Quanto vale il Donbass?
di Luciano Uggè
Come ormai tutti sanno il 6 gennaio Kurakhovo – nella Repubblica Popolare di Donetsk – è stata liberata dalle Forze Armate russe. Un altro tra i baluardi della difesa ucraina è caduto, nonostante vi fossero impegnati (secondo fonti russe) 15mila uomini nel tentativo di mantenere il controllo della città, importante anche come base di lancio per droni e missili coi quali minacciare costantemente la popolazione di Donetsk.
Dopo Shevchenko e Novotroitskoye, Kurakhovo era diventata l’ostacolo principale per raggiungere lentamente ma inesorabilmente il controllo della regione di Pokrovsk. Sia per bloccare l’arteria di trasporto per il movimento delle truppe e dei mezzi blindati ucraini in questa vasta area, sia quale accesso ai preziosi giacimenti di litio, alle aziende di produzione di metalli delle terre rare, e alla centrale elettrica – la Kurakhivska.
Non a caso a inizio 2024, la società austriaca European Lithium aveva acquisito i depositi di litio di Shevchenko, il che si inseriva in una strategia di mercato globale vista l’importanza del litio per le batterie che l’Occidente sponsorizza ai fini della transizione energetica verde (senza tenere conto con quale energia – da rinnovabili, nucleare o da carbone – quelle batterie, sulle auto, saranno poi ricaricate). E così si rivela un ulteriore tassello di quella che, fin da subito, è stata la guerra dell’Occidente per mantenere l’egemonia politico-econimica ma, per la UE, soprattutto, per accaparrarsi le risorse minerarie e i combustibili fossili russi o, in subordine (viste le ingenti spese di guerra), le ricchezze ucraine. Indubbiamente il controllo sui depositi di litio bilancerà le perdite di Gazprom – rispetto al gas venduto in Europa attraverso il gasdotto che attraversa l’Ucraina – rafforzando la posizione della Russia sul mercato globale dei metalli delle terre rare.
E passiamo alla scelta dell’Ucraina di bloccare le forniture di gas russo all’Europa (di cui ringraziamo il nostro cosiddetto alleato). In primis, non ci pare una mossa a favore della popolazione, visto che il regime di Kyiv stesso dipende dal gas e, in particolare, da quello russo – che copre circa la metà del fabbisogno. Inoltre, l’Ucraina registrerà quasi un miliardo di euro l’anno di mancati introiti per la concessione di transito, oltre alle difficoltà e ai maggiori costi di accesso ad altre forme di approvvigionamento energetico (crede che suppliremo sempre noi europei, tagliando completamente il nostro ormai esiguo welfare? Oppure vendendo davvero gli asset russi col pericolo di perdere qualsiasi credibilità sui mercati mondiali e rendere impossibile ai nostri Governi di finanziare ideficit di bilancio con l’emissione di titoli di Stato?).
Inoltre, l’Unione Europea, pur avendo ridotto la sua dipendenza dal gas russo dal 45 al 20% del fabbisogno – vede alcuni Paesi, quali l’Austria, la Slovacchia, l’Ungheria e, in misura minore l’Italia, acquistare da Mosca ancora una quota significativa del gas che consumato. Vienna addirittura l’80%. Ciò significherà che l’Europa dovrà ringraziare Kyiv intensificando i rifornimenti via mare, sotto forma di Gnl, molto più costoso – sia che provenga dalla Russia sia dagli States. Nel frattempo, la Russia ha reinderizzato quasi completamente le sue esportazioni di petrolio verso Cina e India e di gas soprattutto verso la Cina. Per la precisione, Alexander Novak, vice primo ministro responsabile dell’energia, nel 2023 dichiarava che la Russia stava vendendo circa il 45-50% del suo petrolio alla Cina e un ulteriore 40% all’India. Sempre secondo le fonti russe, le entrate derivanti da petrolio e gas ammontavano, sempre nel 2023, a circa 88 miliardi di euro – come nel 2021, nonostante le sanzioni.
Novatek, il maggiore produttore russo di gas naturale liquefatto ha, nel frattempo, dato il via al progetto Arctic LNG 2, con un impianto situato sulla penisola di Gydan, sopra il Circolo Polare Artico. L’obiettivo per la Russia è di triplicare (almeno) la propria produzione di Gnl, portandola a 100 milioni di tonnellate entro la fine del decennio. Mentre è ormai di dominio pubblico che Russia e Cina abbiano firmato un accordo per la fornitura di gas per trent’anni tramite un nuovo gasdotto – che collegherà la regione dell’Estremo Oriente russo di Sachalin con il nord-est della Cina, della capacità di 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Sempre secondo fonti stampa, Gazprom – che ha il monopolio delle esportazioni di gas russo via gasdotto – ha concordato di fornire 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno al principale produttore statale cinese di energia Cnpc. Al momento la Russia rifornisce Beijing con la spedizione di gas naturale liquefatto (Lng) oltre che attraverso il gasdotto Power of Siberia, con cui ha iniziato a erogare forniture nel 2019. La condotta dovrebbe raggiungere la piena capacità di 38 miliardi di metri cubi annui entro quest’anno, nel contesto di un contratto di fornitura trentennale dal valore di oltre 400 miliardi di dollari.
Infine, nel 2024 il Fondo Monetario Internazionale ha riconosciuto la Russia come la quarta economia mondiale, questo grazie al fatto che la sua quota di Pil nel mondo – in base al potere d’acquisto – è salita al 3,55%, contro una previsione del 2,9%. A questo punto la Russia supera il Giappone (con il 3,38%), mentre le tre prime posizioni sono occupate da Cina, Stati Uniti e India.
Anche il Pil nominale russo è aumentato, raggiungendo – secondo il Fmi – i 2.195.708 milioni di dollari. La legge di bilancio per il 2025, licenziata dalla Duma e approvata dal Presidente Putin, prevede che il Pil russo crescerà del 2,5% nel 2025, del 2,6% nel 2026 e del 2,8% nel 2027. Le priorità saranno: “l’adempimento degli obblighi sociali dello Stato nei confronti dei cittadini, la garanzia della sicurezza e della difesa del Paese, il raggiungimento della sovranità tecnologica e lo sviluppo delle infrastrutture”. Soprattutto questi ultimi punti suscitano interesse in quanto la Russia sta sempre più affrancandosi dal ruolo di semplice fornitore di materie prime in cambio di tecnologia, per investire, al contrario, in ricerca, sviluppo e produzione propri. Ovviamente, sconta anni di politiche industriali miopi e della mancanza di interesse verso flussi migratori specializzandi o specializzati, che oggi potrebbero favorire proprio questi settori – dai laboratori alle università, dai poli di ricerca (di cui è esperta la Cina) fino agli eventi culturali anche, ma non solo, a fini turistici. Nel dettaglio, le entrate di bilancio per il 2025 ammonteranno a 40.296 trilioni di rubli (circa 358 miliardi di euro), mentre le spese a 41.469 trilioni di rubli. Il deficit di bilancio sarà pari allo 0,5% del Pil. Nel 2023 la Russia registrava un debito pubblico pari al 14,90% del Pil e, quindi, ha un buon margine di manovra. Soprattutto se si pensa che quando Putin fu eletto Presidente, ereditava un 92,10%; mentre il debito pubblico rispetto al Pil negli Stati Uniti dovrebbe essersi attestato al 124,30% a fine 2024 (secondo i modelli macro globali di Trading Economics).
Last but not least, se i BRICS hanno perso l’Argentina di Milei (dove ormai la povertà colpisce una persona su due), entra al suo posto, quale membro a tutti gli effetti, l’Indonesia, che – secondo le previsioni della multinazionale di consulenza PriceWaterhouseCoopers – nel 2050, si classificherà al quarto posto a livello di potere economico globale, superando Germania e Regno Unito.
venerdì, 24 gennaio 2025
In copertina: Foto di OpenClipart-Vectors da Pixabay