Nessuna si salva da sola
di Lorena Martufi
La fine di ogni anno per qualche strana ragione coincide sempre con la fila da fare in qualche ufficio. Quest’anno è stata la volta del patronato. Ho avuto modo di ascoltare in corridoio le storie delle madri sole come me. E la domanda è sempre la stessa davanti ai moduli dei benefici sociali che ci concede il nostro welfare state: “Dov’è il padre di questa bambina?”. Le risposte sono varie: “Non c’è nessun padre. Il padre non si fa vedere. Non sopporto di stare con un uomo accanto”. Sorrido. L’intervista dietro alla scrivania dell’impiegato continua alle donne come me. Più le guardo più mi sembrano sorelle. Non abbiamo un marito, non facciamo aperitivi con vini alla moda solo perché è Capodanno. Lavoriamo duramente per non vivere a carico dei contribuenti.
Alcune lavorano più di me ma restano sotto la soglia di povertà, una soglia che va avanti da quando si sono ritrovate incinte e da sole. Le guardo e sono sempre più simili a me nelle loro vite precarie e impoverite. Alcune hanno la spesa del banco alimentare accanto. La cosa più bella che hanno è che sono al verde ma sorridono. L’unica cosa che avrebbero voluto, penso, è una famiglia. Certo. Chi sogna da piccola di dover scappare di casa con borse e vestiti dentro a uno zaino per salvarsi la pelle? Queste donne sono povere e sono sole. Eppure devono difendersi. Anche da chi dovrebbe difenderle. Tirano su i figli con quasi nulla. Compilano moduli anche per chi non si assume le lore stesse responsabilità, si rifiuta di lavorare, non chiede benefici sociali. Padri lavativi accusano madri se sono agitate, stressate, disperate per la vita che fanno, quando, invece, sono responsabili della loro disperazione. Perché non abbiamo il coraggio di dire queste cose? Di raccontare queste storie? Perché forse è ancora vivo quel pregiudizio sociale che vuole che la colpa sia sempre nostra. “È colpa tua se sei in questa situazione. Non dovevi comportarti male”.
Ma mentre la società ci giudica inaffidbili, noi siamo quelle che tengono in ordine le bollette, che iscrivono i figli a scuola, che li fanno studiare. Le madri single sono come i bambini. Fragili. Scomodi per questo mondo. Come i poveri. Relegate ai margini anche se sgobbano duramente, nonostante prendano i benefici sociali. Non hanno scelta. Sono disperate.
Alcune preferiscono restare nei loro finti matrimoni per non vivere quest’inferno ma sopportarne un altro peggiore, dietro una finta tragica normalità attraverso cui si costruisce l’indifferenza del mondo.
Dopo il mio turno, esco. Osservo al sole le vite vacue e semplici di altre donne in questi giorni di festa. Sono eleganti, senza tutti questi casini. Sono belle. Bellissime. Nei loro stereotipi della mamma tipica 2024, anzi 2025. Loro non passeranno il Capodanno da sole. Non dovranno fare i salti mortali per arrivare all’ora di cena. Ma non avranno una storia da raccontare – di riscatto, paura, solitudine, povertà. Il mio augurio è che ognuna di queste donne possa uscire alla luce del sole con un sorriso diverso. Libero. Che vincano le lotte che stanno attraversando, sul piano umano e sociale, che escano dalla povertà e abbiano una nuova possibilità di essere felici. Ancora. E se qualcuna di queste mi legge, incontriamoci – se volete.
Nessuna si salva da sola.
venerdì, 3 gennaio 2025
In copertina: Foto di Sasin Tipchai da Pixabay