2025
In copertina: Foto di Prawny da Pixabay