Senza basi economiche, i verdi sono solo fumo e niente arrosto
di Luciano Uggè
Alla vigilia delle elezioni tedesche, è interessante rileggere un libro scritto quasi quarant’anni fa da Samir Amin, La Teoria dello sganciamento, in cui analizzava i nascenti movimenti Verdi.
È da notare come Amin già allora spiegasse che questa vasta eterogeneità di gruppi – che ponevano al centro del proprio pensiero l’ecologia e la limitatezza delle risorse del pianeta – non si definisse né blu, ossia della destra classica, né rossa, ossia appartenente al movimento della tradizione operaia. Gli ideologi che cita Amin nella sua analisi sono Johan Galtung (sociologo e matematico norvegese, fondatore nel 1959 del Peace Research Institute di Oslo), gli economisti svedesi Mats Friberg e Bjorn Hettne (che, insieme, hanno anche scritto nel 1982, The greening of the world: towards a non-deterministic model of global processes) e Rudolf Bahro (con una storia personale alquanto singolare che sintetizzeremo: critico verso la Germania dell’Est, il socialismo e il comunismo, fu espulso dal suo Paese e andò a vivere in Germania Ovest, ove fu tra i fondatori del Partito dei Verdi e, poi, non riuscendo a convincere la società capitalista e industriale di Bonn che dovesse votarsi a un ritorno alla ruralità, in stile Pol Pot, abbandonò anche tale movimento e le sue istanze).
Amin nota che l’obiettivo dei Verdi (almeno allora) era “una società liberata dallo sfruttamento di classe e dal potere statale, i cui membri, eguali, liberati dai pregiudizi e dalle diverse oppressioni (del patriarcato, della famiglia, eccetera)” avrebbero potuto “sviluppare la loro piena umanità senza essere limitati dalla scarsità, dalla divisione del lavoro che impoverisce, eccetera”. Friberg avrebbe scritto espressamente di “abolizione del valore di scambio e dello Stato” e della “organizzazione della società sulla base della produzione diretta di valori d’uso”, che sono concetti che equivalgono al comunismo di Marx (come nota Amin). Ma come si libera l’individuo? Riportandolo sui monti, senza luce elettrica né riscaldamento, come Heidi e come avrebbe proposto a un certo punto Bahro?
Per il marxismo storico esistono parametri che spiegano il processo di sfruttamento e, nella nostra epoca, si va oltre perché già Pasolini legava il capitalismo al consumismo e, questo, a dis-valori borghesi velleitari ed edonistici. Oggi la transnazionalizzazione del capitale ha condotto, da un lato, a un neo-imperialismo sempre più guerrafondaio e, dall’altro, alla delocalizzazione della produzione, allo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali e umane, e all’accumulo del capitali in pochissimi centri egemonici di potere, che lo reinvestono non sui beni comuni, sul welfare o sulla produzione, modernizzandola attraverso la ricerca, bensì su una finanza sempre più famelica e autoreferenziale.
Ma proprio questa analisi marxista, che Amin approfondisce nel libro (fino a un certo punto, visto che lo stesso è stato pubblicato nel 1986), sfugge ai Verdi – come dimostrano le prese di posizione di Annalena Baerbock, Ministro degli Affari Esteri del morente Governo Scholz, ed ex co-presidente del partito Alleanza 90/I Verdi, strenua sostenitrice della guerra contro la Russia e delle sanzioni che hanno reso l’industria tedesca l’ombra di se stessa. Dopo la sconfitta alle elezioni regionali e la fine dell’alleanza rosso-verde, con le elezioni anticipate alle porte, chiediamoci dove abbia fallito l’ideologia verde andata al Governo in Germania.
Come faceva già notare Amin quarant’anni fa: “in sostituzione dell’analisi delle forme sociali di organizzazione della produzione” si ha la sensazione di “un appello alla riflessione trascendentale”, per cui la natura umana sarebbe “buona” – come esplicitava Friberg – in sé (ma di fronte a una tautologia non si può né provare né confutare l’assunto). Invece “dell’analisi condotta in termini di modi di produzione precapitalistici (feudale, tributario, comunitario, eccetera), di espansione del capitalismo su scala mondiale (con i suoi poli centrali e le sue periferie), di superamenti ‘revisionisti’ […], eccetera, propongono un’analisi in termini di aree culturali a fondamento religioso” (Amin). Sarebbe colpa della nostra fede cristiana con “l’utopia del totale dominio della natura” (Friberg) se abbiamo sviluppato modelli produttivi ed economie – sia capitalistici sia nel socialismo reale – che sfruttano risorse ed esseri umani. Per i Verdi “l’espansione del capitalismo […] non è retta dalle leggi immanenti al modo capitalistico, è soltanto l’espressione dell’espansione europea” (oggi potremmo sostituire con dell’Occidente). Ma seppur vera, in parte, questa analisi: come fermare tale processo o cambiare rotta? Come si oppongono i vari partiti Verdi, ad esempio, al Presidente ecuadoregno che ha praticamente svenduto le Galapagos agli statunitensi per impiantarvi una Base militare?
Andre Gunder Frank (citato da Amin) ha proposto una “formula felice” per indicare l’asse su cui ruotano i Verdi: «Ferma il sistema, voglio uscirne». Ma ciò non è possibile a meno di non tornare tutti sulle Alpi con le caprette che ti fanno ciao! Sahra Wagenknecht, nel suo ultimo libro Contro la sinistra neoliberale (e quindi contro la Die Linke e i suoi omologhi, quali il Pd) afferma: “Per me è una tragedia constatare come la maggioranza dei partiti social-democratici e di sinistra abbia imboccato la folle via del liberalismo di sinistra, che svuota teoricamente la sinistra di ogni significato e allontana grandi fette del suo elettorato. Una folle via che cementa il neo-liberismo nella sua centralità malgrado da tempo, tra la gente, la maggioranza sia per un’altra politica: per un maggior equilibrio sociale, per una regolamentazione razionale dei mercati finanziari e dell’economia digitale, per maggiori diritti ai lavoratori e per una politica industriale intelligente, orientata al mantenimento e al potenziamento di un ceto medio forte”.
Avulso dal contesto storico a da una seria analisi economica e sociale, appare quasi un copia e incolla il messaggio apocalittico di una Greta Thunberg su quello di Friberg, quando questi, ricorrendo all’immagine della “corrente del fiume che ci trascina verso le cascate” spera di ‘cambiare rotta’ “con una dichiarazione puramente volontaristica […]: «la volontà dei protagonisti può strutturare il mondo in modo conforme alle loro aspirazioni, indipendentemente dal sistema»”. Come fa notare Amin: “Non si tratta di scegliere fra prendere posizione nel senso della corrente o andare contro corrente. La domanda è come andare contro corrente. Il marxismo non sostiene che l’apocalisse sia rigorosamente impossibile, perché considera che, se non prevale il socialismo, è la barbarie che, a suo modo, risolverà i problemi” (basta vedere cosa sta accadendo in Medio Oriente per affermare che Amin era preveggente).
Le scelte del Governo dei Verdi in Germania si sono dimostrate conseguenti: intransigenti quando si trattava di far pesare su famiglie e aziende i costi di un rinnovamento ‘ecologico’ che, toccando appena un lembo di mondo, avrebbe ricadute ridicole sull’insieme ma pesantissime sui singoli interessati; ed egemoniche quando si è trattato di politica internazionale in quanto perfettamente funzionali al sistema di predazione e predominio di chi crede di potersi permettere tutto perché ha la ‘verità’ dalla sua parte. In questo senso, quindi, i Verdi – come i movimenti fondamentalisti islamici (che Amin analizza e critica nel medesimo libro) – hanno una matrice fideistica comune (e del resto, a una ragazzina di sedici anni non hanno dovuto inchinarsi climatologi e astrofisici?): “La comparsa delle correnti Verdi e di altre forme di fondamentalismo religioso ci appare in questo spirito non una soluzione della crisi, ma un suo sintomo” (Amin). E la crisi del capitalismo di matrice occidentale è solo all’inizio.
venerdì, 10 gennaio 2025
In copertina: Foto di Tom da Pixabay