Lo stato di crisi descritto dal Rapporto di Cittadinanza Attiva
di Federico Giusto (dal Blog Delegati Lavoratori Indipendenti Pisa)
Sabato 19 ottobre numerosi comitati territoriali, sindacati (Cub e Cobas) hanno manifestato a Firenze. L’occasione si presta a qualche riflessione su problematiche consegnate a fatti di cronaca o ad annunci propagandistici del Governo senza mai entrare nel merito dello stato di crisi in cui versa da anni la sanità e la salute pubblica.
Prova ne sia il fatto che quasi 5 milioni di persone non hanno avuto accesso a cure o a visite di prevenzione per mancanza di soldi, per le lunghe liste di attesa nei servizi pubblici con diffusi fenomeni di migrazione e pendolarismo che spingono intere famiglie dal Meridione e dalle isole verso gli ospedali del centro nord (1).
“La mobilità tra le Regioni del Centro-Nord, soprattutto di prossimità (con una distanza di 100 Km e/o 60 minuti di percorrenza dal comune di residenza del paziente alla struttura ospedaliera di ricovero). La migrazione di prossimità, rispetto al totale, risulta essere pari al Nord al 24%, al Centro al 12,6% e al Sud al 5,7%. Le strutture maggiormente attrattive per la mobilità dei ricoveri sono di natura giuridica private accreditate, per ¾ del totale relative a prestazioni di alta complessità. Se si considera solo la componente di mobilità effettuata per scelta dell’utente, si assiste a un miglioramento, con una inversione di tendenza nei trend, nella regione Piemonte (da -7,2 mln a +21 mln) e nella PA di Trento (da -6,5 mln a +2,6 mln). Le Regioni più attrattive sono in ordine: Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, mentre quelle di fuga sono Campania, Calabria e Sicilia. Nel 2022 la Regione Emilia Romagna e la Regione Lombardia registrano valori equiparabili di saldo positivo (tra mobilità attiva e passiva), rispettivamente di 337 mln e 362 mln. Da osservare il trend dell’Emilia Romagna che segna un importante incremento rispetto al periodo pre-pandemico”.
Il rapporto Gimbe e quello di Cittadinanza Attiva dovrebbero rappresentare il punto di partenza per una riflessione comune e un confronto pubblico su salute e sanità pubblica andando ben oltre un approccio sindacale che, molte volte, finisce nel vortice di rivendicazioni settoriali e corporative. Non è del resto casuale la fioritura di sindacati autonomi e di mestiere che perdono di vista l’approccio complessivo al tema della salute e della sanità per tenere insieme la tutela del servizio pubblico con richieste prettamente salariali e contrattuali.
Riportiamo un passaggio eloquente del Rapporto di Cittadinanza Attiva: “La quota della rinuncia alle prestazioni sanitarie cresce, ovviamente, con l’aumentare dell’età: nel 2023, partendo dall’1,3% rilevato tra i bambini fino ai 13 anni, la quota mostra un picco nell’età adulta tra i 55-59enni, dove raggiunge l’11,1%, per restare elevata tra gli anziani di 75 anni e più (9,8%). Tuttavia, l’incremento tra il 2022 e il 2023 riguarda solo la popolazione adulta (18-64 anni), che passa dal 7,3% all’8,4%. Si confermano le ben note differenze di genere: la quota di rinuncia è pari al 9,0% tra le donne e al 6,2% tra gli uomini, con un divario che si amplia ulteriormente nell’ultimo anno per l’aumento registrato tra le donne adulte”.
L’affollamento dei pronto soccorso è il risultato delle lunghe liste d’attesa e del progressivo indebolimento della medicina di base: i cittadini non trovano risposte sul territorio, la cronica carenza di personale, di adeguate strutture e servizi non garantiscono l’erogazione delle prestazioni necessarie. La tragica situazione in cui versano i pronto soccorso vede solo risposte parziali e securitarie – come i corsi di autodifesa proposti agli operatori o il ricorso a vigilantes privati.
E anche sul fronte dei LEA (2) la situazione è divenuta drammatica e non solo nel Meridione ma anche in alcune aree del Nord Italia che fino a pochi anni fa presentavano dati diametralmente opposti (e forse dovremmo porci qualche domanda sugli effetti del ricorso al privato per erogare i servizi sanitari).
“Sono 7 le Regioni che non raggiungono la sufficienza rispetto ai criteri del Nuovo sistema di garanzia dei LEA nell’ambito della prevenzione. Sono Sicilia, la PA di Bolzano, Calabria, Valle d’Aosta, Sardegna, Molise e Abruzzo a mostrare i dati più bassi”.
Per porre fine all’indebolimento progressivo del sistema sanitario pubblico occorre un’inversione di tendenza rispetto alle politiche attuate negli ultimi anni, assunzioni per ogni ruolo e figura professionale, incremento dei salari ben oltre i tetti contrattuali previsti, evitare di barattare prestazioni aggiuntive in cambio di defiscalizzazioni, ripensare drasticamente il servizio intra moenia e indirizzare le risorse esclusivamente al rilancio e al potenziamento del servizio sanitario pubblico.
Serve un programma minimo a tutela della salute della cittadinanza prima di ritrovarci con una sanità inadeguata e la fuga delle professionalità verso il privato, dove le condizioni di lavoro ad oggi sono decisamente migliori pur in presenza di differenze salariali che penalizzano soprattutto le figure professionali con minor specializzazione.
I passi citati sono tratti dal Rapporto di Cittadinanza attiva scaricabile on line: https://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato1729504489.pdf
(1) Tra gli esempi migratori più evidenti in Toscana, il Reparto di endocrinologia di Cisanello dove arrivano persone provenienti da Roma in giù e perfino dalle isole per le visite di controllo ma anche per interventi alla tiroide
(2) I Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) sono le prestazioni e i servizi che il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) è tenuto a fornire a tutti i cittadini. Da notare che non rispettano i criteri dei LEA 4 Regioni autonome: PA Bolzano, Sicilia, Sardegna e Valle d’Aosta
venerdì, 3 gennaio 2025
In copertina: Foto di Marionbrun da Pixabay