Il Supporto tra Pari come alternativa alla narrazione del vincente
di Simona Maria Frigerio
Sabato 14 e domenica 15 dicembre, si è tenuto il VII Congresso dell’Associazione Diritti alla Follia, a Milano, presso ChiAmaMilano. Dei tanti interventi, spunti, relazioni ed esperienze, ci ha particolarmente colpito la complessità della Tavola rotonda del 15, intitolata Il Supporto tra Pari: Parola d’ordine indipendenza.
Partiamo da una specifica per chi non sapesse quale sia l’argomento in discussione – semplificando. Quasi tutti gli italiani avranno visto film e telefilm statunitensi ed europei in cui vi sono associazioni, come gli Alcolisti Anonimi, ossia gruppi formati da persone con la medesima dipendenza (all’inizio era solamente l’alcool poi si sono aggiunte le sostanze stupefacenti), alle cui riunioni partecipa, ad esempio, un personaggio come lo Sherlock Holmes di Elementary; oppure una Astrid (co-protagonista della serie franco-belga, Astrid e Raphaëlle), che si reca alle riunioni di soggetti atipici, essendo lei stessa autistica. Solo due esempi per entrare in quella logica: persone che condividono una disabilità psico-sociale o hanno un problema di dipendenza e che cercano di affrontarlo insieme, scambiandosi narrazioni individuali che possono essere d’aiuto all’altro da sé.
Gli Alcolisti Anonimi nascevano, come associazione, nel 1935 per l’auto mutuo-aiuto e, al di là di alcuni metodi che potremmo definire ‘suscettibili di revisione’, sono un esempio che può spiegare a un neofita di cosa stiamo parlando.
Durante il Convegno, però, si è venuti in contatto con nuove forme che si denominano Supporto tra Pari e dei passi che dobbiamo ancora fare per dare, anche in Italia, a tale realtà il supporto adeguato.
Ma facciamo un passo indietro perché la prima a parlare è stata Elena Faccio, professore associato di Psicologia clinica presso l’Università di Padova, la quale non si è soffermata solamente sull’implementazione della figura dell’Esp in Italia (ossia Esperto in Supporto tra Pari) bensì sul discorso della narrazione (operato da un Esp ma non solo) e di come questa influisca sulla scelta dei metodi per ‘guarire’ da forme di disagio o dipendenza (1). Tra le varie considerazioni di Faccio due sono state quelle che vorremmo sottolineare. La prima è come la narrazione (anche di ‘influencer’ che, quindi, possono avere un peso sulle nostre scelte in quanto suscitano in noi stima e ammirazione – come attori, cantanti, scrittori o intellettuali) sia univoca. Ossia, i mass media prediligono e danno rilevanza alle storie dei ‘vincenti’, a una linearità che potremmo far partire con la ’tragedia’ e finire col ’trionfo’: «Io ce l’ho fatta», questo è il messaggio, «quindi, anche tu puoi farcela!». Un messaggio che, a prima vista, parrebbe motivante e positivo. Ma approfondiamo alcune sfaccettature che potrebbero inficiarne la validità. In primis, una persona che magari si dibatte da anni nel disagio psichico, con ricadute (ad esempio nella depressione), potrebbe sentirsi ancora più sola o ‘sbagliata’ dato che non riesce a raggiungere l’equilibrio ‘perfetto’, la guarigione definitiva come il traguardo di una corsa a ostacoli. Non solo, proprio la ricaduta (anche nei casi di dipendenza da sostanze), come nella malattia fisica (pensiamo a forme tumorali e recidive), dovrebbe sempre essere considerata come possibile, accettata come parte di un percorso che durerà un’intera vita e non deve essere fonte di ‘criminalizzazione’ o aumentare il nostro senso di impotenza. In secondo luogo (tornando al discorso di Faccio), la narrazione che amano i mass media (ed è imposta quasi come un format agli Esp) è quella che passa sempre dalla farmacopea: basta la pillola giusta e il mondo torna ad avere un senso. Peccato che molti di noi, come Neo in Matrix, di fronte alla scelta: “Pillola blu, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua, e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa, resti nel paese delle meraviglie, e vedrai quant’è profonda la tana del Bianconiglio”, scelgano quella rossa – ossia, preferiscano le ‘voci che fanno compagnia’; oppure di non adeguarsi a una ‘normalità’ che può essere vissuta come costrizione (o semplicemente come forma utile alla produttività individuale in un sistema capitalistico); o ancora, preferiscano percorsi magari più lunghi e tortuosi ma non per questo meno efficaci (come la psicanalisi, la naturopatia, o altro). Siccome “le società capitaliste hanno sottolineato le sostanziali perdite di produttività associate alle malattie mentali e il potenziale profitto insito soprattutto nella farmacologia” è ovvio che “il messaggio onnipresente è che la malattia mentale è un problema biologico e il trattamento (ad esempio i prodotti farmaceutici) la soluzione” (sempre dall’intervento di Faccio).
A seguire è intervenuta Jennifer Alvarez, Esperta in Supporto tra Pari (Esp) e artista con la sua esperienza personale, non solamente di disagio psichico ma anche riguardo alle differenze di approccio tra l’Italia e l’Olanda. Mentre nel nostro Paese il gruppo dove avrebbe dovuto trovare un mutuo auto-aiuto l’ha classificata immediatamente come ‘incurabile’ consegnandola a una vita che non avrebbe potuto vivere pienamente in quanto ‘malata’; in Olanda, anni dopo, non solamente ha scoperto come il Supporto tra Pari, se vi è oltretutto la presenza di una figura che ha condiviso le medesime problematiche ma si è anche professionalizzata, possa diventare un luogo dove condividere il disagio, ma anche come superarlo e ‘spiccare’ letteralmente il volo. Questo, in un Paese come l’Olanda dove tutto sembra ancora possibile: hai bisogno di una casa? L’assistente sociale non cerca di rinchiuderti in una Casa famiglia per pazienti psichiatrici, dove magari ti imbottiscono di psicofarmaci e buttano via la chiave, ma ti aiuta a trovare uno spazio abitativo adeguato dove ti senti ‘rinascere’ e da quel momento puoi iniziare un percorso anche di professionalizzazione che ti rende indipendente e ti fa sentire soddisfatta di te stessa.
Il terzo intervento che vogliamo ricordare è quello di Liuska Sanna, a capo di Mental Health Europe, una Organizzazione non Governativa belga (che non accetta finanziamenti da Case farmaceutiche), che si occupa anche di salute mentale, e che ha presentato La guida internazionale di MHE sul Supporto tra Pari, evidenziando i limiti che ancora sussistono in diversi Paesi (come il nostro) per la sua implementazione e diffusione. Tra i molti temi che ha affrontato Sanna, ne sottolineeremo cinque. In primis, l’importanza della scelta della persona di fare un percorso terapeutico di qualsiasi tipo e la condivisione con gli psichiatri (o altri professionisti) sulle cure o sulle pratiche per stare ‘meglio’. Se mancano questi due presupposti è praticamente impossibile, come sa qualsiasi psicologo clinico, pensare che un ‘paziente’ (il quale e, innanzitutto, un individuo dotato di una propria volontà) possa ‘curarsi’. Terzo punto, nei gruppi di Supporto tra Pari devono esistere delle figure (come il capo-gruppo olandese di cui ha parlato Alvarez) che si sono professionalizzate perché non basta la buona volontà per fornire aiuto all’altro da sé (anche se si è vissuta un’esperienza simile) e perché, altrimenti, qualsiasi scelta o risultato ottenuto sarà subordinato alla volontà dello psichiatra – il quale continuerà a ricoprire quel ruolo coercitivo e dispotico verso il paziente (ovvero di imposizione del ‘diritto alla salute’) che Basaglia denunciava fortemente. E infine, queste figure – avendo una professionalità e un ruolo riconosciuto – devono anche avere un corrispettivo economico in modo tale che ciò che fanno possa trasformarsi in una professione a tutti gli effetti.
In questi giorni sto leggendo una raccolta di saggi di Umberto Eco. Uno tra questi racconta come nacque il cosiddetto Gruppo del ʻ63. Racconta di come un neo-laureato senza quasi alcuna esperienza fu coinvolto in un dialogo con Montale e Bo, Arbasino e Pasolini… Vecchi, mezze età e giovani che si riunivano per costruire una cornice nella quale, professionalmente, avrebbero dipinto il nuovo quadro del mondo letterario. Oggi viviamo tempi in cui non esiste più la professionalità, né l’esperienza e tanto meno il dialogo: come potrà questo nuovo universo fluido trovare il suo equilibrio se non tornando alle radici, ossia al rispetto reciproco, al dialogo e alla com-partecipazione?
(1) Citazione dall’intervento di Elena Faccio: “Le nostre storie ci collegano – riflettono chi siamo e come ci relazioniamo gli uni con gli altri. Le storie sono estremamente potenti e hanno il potenziale di unirci, di far luce sull’ingiustizia commessa contro di noi e ci portano a capire che nessuno di noi è solo in questo mondo. Ma le nostre storie sono anche una merce: aiutano gli altri a vendere i loro prodotti, i loro programmi, i loro servizi e a volte estraggono dalle nostre storie i dettagli che servono meglio ai loro interessi e, così facendo, ci presentano come meno che completi”. Becky McFarlane, evento Recovering Our Stories, tenutosi a Toronto nel giugno 2011
venerdì, 3 gennaio 2025
In copertina: Foto di Total Shape da Pixabay